Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.25443 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA E. L. – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo M – Consigliere –

Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3443 del ruolo generale per l’anno 2011 proposto da:

Arredo Plast s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Pietro Ragogna, elettivamente domiciliata in Roma, p.le Clodio n. 14, presso lo studio dell’avv. Andrea Graziani;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, ha domicilio;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 42/20/2009, depositata il giorno 14 dicembre 2009;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 2 febbraio 2018 dal Consigliere Dott. Giancarlo Triscari.

RILEVATO

che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle Entrate di Treviso aveva emesso, nei confronti della Arredo Plast s.p.a., un avviso di accertamento con il quale aveva contestato che, nella dichiarazione IVA dell’anno 2000, la società contribuente aveva indebitamente detratto l’IVA relativa a fatture pagate in favore di tre studi professionali per l’attività di consulenza prestata in occasione della cessione dell’intero pacchetto azionario della Glass Idromassaggio s.p.a. alla Rubinetterie Mariano s.p.a., atteso che si trattava di operazioni esenti da imposta e quindi non detraibili; la società contribuente aveva proposto ricorso deducendo che l’indetraibilità non poteva estendersi ai servizi funzionalmente ricollegabili ad altre operazioni imponibili, quali le consulenze prestate in proprio favore e finalizzate ad attuare una riorganizzazione dell’assetto societario, come era avvenuto nel caso di specie; la Commissione tributaria provinciale di Treviso aveva rigettato il ricorso, avendo ritenuto che dalle fatture emergeva che le consulenze erano state prestate unicamente ai fini della cessione del pacchetto azionario; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello la contribuente, nel contraddittorio con l’Agenzia delle entrate;

la Commissione tributaria regionale del Veneto ha rigettato l’appello, ritenendo che la società appellante non avesse dato prova che le consulenze erano finalizzate anche ad attuare una riorganizzazione dell’assetto societario, trattandosi di finalità non automaticamente discendente dalle consulenze stesse, che avrebbero potuto riguardare unicamente la cessione del pacchetto azionario; precisava, inoltre, che la prova non poteva dirsi integrata dalla produzione del memorandum di un consulente, in quanto, non essendo lo stesso sottoscritto, era privo di qualsivoglia efficacia probatoria;

la società contribuente ricorre con quattro motivi per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto in epigrafe;

l’Agenzia si è costituita depositando controricorso;

parte ricorrente ha depositato documenti in data 25 luglio 2011.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si censura la sentenza impugnata per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in ordine all’affermata mancanza di prova documentale idonea ad accertare che la prestazione di cui alle consulenze fosse finalizzata alla riorganizzazione dell’assetto societario;

il motivo è inammissibile;

la sentenza impugnata ha fondata la decisione sul ritenuto mancato assolvimento, da parte della ricorrente, dell’onere su di essa gravante di dare prova che le fatture, in relazione alle quali era stata ritenuta l’indetraibilità del l’Iva, avessero ad oggetto prestazioni di consulenza finalizzate non solo alla cessione del pacchetto azionario, ma anche alla riorganizzazione dell’assetto societario;

in particolare, il giudice di appello ha precisato che parte ricorrente non aveva prodotto le consulenze, da cui potere evincere l’esatto contenuto delle prestazioni di consulenza eseguite in favore della ricorrente, e che nessuna valenza probatoria poteva essere attribuita al “memorandum” di un consulente, in quanto privo di sottoscrizione;

rispetto a tali ragioni della decisione, il motivo di ricorso in esame si limita a evidenziare che, a supporto del proprio assunto, la ricorrente aveva prodotto tre fatture, un memorandum ed uno studio e che il giudice di appello non avrebbe preso in considerazione il contenuto dei medesimi, da cui si sarebbe potuto evincere che le prestazioni di consulenza eseguite in favore della ricorrente erano finalizzati alla riorganizzazione dell’assetto societario;

va rilevato che parte ricorrente si limita a fare riferimento, in modo generico, al memorandum ed allo studio, senza tuttavia riprodurre specificamente, in violazione del principio di autosufficienza, il contenuto dei medesimi, al fine di consentire a questa Suprema Corte di verificarne la decisività ai fini del decidere, in particolare il fatto che gli stessi avessero contenuto tale da condurre a ritenere che la prestazione ricevuta avesse ad oggetto la riorganizzazione dell’assetto societario;

nè, a tal fine, può assumere rilevanza la produzione in questa sede del “memorandum” in data 25 luglio 2011, non potendo essa far venire meno il difetto di autosufficienza del motivo di ricorso in esame;

d’altro lato, con riferimento alla mancata considerazione dello studio, oltre che riportare anche relativamente a tale documento la sopra espressa considerazione del difetto di autosufficienza, non risulta in alcun modo indicato, da parte ricorrente, in quale fase era avvenuta la suddetta produzione e che, quindi, il documento era stato posto all’attenzione del giudice;

infine, va comunque rilevato che dall’esame del contenuto della sentenza si evince che, con riferimento al “memorandum”, sulla cui decisività parte ricorrente fonda le proprie ragioni di censura, lo stesso era stato espressamente tenuto in considerazione dal giudice di appello, il quale, tuttavia, stante la mancanza di sottoscrizione e, quindi, la riferibilità del documento alla prestazione di consulenza ricevuta, ha ritenuto di non potere ad esso attribuire valenza probatoria;

sul punto, quindi, indicato dalla ricorrente, il giudice di appello si è espressamente pronunciato, sicchè non può ritenersi sussistente alcun vizio, sotto il profilo motivazionale, censurato da parte ricorrente;

con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2712 c.c., per mancato riconoscimento del valore di prova ai documenti prodotti dalla ricorrente e non contestati dall’Agenzia delle entrate; con il terzo motivo si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 167 c.p.c., per non avere considerato che i documenti prodotti dalla ricorrente (fatture, memorandum e studio Glass s.p.a.) non erano stati contestati dall’Agenzia delle entrate;

i motivi, che possono essere esaminati unitamente, sono inammissibili;

va osservato che con gli stessi parte ricorrente si limita a evidenziare che l’Agenzia delle entrate non aveva contestato la genuinità e la provenienza della documentazione prodotta dalla ricorrente, ma solo il contenuto, avendo solo dedotto che gli stessi non provassero che la prestazione resa fosse finalizzata alla ristrutturazione societaria;

così come articolato, il secondo motivo non indica in alcun modo il punto della sentenza che si intende censurare e, inoltre, lo stesso, come il terzo motivo, risente, anche in questo caso, delle considerazioni già espresse in ordine al difetto di autosufficienza, in quanto non consentono di verificare, in mancanza di specifica riproduzione, quale fosse il contenuto effettivo della documentazione richiamata;

con il quarto motivo, si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il giudice omesso di pronunciare sulla conclusione formulata in via subordinata di non applicazione della sanzione in presenza di normativa di difficile interpretazione e comunque in relazione alla richiesta di ricalcolo degli importi dovuti previa compensazione con l’importo erroneamente versato quale imposta ILOR e IRPEG;

il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, non avendo la ricorrente riprodotto le parti delle conclusioni indicate nel motivo di ricorso in esame che consentano di verificare la censurata omissione;

ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento in favore della resistente delle spese di lite che si liquidano in Euro 7.800,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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