Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.25503 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22527/2011 R.G. proposto da:

S.M.L., rappresentata e difesa dall’avv. Giovanni Puoti e dall’avv. Giuseppe Lomonaco, elettivamente domiciliata presso il loro studio, in Roma, in via Panama n. 68.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione n. 40, n. 324/40/10, pronunciata il 21/05/2010, depositata il 28/06/2010.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 giugno 2018 dal Consigliere Riccardo Guida.

Dato atto che il Procuratore Generale Tommaso Rasile ha depositato in cancelleria conclusioni scritte e ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

S.M.L. ricorre, con tre motivi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio (hinc: CTR) in epigrafe che – in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di tre avvisi di accertamento che recuperavano a tassazione, ai fini IRPEF, per gli anni di imposta 1999, 2000, 2001, maggiori redditi imponibili desunti dall’Amministrazione finanziaria, con accertamento sintetico, dall’acquisto, da parte della contribuente, di un immobile al prezzo di Euro 1,5 milioni, somma di cui l’acquirente, interpellata dall’Ufficio con apposito questionario, aveva solo in parte giustificato la provenienza – per quanto ancora rileva, ha confermato la sentenza di primo grado, sfavorevole alla contribuente.

Il giudice di appello ha premesso che la ricostruzione dei redditi, per il triennio 1999/2001, è stata compiuta dall’Ufficio sulla base delle risposte al questionario D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, comma 4, fornite dalla contribuente che, in quella occasione, non fece alcun riferimento allo smobilizzo di titoli, di proprietà del marito, per un ammontare di Euro 578 mila, e fornì tale giustificazione solo dopo la notifica degli atti impositivi.

La CTR, quindi, ha reputato l’operato dell’Amministrazione finanziaria, che non ha tenuto conto di tale tardiva giustificazione, conforme all’art. 32, comma 4, cit., che esclude che le notizie e i dati non addotti in risposta agli inviti dell’Ufficio possano essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa.

La ricorrente ha depositato una memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Primo motivo di ricorso: “Violazione degli artt. 112 e 101 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4)”.

La ricorrente premette che l’Ufficio, nel giudizio di merito, non aveva eccepito l’inutilizzabilità, in sede contenziosa, dei documenti che ella non aveva prodotto in riposta agli inviti dell’Organo accertatore; ciò posto, lamenta, innanzitutto, un vizio di ultrapetizione (art. 112 cod. pro. civ.) della sentenza impugnata, che ha statuito su una questione non sollevata dalla parte interessata e non rilevabile ex officio; si duole, in secondo luogo, che, anche a volere ritenere che il profilo in discorso (ossia l’inutilizzabilità dei dati non addotti in risposta al questionario) fosse rilevabile d’ufficio, la sentenza si porrebbe, comunque, in contrasto con l’art. 101 cod. proc. civ., per violazione del principio del contraddittorio, per avere affrontato e risolto un aspetto processuale senza che esso fosse stato prima sottoposto al contributo dialettico delle parti.

1.1. Il complesso motivo è inammissibile.

Esso non soddisfa il principio d’autosufficienza, sancito dall’art. 366 cod. proc. civ..

L’omessa riproduzione, nel corpo del ricorso per cassazione, del testo integrale delle controdeduzioni dell’Agenzia delle entrate non pone la Corte nella condizione di valutare se la CTR abbia fondato la decisione sul thema dell’inutilizzabilità dei dati e dei documenti, non addotti dalla contribuente in risposta agli inviti del fisco, rilevandola d’ufficio o, al contrario, su eccezione della parte interessata.

2. Secondo motivo: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 e dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4)”.

Si fa valere il vizio della sentenza impugnata che, anche supponendo che avesse statuito, sull’eccezione anzidetta, su impulso dell’Agenzia delle entrate, senza, però, rilevare che si trattasse di un’eccezione nuova, avrebbe contravvenuto all’art. 57, comma 2, cit., in virtù del quale non possono proporsi in appello eccezioni nuove, non rilevabili d’ufficio.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Come la precedente doglianza, anche questa censura è priva d’autosufficienza poichè, in assenza della trascrizione, in seno al ricorso per cassazione, degli atti difensivi dell’Ufficio, relativi al primo grado di giudizio, la Corte non è posta nella condizione di verificare se l’Agenzia delle entrate avesse o meno sollevato quell’eccezione già dinanzi alla Commissione tributaria provinciale.

3. Terzo motivo: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)”.

In ipotesi subordinata, vale a dire nel caso in cui si debba ritenere che la CTR abbia legittimamente esaminato la questione dell’inutilizzabilità dei documenti, non esibiti dalla contribuente in risposta al questionario, secondo la prospettazione difensiva della ricorrente, la sentenza sarebbe comunque viziata perchè il questionario, inviato alla persona sottoposta a verifica, non conteneva la necessaria informativa dell’erario circa l’inutilizzabilità della documentazione non prodotta tempestivamente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Neppure questa censura è conforme al canone dell’autosufficienza.

Difatti, l’omessa riproduzione, all’interno del ricorso per cassazione, degli scritti difensivi della contribuente, relativi al giudizio di merito, nonchè del testo del questionario notificato alla parte, che si assume mancante del summenzionato avvertimento, non consente alla Corte, da un lato, di verificare se quel rilievo fosse già stato sottoposto all’attenzione dei giudici di merito o se, invece, in modo non consentito, esso è stato prospettato, per la prima volta, in sede di legittimità; dall’altro, di vagliare la fondatezza del “merito” del rilievo, vale a dire l’effettività della carenza contenutistica (lamentata dalla ricorrente) dell’invito dell’Ufficio ex art. 32, comma 4, cit..

4. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

5. Le spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna la ricorrente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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