Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.25452 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 7961 del ruolo generale dell’anno 2011 proposto da:

OR.VA.S. di V.S. e C., in persona del legale rappresentante pro tempore, nonchè V.S.G. e V.G., rappresentati e difesi, per procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Giovanni Ruta, elettivamente domiciliati in Roma, via Cola di Rienzo, n. 264, presso lo studio dell’Avv. Giulio Romani Longari;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

e nei confronti di:

D.A. e R.C., quali eredi del socio De.An.;

– intimati –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 50/36/10, depositata in data 21 aprile 2010;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20 aprile 2018 dal Consigliere Giancarlo Triscari;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale dott.ssa Mastroberardino Paola, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito per l’Agenzia delle entrate l’Avvocato dello Stato Bruno Dettori.

FATTI DI CAUSA

La società OR.VA.S. di V.S. e C., in persona del legale rappresentante pro tempore, nonchè V.S.G. e V.G., ricorrono con sedici motivi per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia presso la quale era stata riassunta la causa a seguito della pronuncia di questa Suprema Corte della ordinanza n. 4305/2009, depositata il 23 febbraio 2009, che, in accoglimento del ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, aveva cassato la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 41/35/2006, depositata il 24 maggio 2006, e rinviato alla medesima Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, per il riesame e conseguente decisione nel merito.

Il giudice di appello ha premesso, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato alla società un avviso di accertamento con il quale, per l’anno di imposta 1998, aveva rettificato il reddito di impresa dichiarato e accertato un maggiore imponibile Iva e Irap e, ai soci, V.S., V.G. e De.An., un maggiore reddito di partecipazione; avverso i suddetti atti impositivi la società contribuente ed i soci avevano proposto ricorso; la Commissione tributaria provinciale di Milano li aveva parzialmente accolti, riducendo l’importo complessivo preteso; avverso la suddetta pronuncia avevano proposto appello la società contribuente ed i soci, nel contraddittorio con l’Agenzia delle entrate; La Commissione tributaria regionale della Lombardia aveva accolto l’appello sotto il profilo del difetto di motivazione degli avvisi di accertamento impugnati, in quanto l’ufficio finanziario aveva acriticamente recepito le risultanze del p.v.c. senza dare alcuna specifica giustificazione sul mancato accoglimento delle deduzioni difensive dei contribuenti; avverso la pronuncia del giudice di appello aveva proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate; la Corte di cassazione, con ordinanza 4305/5/09, depositata il 23 febbraio 2009, in accoglimento del ricorso, aveva cassato la pronuncia con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia per la decisione nel merito; a seguito della pronuncia della Corte di cassazione, la società ed i soci avevano riassunto la causa dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.

La Commissione tributaria regionale della Lombardia, nei cui confronti la causa è stata riassunta, ha parzialmente accolto l’appello.

In particolare, con riferimento agli importi rilevati nei conti correnti intestati ai soci o di cui ne avevano la disponibilità, ha ritenuto che i suddetti soci non ne avessero dato alcuna giustificazione, sicchè li ha considerati come omessi ricavi; con riferimento, poi, alle diverse voci di costo riprese a tassazione, ha indicato le ragioni per le quali, in taluni casi, dovevano essere considerati spese deducibili; ha quindi rideterminato il redditi accertato e l’Iva dovuta, nella misura del quattro per cento piuttosto che del venti per cento, demandando all’ufficio finanziario per la rettifica degli accertamenti Irap, Irpef e conseguenti sanzioni.

Avverso la suddetta pronuncia hanno proposto ricorso la OR.VA.S di V.S. e C., in persona del legale rappresentante pro tempore, nonchè V.S.G. e V.G., affidato a sedici motivi.

L’Agenzia delle entrate si è costituita depositando controricorso. D.A. e R.C., quali eredi del socio De.An., non si sono costituiti.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente osservato che, rispetto alle conclusioni del Pubblico ministero di generale inammissibilità del ricorso perchè contenente censure prospettate in modo complessivo e unitario, senza potersi sceverare le specifiche ragioni di doglianza, pur tuttavia, al di là della materiale riproduzione degli atti di causa che, assorbe in modo consistente il contenuto del ricorso, è comunque possibile individuare i fatti causa e la vicenda processuale in esame ed esaminare gli specifici motivi di censura, non incorrendosi, in questo caso, nella violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), fermo restando, come si avrà modo di precisare, i profili di inammissibilità delle specifiche ragioni di censura prospettate.

1. Sui motivi di censura proposti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

Si ritiene, per ragioni di sistematicità logica, di dovere preliminarmente esaminare i motivi secondo, terzo e quinto, che possono essere unitamente valutati attesa la identità della questione prospettata.

1.1. I motivi secondo, terzo e quinto, relativi all’avviso di accertamento nei confronti di V.S..

In particolare, con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 189 c.p.c., comma 1, art. 277 c.p.c., comma 1, per non avere il giudice di appello pronunciato sulle nuove domande proposte in sede di giudizio di appello riassunto a seguito della cassazione con rinvio, costituendo vizio di error in procedendo comportante la nullità della sentenza impugnata.

Parte ricorrente, in particolare, si duole che il giudice di appello non ha reso pronuncia sulla domanda di inesistenza e comunque di nullità, inefficacia ed inopponibilità dell’avviso di accertamento n. ***** Irpef 1998, atteso che lo stesso, notificato a V.S.G., si era fondato sull’erroneo presupposto che questi fosse socio della società “Virtù e Vizi di L.R. s.a.s.”, mentre questi non era mai stato socio della suddetta società.

Il motivo è infondato.

La pronuncia censurata ha statuito sulla questione della legittimità della ripresa anche nei confronti di V.S.G., ritenendo, in tal modo, di dovere implicitamente rigettare la questione proposta di vizio dell’avviso di accertamento allo stesso notificato.

Peraltro, si evince dal contenuto del ricorso proposto da V.S.G. (pag. 14 del ricorso) che lo stesso, pur avendo ravvisato la non corretta individuazione della società di cui lo stesso era stato ritenuto partecipe (Virtù e Vizi sas di R.L.), aveva chiaramente evidenziato che lo stesso doveva essere reputato quale errore di trascrizione, identificandosi quale socio della Or.Va. sas, tanto che aveva richiesto che, in mancanza della definizione dell’accertamento nei confronti di quest’ultima ditta a seguito della presentazione del ricorso, ed atteso che i redditi di partecipazione erano connessi alla verifica della legittimità dell’accertamento nei confronti della società, aveva chiesto l’annullamento dell’accertamento a lui notificato.

Pertanto, la questione della diversa indicazione della società di cui il V.S.G. era socio, era stata chiaramente individuata quale conseguenza di un errore materiale, mentre, d’altro lato, il contribuente aveva evidenziato il proprio ruolo di socio della ditta in esame.

Tale profilo assume particolare rilevanza, facendo venire meno ogni considerazione della ragione di doglianza prospettata.

Le considerazioni sopra espresse hanno valore assorbente relativamente al terzo motivo di ricorso, con il quale si censura la sentenza impugnata per violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42 e del D.M. 11 febbraio 1997, n. 37, art. 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto l’avviso di accertamento notificato a V.S. era errato in ordine alla individuazione del presupposto della pretesa impositiva allo stesso notificata, in quanto questi non era mai stato socio della società “Virtù e Vizi di L.R. s.a.s.”.

Con il quinto motivo si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 189 c.p.c., comma 1, art. 277 c.p.c., comma 1, per non avere il giudice di appello tenuto conto che, in sede di giudizio di appello si era documentato che la cartella di pagamento n. *****, emessa a seguito della notificato dell’avviso di accertamento oggetto di impugnazione nel procedimento in esame, era stata oggetto di sgravio da parte dell’Agenzia delle entrate, tanto che la Commissione tributaria provinciale di Milano, chiamata a pronunciarsi sull’annullamento della cartella di pagamento, aveva dichiarato l’estinzione del giudizio.

Il motivo è infondato.

Va, in primo luogo, osservato che non è in alcun modo individuabile dalla documentazione riprodotta la ragione per cui l’Agenzia delle entrate avrebbe comunicato l’avvenuto sgravio del ruolo contenuto nella cartella impugnata, profilo invece fondamentale per comprendere se, con questa, si era ritenuto di dovere recedere dalla pretesa impositiva.

In ogni caso, parte ricorrente segnala che la pronuncia che avrebbe dichiarato la cessazione della materia del contendere era stata depositato in data 18 marzo 2006, sicchè la questione avrebbe dovuto essere prospettata o in corso di giudizio del grado di appello ovvero in sede di ricorso in Cassazione.

La questione, invece, secondo quanto affermato da parte ricorrente, era stato prospettata solo in sede di riassunzione.

Va, a tal proposito, evidenziato, come si avrà modo di ulteriormente ribadire nell’esame dei successivi motivi di ricorso, che la Commissione tributaria regionale, anche in questo caso, avendo deciso nel merito la controversia, ha implicitamente rigettato la questione prospettata, in conformità a quanto dispone il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63secondo cui le parti conservano la posizione processuale che avevano nel procedimento in cui è stata pronunciata la sentenza cassata e non possono formulare richieste diverse da quelle prese in tale procedimento, salvi gli adeguamenti imposti dalla sentenza di cassazione.

Tale previsione normativa, quindi, delimita sostanzialmente l’ambito del giudizio di riassunzione conseguente alla pronuncia della Corte di cassazione di rinvio, non potendosi, quindi, proporre questioni che si sarebbero dovuto prospettare nei precedenti gradi di giudizio.

1.2. Gli ulteriori motivi prospettati ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

Sempre per ragioni di coerenza logica, vengono esaminati unitamente i motivi primo e quarto, in quanto censurano la sentenza impugnata per error in procedendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 189 c.p.c., comma 1, art. 277 c.p.c., comma 1, avendo il giudice di appello omesso di pronunciare su specifici motivi di appello, incorrendo, in tal modo, nel vizio di nullità della sentenza. Con il primo motivo si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 189 c.p.c., comma 1 e art. 277 c.p.c., comma 1, per non avere il giudice di appello pronunciato sulle nuove domande proposte in sede di giudizio di appello riassunto a seguito della cassazione con rinvio, costituendo vizio di error in procedendo comportante la nullità della sentenza impugnata.

Con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 189 c.p.c., comma 1, art. 277 c.p.c., comma 1, per non avere il giudice di appello pronunciato sulle nuove domande proposte in sede di giudizio di appello riassunto a seguito della cassazione con rinvio, costituendo vizio di error in procedendo comportante la nullità della sentenza impugnata, in particolare sul ritenuto passaggio in giudicato della sentenza della Commissione tributaria regionale n. 41/35/06, depositata il 24 maggio 2006.

I due motivi sono inammissibili.

A tal proposito, va osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte (cass. civ., 12 dicembre 2014, n. 26200), il giudizio di rinvio deve svolgersi entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento e non si può estendere a questioni che, pur non esaminate specificamente, in quanto non poste dalle parti o non rilevate d’ufficio, costituiscono il presupposto logico – giuridico della sentenza stessa, formando oggetto di giudicato implicito ed interno, poichè il loro riesame verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio della loro intangibilità, con la conseguenza che deve escludersi la possibilità per il giudice del rinvio di sindacare la improponibilità della domanda, dipendente da qualunque causa, anche da inosservanza di modalità o di termini, pur essendo la stessa rilevabile d’ufficio in qualunque stato e grado del processo. Parte ricorrente, con i motivi in esame, aveva proposto dinanzi alla Commissione tributaria regionale di rinvio, per la prima volta e senza che le stesse fossero state proposte dinanzi alla Suprema Corte in sede di ricorso avverso la pronuncia della Commissione tributaria regionale n. 71/35/06, la questione del passaggio in giudicato di questa pronuncia, in quanto nel ricorso in Cassazione non era stato specificamente indicato il nominato della parte ricorrente e, inoltre, la ricorrente non aveva impugnato la pronuncia del giudice di appello in ordine al merito della controversia, ma aveva solo contestato la pronuncia nella parte in cui aveva ritenuto non motivato l’atto impugnato.

A tal proposito, va osservato che la pronuncia della Cassazione resa a seguito del ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate ha cassato la sentenza, rinviando al giudice di appello per la decisione nel merito.

Questa pronuncia ha costituito il limite ed il vincolo entro cui il giudice di rinvio ha dovuto pronunciare, sicchè correttamente ha ritenuto di dovere limitare la decisione alle questioni di merito attinenti alla valutazione o meno della fondatezza delle contestazioni compiute dalla contribuente sulla non correttezza della pretesa impositiva fatta valere dall’Amministrazione finanziaria.

Va, peraltro, ulteriormente osservato che, avendo parte ricorrente proposto, con i motivi di ricorso in esame, ragioni di censura della sentenza impugnata denunciando l’omessa pronuncia del giudice di appello su questioni processuali e non di merito, sul punto è costante l’orientamento di questa Suprema Corte (Cass. civ. n. 321 del 2016), secondo cui “Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale (…) non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte”.

Si ribadisce, sotto tale profilo, che la pronuncia del giudice di appello è stata resa avendo a proprio specifico riferimento il vincolo derivante dalla pronuncia del giudizio di Cassazione per il quale si doveva procedere ad esaminare nel merito la controversia.

In ogni caso, con riferimento al quarto motivo, si osserva che la pronuncia del giudice di appello si era limitata a annullare l’atto impugnato sotto il profilo del difetto di motivazione in sede di redazione dell’avviso di accertamento, non avendo, in quella sede, tenuto conto delle opposte ragioni prospettate dai contribuenti.

E’ evidente che quel profilo affrontato dalla Commissione tributaria regionale, che attiene alla questione del vizio di motivazione dell’atto impugnato, per non avere dato adeguata giustificazione delle ragioni per le quali le osservazioni dei contribuenti non sono state ritenute rilevanti, è altro rispetto a quello, di natura processuale, per il quale la Corte di Cassazione ha, con il rinvio, chiesto di pronunciare, e che attiene alla verifica della idoneità degli elementi di prova emersi nel corso del giudizio, sicchè non correttamente si prospetta da parte ricorrente l’esistenza di un giudicato interno.

Con il sesto motivo si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 189 c.p.c., comma 1, art. 277 c.p.c., comma 1, per non avere il giudice di appello pronunciato sulle doglianze proposte circa la sussistenza della prova documentale relativa alla legittimità delle detrazioni e deduzioni operate nonchè sulla non inerenza delle movimentazioni bancarie dei conti correnti e dei libretti intestati ai soci ed al terzo L.D..

Il motivo è inammissibile.

La censura di omessa pronuncia di cui all’art. 112 cod. proc. civ., censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), postula che l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa e, quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della “domanda” di appello, sicchè si differenzia dalla censura di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in cui viene in considerazione l’attività di esame del giudice, che si assume omessa, e non concerne direttamente la domanda o l’eccezione, ma una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia.

La pronuncia impugnata ha espressamente statuito in ordine alla questione della rilevanza probatoria degli elementi posti alla sua attenzione, in particolare ha ritenuto che, trattandosi di società a struttura personale e tenuto conto delle risultanze degli accertamenti della Guardia di finanza, in particolare dei conti correnti intestati ai soci o a terzi, nessuna giustificazione contraria alle suddette risultanze erano state offerte dai soci. La stessa, inoltre, ha specificamente selezionato le voci di costo ritenute deducibili, annullando i rilievi relativi alle riprese fiscali concernenti: gli omaggi, le provvigioni per le intermediazioni occasionali, le spese di rappresentanza, in quanto adeguatamente giustificate, ritenendo, quindi, non fornite di riscontro probatorio le altre spese dedotte.

Nel motivo di ricorso in esame, in realtà, sono esposte censure relative alla mancata considerazione del giudice di appello di una serie di elementi di valutazione di fatto, censurabili, eventualmente, con il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Analoghe considerazioni devono essere espresse per quanto concerne i motivi ottavo e decimo.

In particolare, con l’ottavo motivo si censura la sentenza impugnata per non essersi pronunciata sulla circostanza prospettata circa la asserita truffa ai danni dei ricorrenti da una certa S.F., la quale avrebbe rilasciato a S.S., per la restituzione dell’importo di 500,00 Franchi svizzeri, una procura notarile irrevocabile a prelevare il denaro presso il c/c ad essa intestato.

Con il decimo motivo si censura la sentenza per mancata pronuncia sulla ritenuta deduzione delle spese telefoniche e delle spese di regalie.

Come è dato vedere, anche in questo caso si prospettano motivi di doglianza per eventuali vizi di motivazione della sentenza relativi alla mancata considerazione di elementi di prova dedotti dalla parte e non considerati dal giudice di appello al fine di procedere alla decisione della controversia.

Con il dodicesimo motivo si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 189 c.p.c., comma 1, art. 277 c.p.c., comma 1, per non avere il giudice di appello pronunciato sulle doglianze proposte circa la non corretta applicazione della previsione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 avendo i ricorrenti dato prova che le movimentazioni bancarie non avevano rilevanza ai fini della determinazione di imposta nonchè dei soggetti beneficiari dei versamenti e della causale degli stessi, ed avendo eccepito che la suddetta previsione non autorizzava l’applicazione riguardo ai conti correnti bancari o libretti di deposito di cui risultavano intestatari e possessori esclusivamente terzi anche se legati al contribuente da vincoli familiari o commerciali, a meno che l’ufficio non ne prova l’intestazione fittizia.

Il motivo è inammissibile.

Lo stesso, in realtà, pur censurando la pronuncia sotto il profilo della nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), prospetta, in realtà, una ritenuta violazione di legge, in particolare una non corretta applicazione delle previsioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 in particolare dei limiti entro i quali è possibile estendere gli accertamenti anche su conti correnti di terzi.

Va comunque evidenziato che la pronuncia impugnata ha espressamente tenuto conto della natura “a struttura personale” della società contribuente ed ha fatto richiamo agli accertamenti della Guardia di finanza per quanto concerneva le verifiche compiute nei confronti dei conti correnti dei soci o di quelli di cui gli stessi avevano la disponibilità.

Con il motivo di censura in esame, in realtà, si prospettano ragioni di doglianza, anche in questo caso, attinenti, eventualmente, al vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla mancata rilevanza degli elementi probatori offerti dalla ricorrente, profilo già esaminato in ordine a quanto più specificamente osservato con riferimento al superiore sesto motivo, cui si rinvia. D’altro lato, i ricorrenti prospettano la mancata considerazione degli elementi di prova forniti per dimostrare che le movimentazioni bancarie aveva avuto ad oggetto beneficiari estranei alla attività della società, e quindi censure che attengono al merito della controversia, indicando vizi motivazionali che non possono essere fatti rientrare nell’ambito del profilo di censura in esame.

Con il quattordicesimo motivo si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 189 c.p.c., comma 1, art. 277 c.p.c., comma 1, per non avere il giudice di appello tenuto conto del fatto che l’ufficio aveva riconosciuto nell’atto di accertamento che l’importo delle perdite era pari a Lire 63.888.000, ma tale importo non è stato preso in considerazione dal giudice di appello.

Il motivo è inammissibile oltre che infondato.

Oltre che ribadire, anche in questo caso, la non corretta utilizzazione del motivo di censura in esame per contestare la pronuncia sotto il vizio motivazionale, si rileva che l’importo di Lire 63.888.000 risulta preso in considerazione dalla pronuncia censurata, atteso che il reddito complessivamente determinato di Lire 577.425.336 tiene conto della riduzione dell’importo di Lire 63.888.000 quali perdite dichiarate.

Con il sedicesimo motivo si censura la sentenza impugnata si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 189 c.p.c., comma 1, art. 277 c.p.c., comma 1, per non avere il giudice di appello pronunciato sulla richiesta della contribuente di invitare l’ufficio a produrre l’intero verbale della Guardia di finanza, prodotto solo parzialmente dinanzi al giudice di primo grado, al fine di acquisire ulteriori elementi che avrebbero potuto dare prova della non inerenza delle movimentazioni bancarie con l’attività della società contribuente.

Il motivo è inammissibile.

Va, anche in questa sede ribadito quanto osservato con riferimento al primo e quarto motivo di ricorso, in particolare che, avendo parte ricorrente proposto, con il motivo di ricorso in esame, una censura della sentenza impugnata denunciando l’omessa pronuncia del giudice di appello su questioni processuali e non di merito, trova applicazione il costante l’orientamento di questa Suprema Corte (Cass. civ. n. 321 del 2016).

2. I motivi di ricorso proposti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Con il settimo motivo si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere il giudice di appello pronunciato sulle doglianze proposte circa la sussistenza della prova documentale relativa alla legittimità delle detrazioni e deduzioni operate nonchè sulla non inerenza delle movimentazioni bancarie dei conti correnti e dei libretti intestati ai soci ed al terzo.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

Lo stesso, infatti, si limita genericamente a lamentare che il giudice di appello non ha argomentato circa le giustificazioni fornite in ordine detrazioni e deduzioni recuperate con la pretesa impositiva e sulla non inerenza delle movimentazioni dei conti correnti e del libretto intestato ai soci ed al terzo.

A tal proposito, va evidenziato che il vizio di motivazione prospettato non può esaurirsi nella mera contestazione dell’accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito, ma deve necessariamente essere proposto indicando specificamente il fatto decisivo, omesso o non correttamente valutato, che, ove considerato, avrebbe destituito di fondatezza l’argomento svolto a supporto della decisione impugnata e determinato quindi una differente soluzione della controversia.

Nella specie, i ricorrenti hanno allegato di avere fornito indicazioni circa le ragioni per le quali non era corretta la ritenuta non deducibilità o detraibilità degli importi contestati nonchè circa la provenienza e destinazione delle somme transitate sui conti, ma non hanno, nel rispetto del principio di autosufficienza, dato specifica contezza dei suddetti documenti ponendo questa Corte di nelle condizioni di poterne apprezzare concretamente il contenuto e quindi, la loro decisività.

Non è stato, peraltro, allegato o riprodotto l’atto di accertamento impugnato ed il processo verbale della Guardia di finanza, quest’ultimo richiamato dal giudice di appello nella pronuncia censurata alle cui risultanze la stessa ha fatto riferimento, circostanza che avrebbe potuto consentire a questa Suprema Corte di potere valutare la decisività dei fatti ora allegati dai ricorrenti.

Si precisa, sul punto, che, per quanto riguarda la questione delle detrazioni e deduzioni contestate, la pronuncia censurata ha argomentato sulle ragioni per le quali talune spese potevano essere considerate deducibili, in tal modo procedendo ad una selezione dei diversi elementi di prova a disposizione, sicchè la stessa mostra di avere esaminato per intero il suddetto materiale e di averne fatto compiuta selezione, avendo ritenuto, per il resto, implicitamente non rilevante.

Per quanto riguarda, poi, le ragioni di doglianza relativa all’omessa considerazione degli elementi proposti relativi alle movimentazioni bancarie e i libretti, fermo restando quanto sopra precisato, si rileva che, non possono ritenersi idonee a superare il ritenuto difetto di autosufficienza le indicazioni di cui al sesto motivo di ricorso, sopra esaminato, seppure proposto sotto il profilo del vizio della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ..

In questo, infatti, la parte si limita a fare generico riferimento a quanto dedotto nell’atto di appello in riassunzione, al punto B), ma in esso si fa solo riferimento al precedente atto di appello, richiamandosi genericamente ai motivi di doglianza in esso prospettati.

La suddetta indicazione, tuttavia, non è sufficiente al fine di superare il giudizio di non autosufficienza del motivo di ricorso in esame, posto che gli specifici documenti indicati nei suddetti atti non sono stati posti all’attenzione di questa Suprema Corte, restando quindi la prospettazione sul piano della mera allegazione.

In particolare, si è quindi solo fatto generico richiamo:

per quanto riguarda il conto corrente di V.S.:

a) alla necessità di procedere alla detrazione di emolumenti, di bonifici e dell’importo evidenziato come anticipo mutuo;

b) all’esistenza di assegni da cui risulterebbe il rimborso a parenti delle somme ricevute per l’acquisto di una casa in sostituzione di quella venduta;

per quanto riguarda il conto corrente ed i libretti nominati di V.G.:

a) all’esistenza di un errore contabile, alla mancata considerazione dello stipendio e delle somme versate dal marito per esigenze sue e familiari, agli esborsi per ragioni personali, errori di ricostruzione dei versamenti e prelevamenti compiuti;

per quanto riguarda L.D.:

a) alla mancata considerazione dell’assegno versato dalla madre come regalo nonchè alla circostanza che L.D. prestava attività lavorativa.

Come è dato vedere, le suddette circostanze sono state meramente dedotte in questo giudizio, peraltro attraverso un rinvio ad atti precedenti e non riportati in sede di ricorso, senza alcuna specifica riproduzione degli stessi o comunque senza che questa Corte sia stata messa nelle condizioni di conoscerne esattamente il contenuto al fine di apprezzarne la decisività.

I motivi nono, undicesimo e tredicesimo censurano la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in particolare: per non avere il giudice di appello indicato i motivi per i quali non aveva tenuto conto che l’importo di 500,00 Franchi svizzeri erano stati indicati come ricavi ed inerenti l’attività della Orvas s.a.s. (motivo nono); per non avere il giudice di appello indicato i motivi per i quali non aveva tenuto conto della documentazione prodotta relativa alla mancata deduzione delle spese telefoniche e delle spese per regalie (motivo undicesimo); per non avere tenuto conto della documentazione prodotta relativa alla movimentazioni bancarie, dei soggetti beneficiari dei versamenti (motivo tredicesimo).

I motivi in esame propongono motivi di censura riferibili a quanto dedotto con i precedenti motivi ottavo, decimo e dodicesimo, proposti per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), e sui quali si è già sopra avuto modo di pronunciare.

In particolare, con riferimento al motivo nono, si è fatto riferimento all’episodio della truffa subita da V.S. da certa S.F. e, al fine di risolvere la questione, questa avrebbe rilasciato, con atto notarile, a restituire ratealmente l’importo di 500,00 franchi svizzeri.

Con riferimento al motivo undicesimo, si è fatto riferimento alla documentazione prodotta, e non esaminata dal giudice di appello, relative alla mancata deduzione delle spese telefoniche e delle spese per regalie.

Con riferimento al motivo tredicesimo, si è fatto riferimento alla prova documentale prodotta circa le movimentazioni bancarie ed i soggetti destinatari dei versamenti.

Complessivamente può dirsi che le circostanze sopra indicate risultano solo meramente prospettate in questa sede, senza che, nel rispetto del principio di autosufficienza, sia stata riportata, con riferimento al motivo nono, la procura notarile cui si fa menzione nonchè documentata la effettiva restituzione dell’importo, la documentazione relativa alla non deducibilità delle spese telefoniche e altre spese ritenute deducibili, con riferimento al motivo undicesimo, nonchè gli elementi da cui potere ricavare i destinatari dei versamenti e la causale degli stessi.

Con riferimento, infine, al quindicesimo motivo di ricorso, con il quale si censura la sentenza impugnata per omessa pronuncia sul mancato riconoscimento della perdita di Lire 63.888.000, si fa rinvio a quanto esposto in sede di esame del motivo quattordicesimo.

3. Conclusioni.

Per quanto sopra esposto, il secondo e quinto motivo di ricorso sono infondati, assorbito il terzo, inammissibili gli ulteriori motivi, con conseguente rigetto del ricorso e condanna dei ricorrenti al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite del presente grado di giudizio che si liquidano in complessive Euro 7.300,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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