Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.25453 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 7965 del ruolo generale dell’anno 2011 proposto da:

OR.VA.S di V.S. e C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Giovanni Ruta, elettivamente domiciliata in Roma, via Cola di Rienzo, n. 264, presso lo studio dell’Avv. Giulio Romani Longari;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale pro tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 51/36/10, depositata in data 21 aprile 2010;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20 aprile 2018 dal Consigliere Giancarlo Triscari;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale dott.ssa Mastroberardino Paola, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

FATTI DI CAUSA

La società OR.VA.S di V.S. e C., in persona del legale rappresentante pro tempore, ricorre con sette motivi per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia presso la quale era stata riassunta la causa a seguito della pronuncia di questa Suprema Corte della ordinanza n. 4308/2009, depositata il 23 febbraio 2009, che, in accoglimento del ricorso, aveva cassato la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 71/35/2006, depositata il 28 luglio 2006, e rinviato ad altra sezione della medesima Commissione tributaria regionale per il riesame e conseguente decisione nel merito.

Il giudice di appello ha premesso, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato alla società un avviso di accertamento con il quale, per l’anno di imposta 1998, aveva contestato l’omessa regolarizzazione di operazioni Iva; avverso il suddetto atto impositivo la società contribuente aveva proposto ricorso; la Commissione tributaria provinciale di Milano lo aveva parzialmente accolto, riducendo l’importo complessivo legittimamente preteso; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello la società contribuente, nel contraddittorio con l’Agenzia delle entrate; La Commissione tributaria regionale della Lombardia aveva accolto l’appello sotto il profilo del difetto di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato, in quanto l’ufficio aveva acriticamente recepito le risultanze del p.v.c. senza dare alcuna specifica giustificazione in ordine al mancato accoglimento delle deduzioni difensive dei contribuenti; avverso la pronuncia del giudice di appello aveva proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate; la Corte di cassazione, con ordinanza 4308/5/09, depositata il 23 febbraio 2009, in accoglimento del ricorso, aveva cassato con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia, per la decisione di merito; a seguito della pronuncia della Corte di cassazione, la società aveva riassunto la causa dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.

La Commissione tributaria regionale della Lombardia, dinanzi alla quale la causa è stata riassunta, ha parzialmente accolto l’appello. In particolare, con riferimento alla somma rilevata nei conti correnti intestati ai soci o di cui ne avevano la disponibilità, ha ritenuto che i suddetti soci non ne avessero dato alcuna giustificazione, sicchè li ha considerati come omessi ricavi; ha quindi rideterminato l’iva dovuta, nella misura del 4 per cento.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la OR.VA.S di V.S. e C., in persona del legale rappresentante pro tempore, affidato a sette motivi.

Non si è costituita l’Agenzia delle entrate.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente osservato che, rispetto alle conclusioni del Pubblico ministero di generale inammissibilità del ricorso perchè contenente censure prospettate in modo complessivo e unitario, senza potersi sceverare le specifiche ragioni di doglianza, pur tuttavia, al di là della materiale riproduzione degli atti di causa che, assorbe in modo consistente il contenuto del ricorso, è comunque possibile individuare i fatti causa e la vicenda processuale in esame ed esaminare gli specifici motivi di censura, non incorrendosi, in questo caso, nella violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), fermo restando, come si avrà modo di precisare, i profili di inammissibilità delle specifiche ragioni di censura prospettate.

Con il primo motivo si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 189 c.p.c., comma 1, art. 277 c.p.c., comma 1, per non avere il giudice di appello pronunciato sulle nuove domande proposte in sede di giudizio di appello riassunto a seguito della cassazione con rinvio, costituendo vizio di error in procedendo comportante la nullità della sentenza impugnata.

Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 189 c.p.c., comma 1, art. 277 c.p.c., comma 1, per non avere il giudice di appello pronunciato sulle nuove domande proposte in sede di giudizio di appello riassunto a seguito della cassazione con rinvio, costituendo vizio di error in procedendo comportante la nullità della sentenza impugnata, in particolare sul ritenuto passaggio in giudicato della sentenza della Commissione tributaria regionale n. 71/35/06, depositata il 28 luglio 2006.

I due motivi sopra indicati, che possono essere esaminati unitamente, in quanto attengono alla medesima questione, sono inammissibili.

A tal proposito, va osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte (cass. civ., 12 dicembre 2014, n. 26200), il giudizio di rinvio deve svolgersi entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento e non si può estendere a questioni che, pur non esaminate specificamente, in quanto non poste dalle parti o non rilevate d’ufficio, costituiscono il presupposto logico – giuridico della sentenza stessa, formando oggetto di giudicato implicito ed interno, poichè il loro riesame verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio della loro intangibilità, con la conseguenza che deve escludersi la possibilità per il giudice del rinvio di sindacare la improponibilità della domanda, dipendente da qualunque causa, anche da inosservanza di modalità o di termini, pur essendo la stessa rilevabile d’ufficio in qualunque stato e grado del processo. Parte ricorrente, con i motivi in esame, aveva proposto dinanzi alla Commissione tributaria regionale di rinvio, per la prima volta e senza che le stesse fossero state proposte dinanzi alla Suprema Corte in sede di ricorso avverso la pronuncia della Commissione tributaria regionale n. 71/35/06, la questione del passaggio in giudicato di questa pronuncia, in quanto nel ricorso in Cassazione non era stato specificamente indicato il nominativo della parte ricorrente e, inoltre, la ricorrente non aveva impugnato la pronuncia del giudice di appello in ordine al merito della controversia, senza alcuna specifica contestazione sul punto della sentenza che aveva statuito sul merito della controversia, ma solo contestando la pronuncia nella parte in cui aveva ritenuto non motivato l’atto impugnato.

A tal proposito, la pronuncia della Cassazione resa a seguito del ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate ha cassato la sentenza, rinviando al giudice di appello per la decisione nel merito.

Questa pronuncia ha costituito il limite ed il vincolo entro cui il giudice di rinvio ha dovuto pronunciare, sicchè correttamente ha ritenuto di dovere rendere pronuncia sulle questioni di merito attinenti alla valutazione o meno della fondatezza delle contestazioni compiute dalla contribuente sulla non correttezza della pretesa impositiva fatta valere dall’Amministrazione finanziaria.

Va, peraltro, ulteriormente osservato che, avendo parte ricorrente proposto, con i motivi di ricorso in esame, censura della sentenza impugnata denunciando l’omessa pronuncia del giudice di appello su questioni processuali e non di merito, sul punto è costante l’orientamento di questa Suprema Corte (Cass. civ. n. 321 del 2016), secondo cui “Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale (…) non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte”.

Si ribadisce, sotto tale profilo, che la pronuncia del giudice di appello è stata resa avendo a proprio specifico riferimento il vincolo derivante dalla pronuncia del giudizio di Cassazione per il quale si doveva procedere ad esaminare nel merito la controversia.

Con il terzo motivo si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 189 c.p.c., comma 1, art. 277 c.p.c., comma 1, per non avere il giudice di appello pronunciato sulle doglianze proposte circa la sussistenza della prova documentale relativa alla legittimità delle detrazioni e deduzioni operate nonchè sulla non inerenza delle movimentazioni bancarie dei conti correnti e dei libretti intestati ai soci ed al terzo L.D..

Il motivo è inammissibile.

La censura di omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c., censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), postula che l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa e, quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della “domanda” di appello, sicchè si differenzia dalla censura di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in cui viene in considerazione l’attività di esame del giudice, che si assume omessa, e non concerne direttamente la domanda o l’eccezione, ma una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia.

La pronuncia impugnata ha espressamente statuito in ordine alla questione della rilevanza probatoria degli elementi posti alla sua attenzione, in particolare ha ritenuto che, trattandosi di società a base ristretta e tenuto conto delle risultanze degli accertamenti della Guardia di finanza, in particolare dei conti correnti intestati ai soci o a terzi, nessuna giustificazione contraria alle suddette risultanze erano state offerte dai soci.

Nel motivo di ricorso in esame, in realtà, sono esposte censure relative alla mancata considerazione del giudice di appello di una serie di elementi di valutazione di fatto, censurabili, quindi, con il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere il giudice di appello pronunciato sulle doglianze proposte circa la sussistenza della prova documentale relativa alla legittimità delle detrazioni e deduzioni operate nonchè sulla non inerenza delle movimentazioni bancarie dei conti correnti e dei libretti intestati a terzi.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

Lo stesso, infatti, si limita genericamente a lamentare che il giudice di appello non ha argomentato circa le giustificazioni fornite in ordine detrazioni e deduzioni recuperate con la pretesa impositiva e sulla non inerenza delle movimentazioni dei conti correnti e del libretto intestato ai soci ed al terzo.

A tal proposito, va evidenziato che il vizio di motivazione prospettato non può esaurirsi nella mera contestazione dell’accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito, ma deve necessariamente essere proposto indicando specificamente il fatto decisivo, omesso o non correttamente valutato, che, ove considerato, avrebbe destituito di fondatezza l’argomento svolto a supporto della decisione impugnata e determinato quindi una differente soluzione della controversia.

Nella specie, i ricorrenti hanno allegato di avere fornito indicazioni circa le ragioni per le quali non era corretta la ritenuta non deducibilità o detraibilità degli importi contestati nonchè circa la provenienza e destinazione delle somme transitate sui conti, ma non hanno, nel rispetto del principio di autosufficienza, dato specifica contezza dei suddetti documenti ponendo questa Corte di nelle condizioni di poterne apprezzare concretamente il contenuto e quindi, la loro decisività.

Si precisa, sul punto, che, per quanto riguarda la questione delle detrazioni e deduzioni contestate, non si evince, dagli atti a disposizione, che la questione era stata prospettata dinanzi al giudice di primo e, successivamente, in appello.

Stando al contenuto del ricorso introduttivo, prodotto dalla ricorrente, si evince che la questione, peraltro prospettata in modo generico, atteneva unicamente al profilo della non utilizzabilità delle risultanze dei conti correnti intestati a terzi e dell’onere ricadente sull’amministrazione finanziaria di dimostrare il collegamento dei conti correnti con l’attività del soggetto verificato. Nel successivo atto di appello, anch’esso prodotto dalla ricorrente, si evince che era stata ribadita la suddetta ragione di contestazione e, in questo contesto, il richiamo compiuto nel suddetto atto a quanto contenuto nell’atto di appello contro la sentenza n. 248/2004 doveva essere considerato limitato a queste ragioni di doglianza, quindi senza potersi tenere conto di eventuali ulteriori ragioni prospettate nell’ambito del suddetto, diverso, atto richiamato.

Per quanto riguarda, poi, le ragioni di doglianza relativa all’omessa considerazione degli elementi proposti relativi alle movimentazioni bancarie e i libretti, fermo restando quanto sopra precisato, si rileva che, non possono ritenersi idonee a superare il ritenuto difetto di autosufficienza le indicazioni di cui al terzo motivo di ricorso, sopra esaminato.

In questo, infatti, la parte si limita a fare generico riferimento a quanto dedotto nell’atto di appello in riassunzione, al punto B), ma in esso si fa solo riferimento al precedente atto di appello, richiamando ai motivi di doglianza in esso prospettati, nonchè a quelli, richiamati, nel diverso atto di appello contro la sentenza n. 248/2004, nè risulta che la documentazione ivi richiamata era stata depositata nel corso del presente giudizio.

Le suddette indicazioni, tuttavia, non sono sufficienti al fine di superare il giudizio di non autosufficienza del motivo di ricorso in esame, posto che gli specifici documenti indicati nei suddetti atti non sono stati posti all’attenzione di questa Suprema Corte, restando quindi la prospettazione sul piano della mera allegazione. Con il quinto motivo si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 189 c.p.c., comma 1, art. 277 c.p.c., comma 1, per non avere il giudice di appello pronunciato sulla doglianza relativa alla non applicabilità della previsione di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 relativa alla utilizzabilità dei prelevamenti e degli importi riscossi nell’ambito delle movimentazioni bancarie di soggetti terzi rispetto alla società contribuente.

Il motivo è infondato.

La pronuncia impugnata ha espressamente tenuto conto della natura “a struttura personale” della società contribuente ed ha fatto richiamo agli accertamenti della Guardia di finanza per quanto concerneva le verifiche compiute nei confronti dei conti correnti dei soci o di quelli di cui gli stessi avevano la disponibilità.

Con il motivo in esame, in realtà, si censura il ritenuto vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla mancata rilevanza degli elementi probatori offerti dalla ricorrente, profilo già esaminato in ordine a quanto più specificamente osservato con riferimento al superiore quarto motivo, cui si rinvia.

Con il sesto motivo si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere il giudice di appello ritenuto genericamente che i soci non avevano dato giustificazione delle ragioni delle movimentazioni, nonostante la prova documentale relativa alla legittimità delle detrazioni e deduzioni operate nonchè della non inerenza delle movimentazioni bancarie dei conti correnti e dei libretti intestati ai soci ed al terzo L.D..

Sul punto, si ritiene che quanto osservato con riferimento ai motivi quinto e sesto ha valore assorbente del presente motivo di censura.

Con il settimo motivo si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 189 c.p.c., comma 1, art. 277 c.p.c., comma 1, per non avere il giudice di appello pronunciato sulla richiesta della contribuente di invitare l’ufficio a produrre l’intero verbale della Guardia di finanza, prodotto solo parzialmente dinanzi al giudice di primo grado, al fine di acquisire ulteriori elementi che avrebbero potuto dare prova della non inerenza delle movimentazioni bancarie con l’attività della società contribuente.

Il motivo è inammissibile.

Va, anche in questa sede ribadito quanto osservato con riferimento al secondo motivo di ricorso, in particolare che, avendo parte ricorrente proposto, con il motivo di ricorso in esame, una censura della sentenza impugnata denunciando l’omessa pronuncia del giudice di appello su questioni processuali e non di merito, trova applicazione il costante l’orientamento di questa Suprema Corte (Cass. civ. n. 321 del 2016).

Per quanto sopra esposto, il ricorso non può trovare accoglimento e deve essere rigettato.

Nulla sulle spese, attesa la mancata costituzione della intimata.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso.

Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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