Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.25462 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 24743/2011 R.G. proposto da:

Alpem s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Giuseppe Marra e dall’Avv. Francesca Marra, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Roberto Folchitto, in Roma, Via dei Monti Parioli n. 28, giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia, in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Regionale della Lombardia n. 21/6/2011 depositata il 10 febbraio 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 29 maggio 2018 dal Consigliere Dott. Luigi D’Orazio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’estinzione del giudizio;

udito l’Avv. Paolo Gentile per l’Agenzia delle Entrate.

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate notificava avvisi di accertamento alla Alpem s.r.l., con riferimento agli anni 2003, 2004 e 2005, recuperando a tassazione costi relativi ad operazioni inesistenti, costi indeducibili, non di competenza e non inerenti.

2. La Commissione tributaria provinciale accoglieva i ricorsi proposti dalla contribuente limitatamente alle fatture emesse per operazioni inesistenti ed agli emolumenti per intermediazione.

3. La Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello principale proposto dalla Agenzia delle Entrate, rilevando che gli elementi addotti dall’Ufficio per dimostrare l’inesistenza delle operazioni costituivano valida prova presuntiva, che gli “emolumenti per intermediazioni” non erano deducibili, come pure i costi per “stampi” e quelli per spese di rappresentanza, mentre non rispondevano al criterio della competenza le spese per provvigioni relative agli anni 2002 e 2003 e non al 2004.

4. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la società.

5. Resisteva con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

6. Veniva presentata dalla società istanza di rinuncia al ricorso per adesione alla definizione agevolata di cui al D.L. n. 193 del 2016, art. 6.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce “insufficiente motivazione circa un fatto decisivo e controverso ai fini del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la società si duole della “violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, non sussistendo indizi sufficienti per dimostrate l’inesistenza delle operazioni sottese alle fatture.

3. Con il terzo motivo la società deduce “nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, artt. 2727 c.c. e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, non essendo gli elementi di prova addotti dall’Ufficio dotati dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, commi 1 e 5 e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in relazione agli emolumenti per intermediazione.

5. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente censura la decisione della Commissione regionale per “insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5”, in relazione al rilievo della indeducibilità dei costi.

6. Con il sesto motivo la ricorrente si duole della “omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 – Violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 108, comma 2”, con riguardo alla decisione in ordine alle spese di rappresentanza.

7. Con il settimo motivo di impugnazione la società deduce “omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5”, in ordine alle provvigioni ed alla loro corretta imputazione nell’esercizio di competenza.

8. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Invero, la società ha depositato istanza di rinuncia al ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 390 c.p.c., per adesione alla definizione agevolata di cui al D.L. n. 193 del 2016, art. 6, sottoscritta solo dall’Avv. Giuseppe Marra.

Non risulta, però, la notifica o la comunicazione della rinuncia alla Agenzia delle Entrate, sicchè non può essere dichiarata l’estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 390 c.p.c..

Per giurisprudenza di legittimità, tuttavia, a norma dell’art. 390 c.p.c., u.c., l’atto di rinuncia al ricorso per cassazione deve essere notificato alle parti costituite o comunicato agli avvocati delle stesse, che vi appongono il visto; ne consegue che, in difetto di tali requisiti, l’atto di rinuncia non è idoneo a determinare l’estinzione del processo, ma, poichè è indicativo del venir meno dell’interesse al ricorso, ne determina comunque l’inammissibilità (Cass.Civ., Sez. Un., 18 febbraio 2010, n. 3876).

P.Q.M.

Dichiara dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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