LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16720-2017 proposto da:
L.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO TOMASSETTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO PROSPERETTI;
– ricorrente –
contro
R.A., B.M., B.C., nella qualità di eredi di R.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI GRACCHI 126, presso lo studio dell’avvocato ROBERTA BORATTO, che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 684/2017 della CORTE D’APPELLO de L’AQUILA, depositata il 21/04/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/06/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.
RILEVATO
che:
con atto di citazione del 24 febbraio 2009, R.S. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Avezzano, L.A. deducendo di essere proprietario di un immobile facente parte di un fabbricato risalente all’anno 1600 situato nel centro storico del paese e che al piano sottostante, parzialmente interrato e rialzato, vi era una unità immobiliare della convenuta la quale, a partire dall’anno 2006, era stata interessata da importanti lavori di ristrutturazione a seguito dei quali il solaio della porzione immobiliare sovrastante, di proprietà dell’attore, aveva subito cedimenti in più punti. Per tale ragione l’attore aveva presentato ricorso ai sensi dell’art. 696 bis c.p.c. davanti al Tribunale di Avezzano e in quella sede il consulente aveva accertato che la sostituzione di due travi di legno effettuata senza preventiva puntellatura, era la causa principale dei cedimenti. Gli interventi per il ripristino erano stati quantificati in circa Euro 22.000 ai quali occorreva aggiungere il danno da stress, oltre a quello esistenziale e quello conseguente al mancato utilizzo dell’immobile. Tutto ciò premesso l’attore chiedeva accertarsi la responsabilità di L.A. con condanna della stessa al risarcimento dei danni per complessivi Euro 38.000. Si costituiva in giudizio la convenuta chiedendo il rigetto della domanda e deducendo che i lavori eseguiti non avevano comportato modificazioni, se non migliorative dell’immobile. In particolare il solaio risultava già compromesso dall’esecuzione di lavori risalenti a circa 30 trent’anni prima. Pertanto spiegava domanda riconvenzionale per i danni subiti per non aver potuto completare i lavori;
il Tribunale di Avezzano con sentenza del 26 aprile 2016 rigettava sia la domanda principale che quella riconvenzionale rilevando che le risultanze dell’accertamento tecnico avevano escluso l’esistenza di lesioni sulle strutture portanti e che la “assenza di certezza porta ad escludere ogni sorta di responsabilità della convenuta”;
avverso tale decisione proponevano appello gli eredi di R.S., R.A. e B.M. e C.. Si costituiva in giudizio L.A. chiedendo il rigetto del gravame e l’accoglimento della riconvenzionale;
la Corte d’Appello dell’Aquila con sentenza del 24 aprile 2017 in parziale accoglimento dell’appello accertava che i danni si erano verificati per colpa della convenuta nella misura del 70% e del dante causa degli appellanti, nella misura del 30%, determinando conseguentemente gli importi richiesti e rigettando l’appello incidentale con condanna della appellata al pagamento del 70% delle spese del doppio grado di giudizio;
avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione L.A. affidandosi a due motivi. Gli eredi di R.S., R.A. e B.M. e C. resistono con controricorso.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte d’Appello, ai fini dell’accertamento del nesso eziologico tra i danni lamentati dagli intimati e i lavori di ristrutturazione effettuati dalla ricorrente, omesso di esaminare l’incidenza causale della trave collassata e di quella inflessa, poste a sostegno del piano di calpestio dell’immobile di proprietà degli intimati, risultato essere un anomalo solaio “a conca”, inadatto alle esigenze strutturali di detto immobile. In particolare, il consulente nominato dal Tribunale non aveva svolto alcun accertamento sulla causalità efficiente del collassamento delle travi poste a sostegno del piano di calpestio e tale accertamento non era stato effettuato neppure dalla Corte territoriale. Ove fosse stato indagato tale profilo l’esito del giudizio sarebbe stato favorevole alla ricorrente;
Osserva il Collegio che il primo motivo esula dall’ambito del vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5. La ricorrente deduce il mancato esame di un elemento istruttorio e non di un fatto storico decisivo oggetto di contraddittorio tra le parti, sottoponendo alla Corte di legittimità una ricostruzione alternativa, fondata su valutazioni probabilistiche e fattuali incompatibili con il sindacato di legittimità.
Sostanzialmente, parte ricorrente lamenta la mancata valutazione e puntuale contestazione della CTP;
con il secondo motivo deduce il medesimo vizio della precedente censura, per avere la Corte d’Appello, ai fini dell’accertamento del danno patrimoniale subito dalla ricorrente, ritenuto non provati i maggiori costi sostenuti a causa del solaio a “conca” e del cedimento delle travi poste a sostegno del piano di calpestio degli intimati e della realizzazione, negli anni 70, di opere inficianti la stabilità strutturale del fabbricato. Oneri quantificati in Euro 25.000 per danni patrimoniali ed in Euro 10.000 per danno biologico, accertabile anche per presunzioni.
per il secondo motivo vanno ribaditi i medesimi profili di inammissibilità ex art. 360 c.p.c., n. 5 poichè le censure si pongono al di fuori del perimetro della disposizione citata. Per il resto, parte ricorrente non allega di avere sottoposto la questione specifica al giudice di appello con conseguente novità del motivo;
ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidandole in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sesta Sezione della Corte Suprema di Cassazione, il 27 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018