LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. BERNAZZANI Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26156-2013 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI l2, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta difende;
– ricorrente –
contro
SICILIANA CARBOLIO SPA IN LIQUIDAZIONE IN CONCORDATO PREVENTIVO;
– intimato –
Nonchè da:
SICILIANA CARBOLIO SPA IN LIQUIDAZIONE IN CONCORDATO PREVENTIVO, domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato VINCENZO TARANTO (avviso postale ex art. 135);
– controricorrente incidentale –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 280/2012 della COMM.TRIB.REG. della SICILIA di CATANIA, depositata il 26/09/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/05/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.
CONSIDERATO
che:
l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 280/17/12, depositata il 26.09.2012 dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, Sez. Staccata di Catania.
Ha premesso che a seguito di processo verbale di constatazione, elevato il 20.06.2000 da militari della GdF, il 30.11.2006 notificava alla Siciliana Carbolio s.p.a. l’avviso di accertamento n. *****, con il quale ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis rettificava quanto dichiarato dalla contribuente relativamente all’anno 1999 ai fini IRAP ed IRPEG.
Nel ricorso proposto dalla società dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Catania la contribuente, tra le censure mosse avverso l’atto impositivo, eccepiva anche la sua nullità per decadenza della Amministrazione dal potere di accertamento D.P.R. n. 600 cit., ex art. 43. In particolare, essendo intervenuto l’accertamento nel termine di proroga biennale previsto dall’art. 10 della L. n. 289 del 2002, la contribuente sosteneva l’inapplicabilità della suddetta proroga al caso di specie.
La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso con la sentenza depositata il 23.01.2008. L’Agenzia proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale, che con la sentenza ora impugnata confermava le statuizioni del giudice di primo grado.
L’Ufficio con unico motivo si duole della violazione della L. n. 289 del 2002, art. 10 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per non aver correttamente interpretato la disciplina sul condono, escludendo la fattispecie dalla proroga biennale dei termini d’accertamento.
Si è costituita la società, che ha eccepito l’inammissibilità dell’atto impugnato perchè la ricorrente si sarebbe limitata a contestare le statuizioni della sentenza del giudice regionale senza riproporre le deduzioni a sostegno della legittimità e della fondatezza nel merito dell’atto impositivo. Ha contestato in ogni caso le avverse difese, insistendo comunque nel merito sulla mancanza di motivazione e sulla infondatezza delle singole riprese a tassazione. Con ricorso incidentale ha a sua volta censurato la sentenza, per violazione dell’art. 100 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 54 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la sentenza ha affermato che la contribuente non ha proposto appello incidentale per richiedere l’esame del merito della controversia. Ha tempestivamente depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.
RILEVATO
che:
Le preliminari eccezioni sollevate dalla società controricorrente sono infondate.
A tal fine è sufficiente affermare che è principio ribadito dalla giurisprudenza di legittimità che in tema di contenzioso tributario il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente proposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento – come il corrispondente art. 346 c.p.c. – all’appellato, e non all’appellante, sicchè, avuto riguardo al carattere impugnatorio del giudizio, alla qualità di attore in senso sostanziale del Fisco ed all’indisponibilità della sua pretesa, cui non può rinunciare se non nei limiti di esercizio della autotutela, qualora l’Amministrazione sia rimasta soccombente in primo grado per profili preliminari di legittimità formale dell’atto, non può desumersi la rinuncia a far valere la pretesa tributaria dalla circostanza che l’appello proposto abbia per oggetto solo la suddetta statuizione (Cass., Sez. 6-5, sent. n. 10906 del 2016; Sez. 5, sent. 13695 del 2009; cfr. anche sent. n. 8332 del 2016). Il principio va ribadito anche con riguardo al giudizio di legittimità.
Al contrario, per l’ipotesi che la questione preliminare sia superata, l’esame sulle contestazioni del fondamento dell’atto impositivo dipende dalla riproposizione da parte della contribuente delle ragioni già introdotte con il ricorso originario, con la conseguenza che, ove non emerga se, dove e quando, con il proprio atto di costituzione nel giudizio d’appello il contribuente appellato abbia riproposto le questioni ed eccezioni del proprio ricorso, questi (e non l’Amministrazione) può incorrere nella decadenza dalla domanda D.P.R. n. 546 del 1992, ex art. 56, in coerenza con la previsione di cui all’art. 346 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. 5, sent. n. 18559 del 2010, secondo cui – in un caso sostanzialmente analogo -, qualora il giudice di primo grado abbia accolto l’eccezione proposta dal contribuente di decadenza dell’azione accertatrice, l’Amministrazione può proporre validamente l’appello sulla sola contestazione delle ragioni della declaratoria della decadenza e sulla generica richiesta di conferma dell’accertamento, mentre è onere del contribuente, vincitore in primo grado, eventualmente riproporre specifici motivi di gravame in ordine al merito dell’accertamento medesimo, in caso contrario, ove accolto l’appello dell’Ufficio, dovendo il giudice confermare l’accertamento medesimo).
In conclusione le eccezioni sollevate dalla Siciliana Carbolio sono infondate.
Esaminando poi il merito della controversia, deve premettersi che la contribuente ha sostenuto che alla Amministrazione non spettasse il termine di proroga biennale, previsto dall’art. 10 cit., per due motivi, il primo perchè la società aveva provveduto a presentare per altre annualità la dichiarazione automatica ex art. 9 Legge sul condono, il secondo perchè la notifica del processo verbale di constatazione ricevuto il 20.06.2000 – dunque prima della entrata in vigore della legge sul condono – impediva alla società l’accesso alle forme di definizione disciplinate dagli artt. 7, 8 e 9 Legge, secondo quanto previsto dall’art. 7, comma 3; l’impossibilità oggettiva di accesso alle forme di condono costituirebbe, secondo la prospettazione difensiva della controricorrente, una ipotesi di esclusione dell’applicazione della proroga dei poteri accertativi dell’Ufficio.
La sentenza impugnata, come quella del giudice provinciale, ha condiviso la seconda ragione prospettata dalla contribuente.
Perimetrato l’oggetto della controversia portata all’attenzione della Corte, ed esaminando il motivo del ricorso, con il quale l’Amministrazione lamenta un error in iudicando della sentenza, per violazione e falsa applicazione delle norme della L. n. 289 del 2002, esso è fondato.
In merito alla proroga biennale dei poteri di accertamento della Amministrazione finanziaria questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di condono fiscale la proroga biennale dei termini di accertamento, accordata agli Uffici finanziari dalla L. n. 289 del 2002, art. 10 opera – in assenza di deroghe contenute nella legge – sia nel caso in cui il contribuente non abbia inteso avvalersi delle disposizioni di favore di cui alla suddetta legge, pur avendovi astrattamente diritto, sia nel caso in cui non abbia potuto farlo, perchè raggiunto da un avviso di accertamento notificatogli prima dell’entrata in vigore della legge (Cass., ord. n. 3816/2018; sent. n. 16964/2016; sent. n. 22921/2014; sent. 17395/2010).
Si è in particolare evidenziato che la L. n. 289 del 2002, art. 10, concede agli Uffici finanziari una proroga di due anni dei termini per l’accertamento, fissati dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 (in materia di tributi diretti) e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 (in materia di IVA) nei confronti dei contribuenti “che non si avvalgono delle disposizioni recate dagli artt. da 7 a 9” della stessa legge. Le disposizioni richiamate contemplano varie forme di condono fiscale per anni pregressi (rispettivamente, definizione automatica dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo, integrazione degli imponibili dichiarati e definizione automatica). Esse non si applicano – per quanto qui interessa – ai soggetti che, come la ricorrente, hanno ricevuto notifica di un processo verbale di constatazione con esito positivo, ossia con accertamento di maggiore imponibile, prima dell’entrata in vigore della norma agevolativa (art. 7 cit., comma 3, lett. c; art. 8 cit., comma 10, lett. a; art. 9 cit., comma 14, lett. a).
Secondo la contribuente ciò impedirebbe l’applicazione dell’art. 10 cit. Invece, partendo dalla considerazione che la norma non prevede deroghe, e posto che la legge concede proroga all’Ufficio per l’accertamento nei confronti dei contribuenti “che non si avvalgono” dei benefici recati dalle suddette disposizioni di favore, all’interprete non è lecito distinguere fra soggetti che non intendono e soggetti che non possono avvalersene, poichè l’espressione “non avvalersi”, secondo il significato proprio delle parole (art. 12 preleggi), descrive ugualmente gli atteggiamenti di chi non voglia e di chi non possa accedere al beneficio indicato, non essendo specificata nella legge alcuna riserva.
Pertanto errato è stato il ragionamento del giudice regionale, e per questo la sentenza va cassata con rinvio.
Per mera completezza non ha pregio neppure invocare l’inapplicabilità della proroga perchè la società avrebbe fatto ricorso al condono per altri anni d’imposta, poichè gli effetti dell’accesso alle forme di definizione previste dalla L. n. 289 cit. per taluni anni non si estendono a quelli per i quali non si è potuto o non si è voluto provvedere con le medesime modalità.
Esaminando quindi il ricorso incidentale della società, con il quale censura l’affermazione del giudice regionale secondo cui la società non ha proposto appello incidentale per richiedere l’esame nel merito della controversia, il motivo è ai limiti della inammissibilità perchè la parte della sentenza censurata dalla contribuente più che una statuizione costituisce una mera considerazione inserita in un contesto argomentativo, nel quale rispondeva alla richiesta della Amministrazione di esaminare il merito della insorta controversia. Tuttavia, costituendo in ogni caso affermazione che può riflettersi sui limiti del giudizio rescissorio, il ricorso incidentale è fondato per il reiterato principio secondo cui la parte pienamente vittoriosa in primo grado, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, non ha l’onere di proporre appello incidentale per richiamare in discussione le proprie domande o eccezioni non accolte nella pronuncia, da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perchè assorbite; in tal caso la parte è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello o nel giudizio di cassazione in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinunzia derivante da un comportamento omissivo (da ultimo, Sez. U, sent. 13195/2018, 13768/2018). Pertanto errata è la sentenza ove ha ritenuto non proposto dal contribuente (vittorioso in primo grado) l’appello incidentale. In conclusione il ricorso incidentale formulato dalla società è fondato e trova accoglimento.
Rilevato che:
La sentenza va pertanto cassata e va rinviata alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia che, in diversa composizione, dovrà decidere sugli altri motivi di appello non ancora esaminati -nei limiti chiariti -, nonchè sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, che in diversa composizione dovrà decidere anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018