Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.25435 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14905-2017 proposto da:

Q.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268/A, presso lo studio dell’avvocato ALESSIO PETRETTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA NICATORE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1495/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di GENOVA, depositata il 05/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/09/2018 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON.

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 1495/5/16 depositata in data 5 dicembre 2016 la Commissione tributaria regionale della Liguria respingeva l’appello proposto da Q.A. avverso la sentenza n. 4/10/15 della Commissione tributaria provinciale di Genova che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento IRPEF ed altro 2008. La CTR osservava in particolare che la sentenza appellata era corretta e pienamente condivisibile, ritenendo pertanto di confermarla.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo tre motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Il contribuente successivamente ha depositato una memoria.

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – il ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, poichè la CTR non ha accolto la sua eccezione di invalidità dell’atto impositivo impugnato per violazione del contraddittorio endoprocedimentale.

La censura è infondata.

Va ribadito che “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata esclusivamente per i tributi “armonizzati” di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, mentre, per quelli “non armonizzati”, non essendo rinvenibile, nella legislazione nazionale, una prescrizione generale, analoga a quella comunitaria, solo ove risulti specificamente sancito, come avviene per l’accertamento sintetico in virtù del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, conv. in L. n. 122 del 2010, applicabile, però, solo dal periodo d’imposta 2009, per cui gli accertamenti relativi alle precedenti annualità sono legittimi anche senza l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11283 del 31/05/2016, Rv. 639865 – 01; più in generale, v. Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637604 – 01).

La sentenza impugnata si è attenuta al principio di diritto di cui a tale arresto giurisprudenziale.

Con il secondo motivo e con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3-5, – il ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, art. 2729 cod. civ., artt. 115 e 116 cod. proc. civ., art. 738 cod. civ. nonchè di omesso esame di fatti decisivi controversi, poichè la CTR non ha valutato le controprove offerte per inficiare la valenza presuntiva del c.d. “redditometro” utilizzato quale metodologia accertativa dall’agenzia fiscale e più in particolare della massima di comune esperienza circa l’usualità delle donazioni nummarie intrafamigliari.

Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, sono inammissibili.

In primo luogo va rilevato che, trattandosi di un caso evidente di “doppia conforme”, non sono proponibili le censure alla motivazione della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, stante l’espressa preclusione in tal senso sancita dall’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5.

In relazione alle dedotte violazioni della legge sostanziale e processuale, va ribadito poi che:

– “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis Sez. 5, n. 26110 del 2015);

– “Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Sez. 6 5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017, Rv. 643792 – 01);

– “In tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione” (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 27000 del 27/12/2016, Rv. 642299 – 01).

Lo sviluppo delle censure collide radicalmente con le indicazioni sui limiti del giudizio di cassazione rivenienti dai principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali.

In buona sostanza infatti il ricorrente chiede a questa Corte una “revisione” del giudizio meritale e della valutazione delle prove che non le è consentita.

La memoria depositata dal ricorrente non induce a diverse considerazioni.

In particolare, relativamente al primo motivo, va ribadito che “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata esclusivamente per i tributi t’armonizzati” di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, mentre, per quelli “non armonizzati”, non essendo rinvenibile, nella legislazione nazionale, una prescrizione generale, analoga a quella comunitaria, solo ove risulti specificamente sancito, come avviene per l’accertamento sintetico in virtù del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, conv. in L. n. 122 del 2010, applicabile, però, solo dal periodo d’imposta 2009, per cui gli accertamenti relativi alle precedenti annualità sono legittimi anche senza l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11283 del 31/05/2016, Rv. 639865 – 01).

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.300 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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