Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.25493 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28143-2011 proposto da:

F.R., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato BARTOLOMEO MALFATTO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA CELLE ENTRATE UFFICIO CONTROLLI DI PERUGIA in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliano in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA CENTRO SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 109/2011 della COMM.TRIB.REG. di PERUGIA, depositata il 24/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/05/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO BERNAZZANI.

RILEVATO

che:

Il contribuente F.R. propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza della CTR dell’Umbria n. 109/1/11, emessa in data 4.5.2011 e depositata il 24.5.2011, che, in controversia concernente l’impugnazione di cartella esattoriale emessa D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 36-ter a seguito del mancato riconoscimento di agevolazioni fiscali relative ad una ristrutturazione edilizia, rigettava l’appello proposto dallo stesso contribuente e confermava la decisione di prime cure.

Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso. Equitalia Centro s.p.a. (già Sorit s.p.a.) è rimasta intimata.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 cod. proc. civ. e del D.M. 18 febbraio 1998, n. 41, art. 4 (Regolamento recante norme di attuazione e procedure di controllo di cui alla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 1 in materia di detrazioni per le spese di ristrutturazione edilizia), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Secondo il ricorrente, la sentenza della CTR sarebbe affetta dai vizi di violazione di legge – in riferimento ai presupposti per il mancato riconoscimento della detrazione per spese di ristrutturazione edilizia -, e di omessa o insufficiente motivazione, avendo i giudici d’appello negato, contrariamente a quanto risultante dagli atti, che il contribuente avesse dato prova della produzione, prima in sede amministrativa e poi in sede giudiziale, della documentazione richiesta nella comunicazione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 ter, comma 4 in data 18.12.2006 (relazione tecnica, concessione edilizia, comunicazione al Centro Servizi di Pescara ed all’ASL), la cui mancanza era stata posta alla base dell’iscrizione a ruolo e dell’emissione della cartella esattoriale.

La sentenza impugnata, inoltre, risulterebbe affetta dal vizio di ultrapetizione, avendo ritenuto l’insufficienza della documentazione prodotta dal contribuente ai fini di beneficiare della detrazione fiscale e, quindi, la legittimità della cartella esattoriale fondata su tale presupposto, sulla base dell’assenza di documenti che, in realtà, non rientravano fra quelli oggetto della comunicazione in data 18.12.2006.

2. Il motivo è inammissibile, sotto plurimi profili.

2.1 Quanto alla deduzione della violazione di norme processuali sotto il paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, questa Corte (cfr. Cass. Sez. 6 – 3, 28/09/2015, n. 19124, Rv. 636722 – 01) ha affermato il principio secondo cui “è inammissibile il ricorso per cassazione in cui sia denunciata puramente e semplicemente la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto” ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., senza alcun riferimento alle conseguenze che l’errore (sulla legge) processuale comporta, vale a dire alla nullità della sentenza e/o del procedimento, essendosi il ricorrente limitato ad argomentare solo sulla violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato”. Tale principio – destinato a valere, per identità di ratio, non soltanto per la dedotta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., ma anche per quella, logicamente connessa alla prima, delle altre disposizioni processuali di cui agli artt. 115 e 116 c.p.c. -, si ricollega ai principi espressi da Cass. Sez. U, 24/07/2013, n. 17931, Rv. 627268 – 01, la cui validità si estende anche al caso specifico che qui occupa, secondo cui “il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 4 con riguardo all’art. 112 cod. proc. civ., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge”.

Nella specie, il motivo non fa riferimento alla nullità della decisione derivante dalla violazione delle norme processuali indicate: di qui la sua inammissibilità nei termini illustrati.

2.2. Sotto altro e convergente profilo, il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

Il ricorrente pone alla base dell’enunciazione del motivo il fatto che la cartella di pagamento impugnata riportava in motivazione, quale presupposto della sua emissione, la mancata produzione di determinati documenti, indispensabili per poter usufruire della detrazione d’imposta (nel contesto espositivo del ricorso, si fa riferimento, in particolare, alla relazione tecnica relativa all’intervento eseguito, alla concessione edilizia, nonchè alla comunicazione al Centro Servizi di Pescara ed all’ASL), i quali sarebbero stati indicati nella comunicazione, da parte dell’A.d.E., dell’esito del controllo formale D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-ter, comma 4 avvenuta il 18.12.2006. Tali documenti, peraltro, secondo quanto affermato dal contribuente, a seguito della predetta comunicazione erano stati prodotti nella fase amministrativa, oltre che nuovamente depositati in giudizio.

In tale prospettiva, va osservato che la motivazione della sentenza impugnata fa riferimento non soltanto alla citata comunicazione del 18.12.2006 (senza specificarne il contenuto), ma, altresì, ad un successivo avviso dell’Agenzia datato 16.3.2007, “riguardante il diniego delle agevolazioni” e contenente “motivazioni e richieste”; di seguito, la CTR rileva (in ciò accogliendo le controdeduzioni dell’Ufficio) che fra la documentazione prodotta dal contribuente non erano presenti alcuni documenti essenziali – diversi da quelli sopra menzionati -, ed in particolare la dichiarazione di esecuzione dei lavori sottoscritta da un professionista abilitato, necessaria, a pena di decadenza dal beneficio, per lavori di importo superiore ad Euro 51.645,69; la variante alla concessione edilizia; infine, un apposito prospetto contabile, con allegate fatture, recante l’indicazione separata delle spese per lavori di ristrutturazione rispetto a quelle per lavori di ampliamento della volumetria, queste ultime escluse dal beneficio (cfr. il D.M. 18 febbraio 1998, n. 41, art. 1, commi 1 e 2 e art. 4).

Proprio con specifico riferimento a tale profilo, il ricorrente lamenta che la CTR sarebbe incorsa nei dedotti vizi di ultrapetizione, violazione di legge ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in quanto avrebbe, da un lato, negato che il ricorrente avesse provato il tempestivo deposito dei documenti di cui alla comunicazione del 18.12.2006, e, dall’altro, avrebbe dato rilievo decisivo alla mancanza di documenti che non erano stati richiesti nella predetta comunicazione dell’Agenzia, unica ad essere richiamata per relationem dalla cartella di pagamento impugnata.

2.3. Orbene, il principio di autosufficienza del ricorso impone inequivocabilmente che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti atti e documenti del processo, ivi compresa la sentenza stessa. (Cass. Sez. 6 3, 03/02/2015, n. 1926, Rv. 634266 – 01).

In tale ottica, rileva il Collegio che il ricorrente, intendendo censurare la sentenza della CTR sia sotto il profilo del vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione alla valutazione circa la congruità della motivazione della cartella esattoriale alla luce della allegata completezza della documentazione richiesta dall’Ufficio e prodotta dal contribuente, sia sotto gli ulteriori profili del rispetto, da parte dei giudici di appello, dei limiti del giudizio sulla legittimità della pretesa fiscale alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto enunciati nell’atto impositivo, nonchè dei presupposti per la richiesta detrazione, avrebbe dovuto riportare testualmente nel ricorso il contenuto della motivazione della cartella e della comunicazione dalla stessa richiamata che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, oltre al contenuto delle altre comunicazioni e richieste successive, al fine di consentire la verifica della fondatezza delle censure esclusivamente mediante l’esame del ricorso.

2.4. La carenza del ricorso sotto il profilo in esame determina, dunque, l’inammissibilità del motivo con riferimento a tutte le doglianze in esso prospettate, fermo restando l’ulteriore – e convergente – rilievo che le medesime censure, laddove tendono a porre in discussione la valutazione di carenza e/o insufficienza della documentazione offerta dal contribuente al fine di godere dell’agevolazione fiscale richiesta – valutazione operata dalla CTR sulla base di una dettagliata individuazione dei documenti richiesti dall’Ufficio e non trasmessi e di una esauriente indicazione delle ragioni della loro rilevanza in rapporto alle previsioni normative applicabili – attengono al merito della controversia, il cui scrutinio è sottratto al giudizio di legittimità.

3. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 1, art. 19, comma 1, lett. d), art. 24 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta, in tale prospettiva, il contribuente l’omessa notificazione del ruolo nella sua interezza, da intendersi quale requisito essenziale del procedimento di riscossione, e rileva l’erroneità della decisione della CTR laddove la stessa ha ritenuto che la notificazione della cartella valga anche come notificazione del ruolo.

4. Il motivo è infondato.

L’opera nomofilattica delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. Sez. U, 02/10/2015, n. 19704, Rv. 636309 – 01) ha chiarito che dai dati normativi ricavabili dall’ordinamento tributario (cfr., in particolare, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 10, lett. b) a norma del quale il ruolo è “l’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall’ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario”; l’art. 11, medesimo D.P.R., a tenore del quale “nei ruoli sono iscritte le imposte, le sanzioni e gli interessi”; il successivo art. 12, che disciplina la formazione dei ruoli, distinti per ciascuno degli ambiti territoriali in cui i concessionari operano, ed il loro specifico contenuto, nonchè la loro sottoscrizione, anche mediante firma elettronica, dal titolare dell’ufficio o da un suo delegato, adempimento con il quale il ruolo diviene esecutivo) discende che il “ruolo” “è un atto amministrativo impositivo (fiscale, contributivo o di riscossione di altre entrate allorchè sia previsto come strumento di riscossione coattiva delle stesse) proprio ed esclusivo dell'”ufficio competente” (cioè dell’ente creditore impositore), quindi “atto” che, siccome espressamente previsto e regolamentato da norme legislative primarie, deve ritenersi tipico sia quanto alla forma che quanto al contenuto sostanziale”.

Le Sezioni Unite hanno posto in rilievo che, in quanto titolo esecutivo, il ruolo sottoscritto dal capo dell’ufficio o da un suo delegato, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 24, comma 1 viene consegnato al concessionario dell’ambito territoriale cui esso si riferisce, onde esso non soltanto è atto proprio ed esclusivo dell’ente impositore, “ma, nella progressione dell’iter amministrativo di imposizione e riscossione, precede ogni attività del concessionario, della quale costituisce presupposto indefettibile”. A sua volta, il concessionario della riscossione, sulla base del ruolo ricevuto, redige “in conformità al modello approvato” (oggi dall’Agenzia delle Entrate) “la cartella di pagamento” che, per il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 2 “contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata” e provvede, ai sensi del successivo art. 26, alla notificazione della cartella di pagamento al debitore.

In tale dimensione ricostruttiva, la richiamata pronuncia delle Sezioni Unite evidenzia come il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. d) indichi espressamente fra gli “atti impugnabili” “il ruolo e la cartella di pagamento”, mentre l’art. 21, comma 1, stesso D.Lgs. afferma espressamente che “la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo”.

Da tali disposizioni, osserva la Corte, “si evince pertanto che: il ruolo è atto che deve essere notificato e la sua notificazione coincide con la notificazione della cartella di pagamento; è atto impugnabile; il termine iniziale per calcolare i “sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato” (fissati a espressa “pena di inammissibilità” dalla prima parte del medesimo art. 21 per l’impugnazione di qualsiasi “atto impugnabile”) coincide con quello della “notificazione della cartella di pagamento”; entro il suddetto termine pertanto il debitore, giusta i principi generali, a seconda del suo interesse, può impugnare entrambi gli atti (“ruolo” e “cartella di pagamento”) contemporaneamente ovvero anche solo uno dei due che ritenga viziato, con l’ovvio corollario che la nullità di un atto non comporta quella degli atti precedenti nè di quelli successivi che ne sono indipendenti e quindi che la nullità della cartella di pagamento non comporta necessariamente quella del ruolo mentre la nullità del ruolo determina necessariamente la nullità anche della cartella, questa essendo giuridicamente fondata su quel ruolo e, pertanto, “dipendente” dallo stesso”.

5. Dal quadro normativo illustrato scaturisce, pertanto, un sistema compiuto nel quale la notificazione della cartella esattoriale, per espressa disposizione di legge, costituisce anche atto di comunicazione del ruolo e rappresenta, quindi, il primo atto della pretesa esecutiva che è comunicato all’interessato; il destinatario della cartella, con la notificazione di questa (che contiene i dati specifici riferiti al contribuente), è messo in condizione di svolgere le impugnazioni che attengono allo svolgimento del procedimento di riscossione, in un quadro che non evidenzia affatto il vulnus adombrato dal ricorrente in ordine alla piena esplicazione del diritto di difesa del contribuente in caso di mancata notificazione del ruolo nella sua interezza.

6. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La doglianza si incentra sulla mancata sottoscrizione del ruolo esattoriale, eccepita nel ricorso introduttivo, e sul fatto che nè l’Agenzia delle Entrate nè il concessionario per la riscossione avrebbero contestato tale circostanza, da ritenersi, quindi, pacifica; nonostante ciò, la CTR ha rigettato la relativa eccezione, ritenendo non assolto l’onere della prova della mancata sottoscrizione, gravante sul ricorrente, al quale era consentito l’accesso agli atti del procedimento.

7. Il motivo è inammissibile per carenza di autosufficienza in ordine allo specifico profilo della dedotta assenza di contestazione da parte dell’A.d.E. in ordine alla doglianza in esame; lo stesso è, in ogni caso, nel suo complesso infondato.

Va premesso, al riguardo, che, secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, “l’onere del rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – valido, oltre che per il vizio di cui all’art. 360, n. 5 anche per quello di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 – sussiste anche quando si reputi che una data circostanza debba ritenersi sottratta al thema decidendum, in quanto non contestata”. (Cass. Sez. 5, 23/07/2009, n. 17253, Rv. 609289 – 01) e che, “ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica”. (Cass. Sez. 6 – 1, 12/10/2017, n. 24062, Rv. 645760 01).

Ne consegue che il ricorrente, per consentire alla Corte di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, avrebbe dovuto sia indicare la sede processuale in cui è stata dedotta la tesi in esame, con la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi, sia riportare, nella parte di rilievo, il contenuto delle controdeduzioni dell’Ufficio, allo scopo di dimostrare che lo stesso non aveva contrastato la specifica doglianza del contribuente in ordine all’assenza di sottoscrizione del ruolo. Ciò, a maggior ragione, a fonte del rilievo che la decisione della CTR, nella parte relativa alla ricostruzione dello svolgimento del processo (p. 1 della motivazione), dà atto che l’Agenzia, in sede di costituzione avanti alla CTP, aveva contrastato “le pregiudiziali relative al ruolo, alla cartella (…)” e che, come si desume dal contenuto del controricorso dell’Ufficio, questo aveva precisamente contestato nelle sue difese di merito (l’Agenzia ha richiamato, in particolare, le controdeduzioni in appello in data 9.9.2009, sub n. 3) che la cartella di pagamento ed il ruolo erano conformi agli schemi normativi e possedevano tutti i requisiti di legge (ivi compresa, dunque, la sottoscrizione), non sussistendo alcuna reale incertezza sulla esatta provenienza di tali atti.

Nella specie, invece, il ricorrente si è limitato ad affermare la pretesa non contestazione di tale circostanza in modo sostanzialmente apodittico.

8. Ciò posto, va, comunque, aggiunto che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il ruolo esattoriale – quale atto amministrativo – è assistito da una presunzione dì legittimità che spetta al contribuente superare mediante prova contraria, sicchè, ove lamenti la carenza della sottoscrizione prescritta dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4, lo stesso deve darne dimostrazione tramite istanza di accesso (Cass. Sez. 5, 18/05/2018, n. 12243, Rv. 648369 – 01; Cass. Sez. 5, n. 26546 del 21/12/2016, Rv. 642363 – 01; da sottolineare che la presunzione iuris tantum di legittimità opera anche nei giudizi in cui è parte l’amministrazione che ha formato l’atto: cfr. Cass. 24/02/2004, n. 3654, Rv. 570463; Cass. 2/03/2012, n. 3253, Rv. 621447).

Pertanto, in difetto di prova sulla carenza di sottoscrizione del ruolo D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 12, comma 4, (prova che il contribuente era in grado di ottenere tramite istanza di accesso) la decisione d’appello risulta immune dai vizi denunciati.

9. Peraltro, deve ulteriormente considerarsi che il ruolo costituisce atto interno dell’Amministrazione, destinato ad acquisire rilevanza esterna solo attraverso la notifica della cartella e che, in mancanza di sanzione espressa di nullità, non rinvenendosi essa nel disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, u.c., tale sanzione, in forza del principio di tassatività delle nullità, non può trovare applicazione con specifico riferimento all’omessa sottoscrizione del ruolo (cfr. cfr. Cass. Sez. 5, n. 12243/18, cit.; Cass. Sez. 5, 14/11/2014, n. 24322).

Nè, tantomeno, la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente potrebbe comportare l’invalidità dell’atto, quando non è in dubbio la riferibilità di questo all’Autorità da cui promana, posto che l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui essa sia prevista dalla legge, mentre, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 la cartella va predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice.(cfr., Cass. Sez. 5, 30/12/2015, n. 26053, Rv. 638460 – 01; 25773/14).

10. In conclusione, il ricorso deve essere, nel suo complesso, rigettato.

A carico del ricorrente deve essere, di conseguenza, posto il pagamento delle spese del giudizio di legittimità sostenute dall’Agenzia controricorrente, che si liquidano in Euro 1.500,00, oltre spese prenotate a debito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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