LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5634/2011 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia, in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
MIDAL s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Angelo Mario Lauro e dall’Avv. Luca Maria Pietrosanti, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Emanuele Carloni, in Roma, Via Oslavia n. 39/F, giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Regionale del Lazio n. 69/39/2010 depositata il 21 gennaio 2010.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 29 maggio 2018 dal Consigliere Dott. Luigi D’Orazio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del primo e del secondo motivo, assorbiti gli altri.
FATTI DI CAUSA
1. La Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale che aveva accolto il ricorso presentato dalla Midal M.I. Distribuzione Alimentari Latina s.p.a. avverso l’avviso di accertamento per Iva, Irpeg, Irap relativo all’anno 2003. In particolare, la Commissione regionale condivideva la motivazione della sentenza di primo grado.
2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.
3. Resisteva con controricorso la contribuente, che depositava sentenza dichiarativa di fallimento della società.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Anzitutto si rileva che l’intervenuta dichiarazione di fallimento non provoca l’interruzione del giudizio di cassazione.
Invero, l’intervenuta modifica della L. Fall., art. 43, per effetto del D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 41, nella parte in cui stabilisce che “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”, non comporta l’interruzione del giudizio di legittimità, posto che in quest’ultimo, in quanto dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge (Cass. Civ., 15 novembre 2017, n. 27143).
1.1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto la Commissione regionale si è limitata a richiamare la motivazione della sentenza di primo grado, senza rispondere alle censure avanzate nei confronti della sentenza di prime cure dalla Agenzia delle entrate (“la CTR si è limitata a richiamare per relationem la sentenza di prime cure, omettendo di prendere in considerazione e valutare le puntuali censure del ricorso in appello dell’Ufficio”).
1.2. Tale motivo è fondato.
Invero, per giurisprudenza consolidata di legittimità, in tema di processo tributario, è nulla, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare “per relationem” alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, atteso che, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame (Cass. Civ., 26 giugno 2017, n. 15884; Cass. Civ., 16 dicembre 2013, n. 28113). Nella specie, la Commissione regionale si è limitata ad affermare che “la Commissione tributaria provinciale…ha accolto il ricorso del contribuente con una motivazione ampia ed esauriente, motivazione che viene condivisa in pieno da questo Collegio…questo Collegio non ravvisa motivi per pervenire ad una diversa conclusione”.
In realtà, quindi, la Commissione regionale non ha tenuto in alcun conto delle precise ed analitiche censure mosse dalla Agenzia delle entrate alla sentenza di primo grado, con l’atto di appello, riportate dalla ricorrente nel rispetto del principio di autosufficienza dei motivi di impugnazione (cfr. pagine 6 e 7 del ricorso per cassazione ove è trascritto il contenuto dell’atto di appello). In particolare nell’atto di appello si fa riferimento alla conoscenza da parte della contribuente dei processi verbali di constatazione richiamati nell’avviso di accertamento, alla circostanza che i valori indicati non sono altro che la somma dei singoli rilievi indicati analiticamente nel processo verbale di constatazione, alla presenza della motivazione per ogni singolo rilievo, alla contraddittorietà della motivazione di prime cure, alla violazione dell’art. 112 c.p.c., per ultra petizione (cfr. pagina 37 del ricorso per cassazione), alla indeducibilità delle perdite derivanti da rinuncia immotivata ad un credito (pagina 42 del ricorso per cassazione), alla natura di spese di rappresentanza per l’organizzazione della convention aziendale di gruppo, al fine di aumentare il prestigio della società (cfr. pagina 49 del ricorso per cassazione).
A tutte queste censure la Commissione regionale non ha in alcun modo risposto, limitandosi ad un richiamo solo per relationem alla sentenza di primo grado, ed aggiungendo (“ad abundantiam”) solo alcune precisazione dal contenuto del tutto generico ed astratto, senza alcun riferimento alla fattispecie concreta oggetto di esame (“a) la premessa di validità di ogni atto è una motivazione comprensibile che consenta al contribuente di potersi difendere…b) l’ufficio con l’appello evidenzia che il Giudice è chiamato ad esprimersi sulle domande poste, ma è pur vero che, essendo molti aspetti dell’accertamento non proprio accessibili e/o comprensibili, la società aveva chiesto di pronunciarsi su tutto quanto indicato nell’atto; c) gli stessi Giudici hanno esternato le loro difficoltà ad individuare il ragionamento logico deduttivo posto a base dell’ufficio…”).
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18 e art. 112 c.p.c. e conseguenziale nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, in quanto la ripresa a tassazione di maggiori ricavi per complessivi Euro 322.906,24 costituiva la sommatoria di quattro diversi rilievi (A, B, C e D), mentre la società ricorrente si è limitata ad impugnare nel merito solo il rilievo B (spese relative al controllo di gestione delle società controllate per Euro 50.000), la Commissione tributaria provinciale, incorrendo nel vizio di ultra petizione, ha annullato i rilievi A, B e D, per profili diversi dalla insufficiente motivazione, ma nel merito.
3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 66, comma 3, anche in combinato disposto con l’art. 65, u.c., stesso D.P.R.; violazione o falsa applicazione dell’art. 1325 c.c., nn. 2 e 3 e art. 1965 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto la rinuncia al credito è stata del tutto immotivata sì da non costituire una transazione, ma un atto ingiustificato di liberalità, indeducibile ex art. 65 T.U.I.R., all’epoca vigente.
4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente censura la decisione di secondo grado per “insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, essendo del tutto insufficiente la motivazione in ordina alla qualificazione della rinuncia al credito come atto di transazione, senza considerare le concrete pattuizioni delle parti.
5. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 74 comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto le spese dell’organizzazione della “convention” aziendale di “gruppo”, non sono spese di pubblicità, ma spese di rappresentante sostenute solo per accrescere il prestigio della società, migliorandone l’indagine, ma non per incrementare il processo di vendita.
6. Con il sesto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, con riferimento alla motivazione sulla natura di spesa di pubblicità in relazione all’organizzazione della predetta convention. 7. I motivi secondo, terzo, quarto, quinto e sesto, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono assorbiti, in ragione dell’accoglimento del primo motivo di ricorso, che impone una rivalutazione dei fatti ed una nuova esaustiva motivazione da parte del giudizio del rinvio.
8. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
In accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018