Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.25501 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28412-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.M., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso le cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato GIANMARIA RATTI;

– controricorrente –

avverso le sentenza n. 81/2011 della COMM.TRIB.REG. di MILANO, depositata l’08/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/05/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO BERNAZZANI.

RILEVATO CHE L’Agenzia delle Entrate ricorre con un unico motivo, nei confronti del contribuente B.M., per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 81/13/11, pronunciata in data 15.6.2011 e depositata in data 8.7.2011, che, in riforma della decisione di primo grado, ha accolto l’appello del contribuente ed ha conseguentemente annullato l’avviso di accertamento di maggiore Irpef per l’anno 2004, relativa ad una plusvalenza realizzata dal B. a seguito della cessione di un terreno edificabile, detenuto alla data del 1.1.2002.

La CTR, in particolare, ha ritenuto che il contribuente si fosse efficacemente avvalso dell’opzione offerta dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 7 rideterminando il valore del bene alla data del 1.1.2002, da intendersi quale valore normale minimo di riferimento ai fini delle imposte sui redditi, e versando nei termini la relativa imposta sostitutiva del 4% sul valore come sopra determinato.

In particolare, poichè il bene era stato successivamente venduto dal contribuente ad un corrispettivo inferiore al valore determinato ex art. 7 cit., il giudice di secondo grado ha ritenuto che non fosse ravvisabile alcuna plusvalenza tassabile, con conseguente carenza del presupposto impositivo; in tale prospettiva, ha escluso che il trasferimento del bene ad un prezzo inferiore al valore di stima potesse determinare, in mancanza di espressa disposizione, il venire meno del corrispondente valore normale minimo di riferimento ai fini delle imposte sui redditi.

Il contribuente si è costituito con controricorso ed ha, altresì, depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.

CONSIDERATO CHE 1. Con l’unico motivo d’impugnazione, la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 448 del 2001, art. 7, comma 6, in quanto il Giudice di appello non avrebbe considerato che, nell’ipotesi di vendita di un terreno edificabile per un prezzo inferiore al suo valore di acquisto, rivalutato L. n. 448 cit., ex art. 7, comma 1 le plusvalenze di cui alle lett. a) e b), D.P.R. n. 917 del 1986, devono essere determinate sulla base degli ordinari criteri di cui all’art. 68 medesimo D.P.R., avendo il venditore così inteso discostarsi dal valore attribuito al bene in sede di perizia.

2. Va preliminarmente osservato che non ha pregio l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancanza di specificità del predetto motivo di ricorso, dal momento che la sua enunciazione, nel denunciare la violazione di precise norme di diritto, si raffronta adeguatamente con la ratio decidendi della sentenza impugnata, specificando altresì le carenze asseritamente individuabili nella medesima decisione.

3. Ciò posto, il ricorso risulta infondato.

La vicenda si inquadra nel contesto della disciplina agevolativa introdotta con la L. n. 448 del 2001, art. 7 che, per i titolari di terreni lottizzati o suscettibili di utilizzazione edificatoria alla data dell’1.1.2002, che prevedeva la possibilità di calcolare la plusvalenza derivante dalla successiva alienazione assumendo come valore iniziale non più il costo di acquisto del terreno medesimo, secondo i criteri individuati nell’art. 68 t.u.i.r. (già art. 81), ma quello determinato sulla base di una relazione giurata di stima alla data dell’1.1.2002, previo pagamento di una imposta sostitutiva del 4% sul nuovo valore del terreno risultante dalla perizia.

Come già chiarito da questa Corte (cfr. Cass. Sez. 5, del 12/11/2014, n. 24057), “l’imposta sostitutiva in esame è un’imposta volontaria, in quanto è frutto di una libera scelta del contribuente, il quale opta per la rideterminazione del valore del bene con conseguente versamento dell’imposta sostitutiva, nella prospettiva, in caso di futura cessione, di un risparmio sull’imposta ordinaria altrimenti dovuta sulla plusvalenza non affrancata; in cambio (per così dire), l’Amministrazione finanziaria riceve un immediato introito fiscale”.

In tale quadro di disciplina, la stima emergente dalla perizia giurata, con il pagamento dell’imposta sostitutiva, determina il nuovo valore minimo legale, in modo tale che il titolare del terreno, al momento della sua alienazione, possa svincolarsi dalla tassazione della plusvalenza secondo i criteri dettati dal D.P.R. n. 917 del 1986, rt. 68 (salva ovviamente l’ipotesi di prezzo di cessione ulteriormente superiore a quello stimato, nel qual caso la plusvalenza è pari alla differenza tra il valore di stima della perizia e il maggior valore di cessione).

Tuttavia, secondo l’interpretazione patrocinata dall’Agenzia delle Entrate, l’art. 7 cit., comma 6 andrebbe interpretato nel senso che, qualora la cessione avvenga ad un corrispettivo inferiore a quello dichiarato nella perizia giurata, l’Ufficio procede al calcolo della plusvalenza senza tenere conto del valore minimo legale, applicando i criteri desunti dagli artt. 67 e 68 t.u.i.r.: dunque, calcolando la differenza tra il prezzo di cessione e il vecchio valore di acquisto.

In altri termini, muovendo dal rilievo che il valore indicato nella perizia non è immodificabile, potendo verificarsi eventi che incidono sul bene deprezzandolo, la tesi in esame ritiene che, ove detto valore non venga più utilizzato dallo stesso dichiarante-cedente, anche per l’Ufficio cesserà di costituire il parametro di riferimento, riemergendo i criteri originari di calcolo della plusvalenza. Non adeguandosi a questa interpretazione la sentenza del giudice regionale sarebbe, pertanto, errata.

4. L’interpretazione della Agenzia non è accoglibile, in quanto non trova fondamento nella disciplina positiva.

La giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente ribadito che “in tema di plusvalenze realizzate mediante la cessione di terreni edificabili e con destinazione agricola, la scelta del contribuente di calcolare il valore del bene L. n. 448 del 2001, ex art. 7 in deroga al sistema ordinario, facendo redigere apposita perizia giurata ed effettuando il relativo versamento, non determina alcun vincolo nella successiva vendita e non limita, pertanto, la facoltà di alienare il bene ad un prezzo inferiore, sicchè, anche in tale ipotesi, deve escludersi la decadenza del contribuente dal beneficio e la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di accertare la plusvalenza secondo gli ordinari criteri”. (Cass. Sez. 6-5, 29/11/2016, n. 24310, Rv. 641758 – 01; Cass. Sez. 6-5, 28/09/2016, n. 19242, Rv. 641114 01; Cass. Sez. 6-5, 4/12/2014, n. 25721; cfr. anche Cass. 31/01/2018, n. 7037; Cass. Sez. 5, 22/09/2017, n. 24141).

Nel caso di specie, è pacifico che il contribuente fece redigere apposita perizia giurata, effettuando il pagamento dell’imposta sostitutiva, onde, non essendo richiesto alcun ulteriore requisito ai fini della facoltà di utilizzare la suddetta deroga nella determinazione dell’imponibile, attesa l’assenza di ulteriori limitazioni poste dalla legge, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ufficio non sussiste alcun vincolo ai fini della determinazione del corrispettivo nella successiva vendita dell’immobile, non potendo, in particolare, ritenersi che il valore del cespite come rideterminato L. n. 448 cit., ex art. 7 costituisca un parametro legale inderogabile ed integri una condizione ostativa alla facoltà per il contribuente di alienare il bene ad un prezzo inferiore, non essendo configurabile alcuna decadenza dal beneficio.

Da ciò consegue che all’Ufficio è comunque precluso di riprendere il calcolo delle plusvalenze secondo il criterio degli artt. 67 e 68 t.u.i.r., muovendo dal “vecchio” valore di acquisto.

In tale contesto, va, altresì, precisato che, sempre in tema di plusvalenze di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 81 (ora 67), comma 1, lett. a) e b) per i terreni edificabili e con destinazione agricola, la mancata indicazione, nell’atto di vendita dell’immobile, del valore del cespite così come rideterminato a norma della L. n. 448 cit., art. 7 non costituisce condizione ostativa alla facoltà del contribuente di assumere come valore iniziale, in luogo del costo o del valore di acquisto, quello alla data del 1.1.2002 individuato sulla base di una perizia giurata, attesa l’assenza di limitazioni poste in tal senso dalla legge e l’irrilevanza di quanto, invece, previsto da atti non normativi, come le circolari amministrative (quali, ad es., la Circolare n. 1/E del 15.2.2013 e la Risoluzione n. 53/E del 27.5.2015) (Cass. Sez. 6 – 5, 28/09/2016, n. 19242, Rv. 641114 – 01).

In conclusione, dunque, il ricorso va respinto.

Considerato che le incertezze interpretative sulla disciplina sono state superate successivamente alla introduzione del presente giudizio, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 30 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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