Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.25414 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29967-2017 proposto da:

S.J., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI MIGLIACCIO;

– ricorrente –

contro

UTG – PREFETTURA DI AVELLINO;

– intimata –

avverso il decreto n. R.G. 2617/2017 del giudice di pace di AVELLINO, depositato il 10/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18/09/2018 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE.

FATTI DI CAUSA

Il Giudice di Pace di Avellino, con ordinanza del 10 maggio 2017, ha rigettato il ricorso di S.J., proveniente dal Bangladesh, avverso il decreto di espulsione, rilevando, per quanto ancora interessa, che la mancata traduzione del decreto nella lingua nazionale dell’interessato era giustificata per la sua dichiarazione “di comprendere e di voler ricevere le notifiche del decreto in lingua inglese”, nonchè per la impossibilità di reperire il traduttore nella sua lingua nazionale.

L’interessato ha proposto ricorso per cassazione, con il quale ha denunciato violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2, comma 6 e art. 13, comma 7, in ordine alla lingua del decreto espulsivo (primo motivo), omessa pronuncia sulla doglianza che il decreto di espulsione era stato notificato anteriormente all’ordine (esecutivo) di lasciare il territorio nazionale entro sette giorni (secondo motivo) e sulla doglianza relativa alla mancata disposizione del rimpatrio volontario (terzo motivo); la Prefettura di Avellino non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo è infondato.

Il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, dispone che il decreto di espulsione e ogni altro concernente l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione “sono comunicati all’interessato unitamente (…) ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta overo, ove non sia possibile, in lingua inglese, francese o spagnolo”. La giurisprudenza l’ha interpretato nel senso che grava sull’amministrazione l’onere di provare l’eventuale conoscenza della lingua italiana o di una delle lingue veicolari da parte del destinatario del provvedimento di espulsione, quale elemento costitutivo della facoltà di notificargli l’atto in una di dette lingue (cfr. Cass. n. 1215 del 2015). Questa interpretazione della norma è da condividere, dovendosi precisare che è compito del giudice di merito accertare in concreto se la persona comprenda la lingua nella quale. il provvedimento espulsivo sia stato tradotto (il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2, comma 6, dispone la traduzione dell’atto “in una lingua comprensibile al destinatario”, non necessariamente nella sua lingua nazionale); a tal fine, il giudice deve valutare gli elementi probatori del processo, tra i quali assumono rilievo anche le dichiarazioni rese dall’interessato all’autorità amministrativa, come nella specie.

Il decreto impugnato, infatti, ha evidenziato che il ricorrente aveva dichiarato di comprendere la lingua inglese e di volere ricevere le notifiche del decreto in quella lingua nella quale il provvedimento di espulsione è stato tradotto, circostanze queste dalle quali il giudice di merito ha desunto il convincimento che egli conoscesse la lingua inglese (v. in termini Cass. n. 11887 del 2017). Si tratta di un apprezzamento di fatto censurabile in sede di legittimità nei ristretti limiti di cui al novellino art. 360 c.p.c., n. 5, nella specie neppure evocati nel ricorso. Questa conclusione è conforme al principio secondo cui la nullità del decreto di espulsione – ravvisabile, in linea di principio, per l’omessa traduzione nella lingua conosciuta dall’interessato o in duella veicolare – non sussiste quando vi sia prova anche presuntiva che lo straniero conosca la lingua in cui il decreto e stato tradotto, specie in presenza di dichiarazioni rese dall’interessato all’autorità amministrativa in atti aventi carattere fidefacentè (cfr. Cass. n. 18123 del 2017, n. 13114 del 2011). L’ulteriore affermazione del Giudice di Pace circa l’irreperibilità immediata di traduttore nella lingua nazionale costituisce argomentazione motivazionale ad abundantiam inidonea ad integrare la ratio decidendi della decisione.

Il secondo motivo e infondato, tenuto conto che vi e stata sostanziale contestualità tra la notifica del decreto di espulsione e la notifica dell’ordine di lasciare il territorio nazionale, avvenuto nello stesso giorno (in data 3 aprile 2017), sebbene la seconda notifica abbia preceduto la prima di alcuni minuti, senza necessità di valutare il fondo della questione riguardante la configurabilità della predicata nullità del decreto di espulsione.

Il terzo motivo è infondato, alla luce del principio secondo cui il decreto di espulsione emesso a seguito di ingresso irregolare dello straniero nel territorio dello Stato ha carattere di automaticità, con esclusione di qualsivoglia potere discrezionale del prefetto al riguardo e non puo essere dichiarato illegittimo perchè non contenga un termine per la partenza volontaria, in quanto tale omissione non incide sulla validità del provvedimento espulsivo, ma solo sulla misura coercitiva adottata per eseguire l’espulsione (Cass. n. 18540/2016).

Non si deve provvedere sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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