Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.25457 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 15817/2011 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

T.G.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria centrale – Sezione di Venezia n. 727/02/10, depositata il 22 aprile 2010.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 maggio 2018 dal Cons. Giacomo Maria Nonno.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Sorrentino Federico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

Udito l’Avv. Paola Zerman per la ricorrente.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 727/02/10 del 22/04/2010, la Commissione tributaria centrale – Sezione di Venezia respingeva l’impugnazione proposta dall’Agenzia delle entrate e l’impugnazione incidentale proposta da T.G., così confermando la sentenza della Commissione tributaria di secondo grado di Treviso nei confronti di un avviso di accertamento a fini IRPEF e ILOR relativamente all’anno d’imposta 1982, originariamente annullato nella sua interezza dalla Commissione tributaria di primo grado di Treviso.

1.1. Come si evince dalla sentenza della CTC: a) con l’avviso di accertamento impugnato veniva rideterminato il reddito del contribuente a fini IRPEF e ILOR in ragione di maggiori ricavi accertati e costi indebitamente dedotti; b) i maggiori ricavi contestati derivavano essenzialmente dalla ritenuta simulazione dei mandati a vendere ricevuti dal T., i quali occultavano in realtà dei veri e propri acquisti di autoveicoli; c) la Commissione tributaria di secondo grado aveva annullato le riprese riguardanti la riqualificazione giuridica di tali mandati, aveva ammesso la deduzione dei costi risultanti da elementi certi e precisi, come individuati dai verificatori, e aveva sancito la detraibilità dai ricavi dei risconti passivi relativi all’anno *****, da imputare all’anno *****; d) la sentenza della Commissione tributaria di secondo grado veniva impugnata in via principale dall’Ufficio e in via incidentale dal T..

1.2. La CTC motivava il rigetto degli appelli evidenziando, per quanto ancora interessa in questa sede, che: a) con riferimento alla simulazione dei negozi di compravendita degli autoveicoli, le particolari clausole contenute nei mandati di intermediazione erano “del tutto consentite dall’Ordinamento in virtù del riconoscimento dell’autonomia delle parti nel regolamento dei propri interessi”; b) la disciplina dei due contratti (intermediazione e compravendita) era prevista e connotata dal codice civile e ciò assumeva riflessi anche nel diritto tributario, così come riconosciuto dal Giudice penale che aveva assolto il contribuente dai reati fiscali allo stesso contestati, reputando che l’accusa non aveva fornito piena prova dell’intento simulatorio; c) con riferimento alla deducibilità dei costi ex D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, si richiamavano i “principi espressi dalla giurisprudenza, già affermatasi in ante all’approvazione del TUIR, sul vecchio D.P.R. n. 597 del 1973, art. 74, per i quali la norma ex art. 74 doveva intendersi riferita all’ipotesi di redditi dichiarati (sicchè in mancanza di registrazione dei costi sul conto profitti e perdite, questi non potevano essere esposti in dichiarazione dei redditi a scarico del reddito d’impresa) e non già a quella di redditi accertati (o maggiori redditi accertati), ipotesi nella quale l’Ufficio non poteva disattendere i costi, purchè certi e verificati, sostenuti per la produzione del reddito o del maggior reddito”; d) ne conseguiva che la deduzione dei costi ammessa dal Giudice di secondo grado, riguardando oneri e spese verificate dagli accertatori, doveva essere confermata.

2. Avverso la sentenza della CTC la Agenzia delle entrate proponeva tempestivo ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.

3. Il sig. T. non si costituiva in giudizio e, pertanto, restava intimato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia motivazione insufficiente su un fatto controverso e decisivo del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, evidenziando che la CTC non avrebbe argomentato sugli elementi sintomatici offerti dall’Ufficio in ordine alla ritenuta simulazione dei contratti di mandato a vendere, che in realtà celano dei veri e propri acquisti.

2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2,comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi che la CTC avrebbe dovuto provvedere ad una autonoma riqualificazione dei contratti di mandato, che hanno lo scopo di celare una differente operazione con conseguente beneficio fiscale per il contribuente.

3. Con il terzo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione del D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12, conv. con modif. nella L. 7 agosto 1982, n. 516, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi che la CTC avrebbe fondato il proprio convincimento sulle valutazioni del giudice penale, che ha assolto il sig. T. dall’accusa di avere simulato le procure a vendere, senza considerare che la valutazione del giudice tributario è autonoma e prescinde dalle risultanze del giudizio penale.

4. I tre motivi, riguardando tutti la questione della asserita simulazione dei mandati a vendere, possono essere trattati congiuntamente e sono inammissibili o infondati.

4.1. La CTC ha affermato che le clausole particolari, che hanno destato i sospetti e supportato le convinzioni dell’Ufficio, sono “consentite dall’Ordinamento in virtù del riconoscimento dell’autonomia delle parti nel regolamento dei propri interessi”. Trattasi di regola che è valida non solo per il diritto civile, ma anche per quello tributario atteso che i due istituti di cui si discute (intermediazione e compravendita) “sono disciplinati e connotati dal codice civile, sicchè la loro disciplina non può non riflettersi nei campi diversi da quello civile, come del resto pure riconosciuto dal Giudice Penale che ha pronunciato l’assoluzione dai reati fiscali collegati reputando che l’accusa non aveva fornito piena prova dell’intento simulatorio”.

4.2. La CTC dà, dunque, atto di avere tenuto conto della peculiarità dei contratti di mandato, ma, nel giudizio della Commissione, tali circostanze non sono idonee a giustificare la sussistenza della ritenuta simulazione contrattuale, tenuto conto che l’apposizione di particolari clausole rientra nell’ambito dell’autonomia negoziale delle parti.

4.3. La difesa erariale – oltre a non riprodurre, nemmeno a titolo esemplificativo, il contenuto dei contratti di mandato, il che già rende dubbia l’ammissibilità del primo motivo sotto il profilo dell’autosufficienza – tende, in ogni caso, a mettere in discussione la valutazione del giudice di merito in ordine alla qualificazione giuridica del negozio sulla base dei medesimi elementi di fatto che quest’ultimo ha già preso in considerazione con valutazione non illogica e, quindi, a chiedere inammissibilmente, in sede di legittimità, una ripetizione del giudizio di merito.

4.4. Nè il terzo motivo, che fa riferimento alla valutazione compiuta dal giudice penale, è fondato, tenuto conto del fatto che l’accertamento penale è stato assunto dalla CTC come mero elemento indiziario teso a suffragare le proprie conclusioni e non già posto alla base del rigetto della tesi della simulazione.

4.5. Quanto al secondo motivo, non è dubbio che il giudice tributario di merito possa procedere alla riqualificazione del rapporto, indipendentemente dal nomen iuris che allo stesso hanno dato le parti e tenuto conto degli effetti del contratto medesimo, tuttavia, nel caso di specie, la CTC ha chiaramente ritenuto che i mandati a vendere non siano simulati e nel compiere tale valutazione di sua spettanza non ha violato alcuna norma di legge.

5. Con il quarto motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 74 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che l’interpretazione della CTC, per la quale i costi accertati dai verificatori devono comunque essere dedotti dai maggiori ricavi, è erronea, non risultando i costi dedotti indicati nelle scritture contabili nè nel conto profitti e perdite.

6. Il motivo è fondato.

6.1. Posto che, come si ricava dall’avviso di accertamento allegato al ricorso, l’Ufficio ha proceduto ad accertamento analitico-induttivo del reddito e non già ad accertamento induttivo puro, costituisce principio pacifico in giurisprudenza quello per il quale “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, in virtù del D.L. n. 90 del 1990, art. 2, comma 6-bis, (conv., con modif., dalla L. n. 165 del 1990), avente, come norma interpretativa, efficacia retroattiva, sia il D.P.R. n. 597 del 1973, art. 74 che il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora 109, comma 5) devono intendersi nel senso che le spese e i componenti negativi sono deducibili anche se non risultino dal conto dei profitti e delle perdite, purchè siano almeno desumibili dalle scritture contabili” (Cass. n. 23457 del 06/10/2017; conf. Cass. n. 8322 del 27/04/2016; Cass. n. 1706 del 26/01/2007; Cass. n. 7313 del 29/03/2006; Cass. n. 21571 del 07/11/2005; Cass. n. 13081 del 08/09/2003; Cass. n. 8000 del 21/05/2003; Cass., n. 15981 del 14/11/2002; Cass. n. 6051 del 26/04/2002).

6.2. E’ vero che il D.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695, art. 5 che ha abrogato il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, il comma 6, ha introdotto un principio in virtù del quale è consentito all’imprenditore, in sede di accertamento dell’imposta sul reddito, dedurre dal reddito imponibile anche i costi d’impresa non risultanti dalle scritture contabili, tuttavia tale principio non è applicabile ratione temporis.

6.3. Nel caso di specie, la deduzione dei costi ammessa dal Giudice di secondo grado attiene a oneri e spese verificate dagli accertatori, ma è contestato e non risulta che gli stessi siano desumibili dalle scritture contabili.

7. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, evidenziandosi che la CTC non ha preso in considerazione il motivo di ricorso dell’Ufficio con il quale si è censurata la rideterminazione del reddito in lire 188.538.000, essendosi limitata a confermare la decisione di secondo grado.

8. Il motivo è infondato.

8.1. Nella sentenza della CTC sussiste un riferimento alla avvenuta rideterminazione del reddito da parte della Commissione tributaria di secondo grado (p. 2); inoltre la CTC afferma che “La sentenza impugnata merita conferma” e che vanno rigettati sia il ricorso dell’Ufficio che il ricorso incidentale del contribuente. Ne consegue l’implicito rigetto del motivo di ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria e, dunque, la non impugnabilità della sentenza per omessa pronuncia.

9. In conclusione, va accolto il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri; la sentenza impugnata va cassata limitatamente al motivo accolto e rinviata alla CTR del Veneto perchè provveda anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso e rigetta gli altri motivi;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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