Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.25492 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13120/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– ricorrente –

contro

Bavaria Italia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difeso dagli avv. Matteo Rossomando e Alessandra Giovannetti, con domicilio eletto presso il loro studio, sito in Roma, via Bissolati, 76;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n. 1471/1/14, depositata il 17 dicembre 2014.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’8 maggio 2018 dal Consigliere Dott. Paolo Catallozzi.

RILEVATO

che:

– l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, depositata il 17 dicembre 2014, di reiezione degli appelli – riuniti dalla medesima proposti avverso le sentenze di primo grado che avevano accolto i ricorsi per l’annullamento di distinti avvisi di accertamento con cui, relativamente agli anni 2007 e 2008, erano state recuperate a tassazione l’i.re.s. e l’i.ra.p. non versate, a seguito della contestazione della indebita deduzione di oneri non deducibili, e l’i.v.a. indebitamente detratta e irrogate le relative sanzioni;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che gli oneri ritenuti non deducibili si riferivano ad erogazioni versate alle imprese distributrici per l’apertura di nuovi punti di vendita;

– il giudice di appello ha ritenuto tali costi inerenti, in quanto rientranti nella norma attività di natura commerciale dell’impresa e preordinati al conseguimento di un vantaggio di natura economica, in relazione al l’incremento del proprio volume di ricavi;

– il ricorso è affidato a due motivi;

– resiste con controricorso la Bavaria Italia s.r.l., la quale, inoltre, deposita memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso l’Agenzia denuncia la violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, comma 5, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19 e art. 2697 c.c., per aver il giudice di appello ritenuto inerenti i costi pur in assenza del requisito della stretta correlazione all’attività di impresa;

– il motivo è infondato;

– il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa (e non dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5, ora art. 109, comma 5, del medesimo D.P.R., riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perchè il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo (così, Cass. 11 gennaio 2018, n. 450);

– ciò posto, i costi sostenuti per la promozione del marchio e del prodotto che si intende lanciare sul mercato vanno considerati, ai fini fiscali, inerenti all’attività di impresa, risultando evidente il loro immediato collegamento con l’attività di impresa (cfr. Cass. 22 dicembre 2014, n. 27198);

– con il secondo motivo la ricorrente si duole della nullità della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36 e art. 118 e art. 132 disp. att. c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della inerenza dei costi in oggetto;

– il motivo è infondato, in quanto la sentenza di appello argomenta la sua decisione di riconoscere l’inerenza dei costi con la riconducibilità di tali costi – di cui accerta la effettiva esistenza e la regolare contabilizzazione – alla “normale attività di natura commerciale” della contribuente, in funzione al “proprio e autonomo vantaggio economico” che quest’ultima trae dall’apertura di nuovi punti vendita delle imprese ce curano la distribuzione dei suoi prodotti;

– si è, dunque, in presenza di una motivazione che indica gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, rendendo, in tal modo, possibile il controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento;

– pertanto, il ricorso non può essere accolto;

– in considerazione del fatto che l’orientamento giurisprudenziale favorevole alla inerenza all’attività di impresa dei costi sostenuti per la promozione del marchio e del prodotto che si intende lanciare sul mercato risulta essersi consolidato successivamente alla proposizione del presente ricorso appare opportuno disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 8 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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