Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.25470 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1767-2011 proposto da:

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA C.SO TRIESTE 61, presso lo studio dell’avvocato TIZIANA SGOBBO, che lo rappresenta e difende delega in atti;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 83/2009 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di LIVORNO, depositata il 19/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/06/2018 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE AUGUSTINIS UMBERTO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato TIZIANA SGOBBO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

M.R. impugnava una cartella di pagamento innanzi alla CTP di Livorno, emessa per Registro ed INVIM, sul presupposto di precedenti avvisi di accertamento e liquidazione confermati da sentenze divenute definitive della CTR della Toscana. La pretesa fiscale riguardava l’imposta relativa a tre atti di compravendita stipulati negli anni ***** reclamata alla ricorrente in qualità di coobbligata al pagamento dell’imposta quale venditrice. La CTP accoglieva il ricorso. L’Agenzia delle entrate spiegava appello, rilevando che nella specie non doveva essere applicato il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17,bensì il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76 ed in ogni caso sussisteva la prescrizione decennale di cui all’art. 78. La CTR della Toscana, con la sentenza in epigrafe indicata, accoglieva il gravame. M.R. ricorre per la cassazione della sentenza, svolgendo tre motivi. L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione proposta dall’Agenzia delle entrate con controricorso, in quanto notificato direttamente a mezzo di servizio postale, con raccomandata A/R, quindi, senza il tramite dell’Ufficiale giudiziario. Si argomenta che, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 2, “Al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le regole dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto”, con la conseguenza che la notificazione diretta a mezzo del servizio postale non è ammessa nel giudizio di legittimità, in quanto non prevista dal codice di procedura civile.

1.1.L’eccezione non è fondata per le considerazioni che seguono.

La L. n. 53 del 1994 introduce la possibilità per il difensore di procedere alla notificazione di atti civili, amministrativi e stragiudiziali, servendosi del servizio postale o con modalità telematica, ovvero anche provvedendovi di persona, nel caso in cui destinatario del procedimento notificatorio sia un altro difensore. La legge consente, pertanto, anche la notifica del ricorso per cassazione a mezzo posta, purchè sussistano alcuni necessari presupposti. Condizione essenziale per accedere alla notifica diretta è costituita dalla procura alle liti, a norma dell’art. 83 c.p.c.. Altra condizione essenziale è costituita dall’autorizzazione del Consiglio dell’ordine nel cui albo è iscritto l’avvocato, la quale è rilasciata preventivamente, a condizione che il professionista non abbia procedimenti disciplinari pendenti e che non abbia riportato la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio professionale, o altra più grave sanzione. Per poter eseguire le notificazioni previste dalla legge in esame, il difensore deve munirsi di apposito registro cronologico (art. 8), il cui modello è stato stabilito con D.M. 27 maggio 1994. Quanto alla notificazione per mezzo del servizio postale, la legge in esame fa esplicito riferimento alla L. n. 890 del 1982 (cfr. art. 149 c.p.c.), sicchè ad essa si applicano le stesse modalità previste per la notificazione compiuta dall’ufficiale giudiziario per mezzo posta e gli adempimenti imposti al difensore sono gli stessi imposti all’ufficiale giudiziario. Il difensore, una volta predisposta l’apposita busta, e l’avviso di ricevimento, con le indicazioni concernenti il destinatario, con il numero di registro cronologico, con il proprio domicilio e la propria sottoscrizione, deve presentarla all’ufficiale postale con l’originale dell’atto da notificare.

L’originale dell’atto deve recare la relazione di notificazione redatta dal difensore, con l’espressa menzione dell’ufficio postale per mezzo del quale sia stata spedita la copia al destinatario in piego raccomandato con avviso di ricevimento, nonchè il timbro di vidimazione del detto ufficio postale.

1.2. Nella specie, non risulta dagli atti di causa che la notifica del ricorso eseguita a mezzo del servizio postale dallo stesso procuratore della ricorrente, sia stata autorizzata dal Consiglio dell’Ordine, con la conseguenza che il difensore non poteva avvalersi della facoltà concessagli dalla L. n. 53 del 1994 (Cass. n. 13922 del 2002).

Tuttavia, questa Corte, con specifico riferimento all’ ipotesi di mancanza di autorizzazione preventiva alla notifica del ricorso, ha stabilito che: “La notificazione dell’atto introduttivo del giudizio compiuta personalmente dall’avvocato, in caso di violazione di uno qualsiasi dei presupposti stabiliti dalla L. 21 gennaio 1994, n. 53, è nulla e non inesistente, ma la nullità, non riguardando un vizio formale, bensì la stessa sussistenza della facoltà dell’avvocato di eseguire la notificazione in proprio, può essere sanata soltanto dalla tempestiva sostituzione dell’intimato, essendo a tal fine irrilevante l’avvenuta consegna dell’atto”. (Cass. n. 5743 del 2011). Pertanto, la nullità della notifica, per il principio del raggiungimento dello scopo (ex art. 156 c.p.c.), è stata sanata dalla costituzione in giudizio dell’Agenzia delle entrate.

2. Prima delle esame delle censure, va rilevata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e finanze atteso che: “In tema di contenzioso tributario, a seguito del trasferimento alle agenzie fiscali, da parte del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 57, comma 1, di tutti i “rapporti giuridici”, i “poteri” e le “competenze” facenti capo al Ministero dell’Economia e delle Finanze, a partire dal ***** (giorno di inizio di operatività delle Agenzie fiscali in forza del D.M. 28 dicembre 2000, art. 1), unico soggetto passivamente legittimato è l’Agenzie delle entrate, sicchè è inammissibile il ricorso per cassazione promosso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze ” (Cass. n. 1550 del 2015).

3. Con il primo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata, denunciando violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tenuto conto che applicando il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, la notifica della cartella di pagamento sarebbe dovuta avvenire entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui l’accertamento era divenuto definitivo, nella fattispecie entro il 31 dicembre *****, mentre era avvenuta in data *****, oltre il termine decadenziale di notifica.

4. Con il secondo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata denunciando violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che l’argomentazione sostenuta dalla CTR non potrebbe ritenersi giuridicamente sostenibile atteso che, pur dovendosi ritenere l’inapplicabilità del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, l’imposta avrebbe dovuto essere richiesta nei termini fissati dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 2, lett. b).

5. Il primo ed il secondo motivo di ricorso vanno esaminati congiuntamente per connessione logica. In disparte l’inammissibilità delle esposte censure, perchè prospettano una pluralità di questioni senza individuare per ciascuna delle doglianze lo specifico vizio di violazione di legge o di motivazione (Cass. n. 21611 del 2013), le stesse sono infondate.

La questione sottoposta all’esame della Corte riguarda la decadenza dell’Ufficio dal potere impositivo in base ad un accertamento divenuto definitivo con sentenza passata in giudicato, e quindi la decorrenza del termine di prescrizione del relativo credito iscritto a ruolo.

Questa Corte ha chiarito, in tema di Imposta di registro ed INVIM, che:”Qualora la pretesa erariale si fondi su di una sentenza passata in giudicato, la relativa cartella esattoriale, avendo ad oggetto un credito definitivamente accertamento, va emessa entro il termine decennale di prescrizione previsto dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 78, non trovando applicazione, nell’ipotesi in questione, il termine triennale di decadenza di cui al medesimo D.P.R., art. 76 che concerne, invece, l’esercizio del potere di imposizione” (Cass. n. 6617 del 2011), nè è applicabile il termine annuale di decadenza sancito dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, lett. c) (rilevante “pro tempore”), che attiene alle somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio divenuti definitivi per mancata impugnazione dell’atto impositivo che li contiene (Cass. n. 8380 del 2013). E’ stato, altresì, precisato che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, nel prevedere il termine triennale di decadenza dal passaggio in giudicato della sentenza, tende ad accelerare non l’attività di riscossione, ma quella ulteriore di determinazione dell’imposta ed ha, perciò, carattere residuale, concernendo la sola ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria debba procedere ad un ulteriore accertamento (Cass. n. 20153 del 2014; Cass. n. 13179 del 2014).

6. Con il terzo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata, denunciando violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per quanto riguarda il mancato esame dell’appello incidentale proposto dal contribuente, con cui si è lamentato che la cartella impugnata non conteneva nè l’indicazione del rappresentante del concessionario nè la firma meccanografica dello stesso, ai sensi della L. n. 212 del 2000, con conseguente invalidità dell’atto impositivo.

6.1. Va premesso che alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito, allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità del ritorno della causa in fase di merito) sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti in fatto (Cass. n. 16171 del 2017; conf. Cass. n. 9693 del 2018).

6.2. Nella specie, in disparte l’inammissibilità del motivo per carenza di autosufficienza, lo stesso è infondato alla luce dei principi condivisi di questa Corte, secondo cui l’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell’amministrazione finanziaria non è richiesta dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, a pena di nullità, in quanto tale sanzione è stata introdotta per le cartelle di pagamento dal D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4 ter, conv., con modif., dalla L. n. 31 del 2008, applicabile solo alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal ***** (Cass. n. 11856 del 2017). Pertanto, trattandosi di una cartella notificata in epoca antecedente a tale data, non può ravvisarsi alcuna nullità. Inoltre, la mancanza di sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, quando non è in dubbio la riferibilità di questa all’Autorità da cui promana, giacchè l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui sia prevista dalla legge, mentre, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, la cartella va predisposta secondo il modello approvato con decreto dal Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore ma solo la sua intestazione (Cass. n. 26053 del 30.12.2015; Cass. n. 13461 del 2012).

7. In definitiva il ricorso va rigettato nei termini di cui in motivazione e le spese seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso nei termini di cui in motivazione e lo dichiara inammissibile nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Condanna la parte soccombente al rimborso delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 5000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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