Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.25511 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO A.P. Pasqualina – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10707-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

BANCA DI TREVISO SPA;

– intimata –

Nonchè da:

BANCA DI TREVISO SPA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA F.

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE COGLITORE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI FERDINANDO BERARDI;

– controricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 53/2011 della COMM.TRIB.REG. di VENEZIA, depositata il 29/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/06/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO BERNAZZANI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha chiesto l’accoglimento del 2 motivo del ricorso principale, rigetto 1 motivo, inammissibile il ricorso incidentale.

RITENUTO IN FATTO

A seguito del controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis della dichiarazione dei redditi presentata dalla Banca di Treviso s.p.a. per l’anno d’imposta 2004, l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate di Treviso, rilevato un minor versamento ai fini IRAP, derivante dall’applicazione dell’aliquota ordinaria del 4,25% anzichè di quella del 5,25% (4,25% + 1%) conseguente alla maggiorazione disposta prima dalla L.R. Veneto 24 novembre 2003, n. 38, notificava alla contribuente cartella di pagamento, con la quale veniva chiesto il pagamento della somma di Euro 65.921,19 pari alla differenza IRAP non versata, oltre interessi e sanzioni.

Avverso tale cartella proponeva ricorso la società contribuente, deducendo l’illegittimità della procedura di riscossione seguita dall’Ufficio, oltre che l’inefficacia della maggiorazione apportata dalla legge della Regione Veneto, tenuto conto del disposto della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 3, comma 1, lett. a) che aveva sospeso gli aumenti e le maggiorazioni deliberati successivamente al 29 settembre 2002, che non fossero confermativi delle aliquote in vigore per l’anno 2002, fino a quando non fosse stato raggiunto un accordo ai sensi del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, in sede di Conferenza Unificata Stato – Regioni – Enti locali, sui meccanismi strutturali del c.d. “federalismo fiscale”; disposizione che era stata confermata dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, comma 21, per tutto l’anno di imposta 2004.

Si costituiva l’Ufficio ribadendo la legittimità della procedura seguita nonchè della disposta maggiorazione, attesa l’applicabilità della “sanatoria” di cui alla L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 22, in favore delle disposizioni legislative regionali emanate (anche) in materia di IRAP in modo non conforme ai poteri attribuiti in materia dalla normativa statale; in subordine, chiedeva l’applicazione dell’aliquota del 4,75%, (prevista dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 45, comma 2, per i soggetti di cui agli artt. 6 e 7 medesimo decreto, in luogo di quella del 4,25%).

La C.T.P. di Treviso accoglieva il ricorso della società contribuente.

Avverso tale pronuncia proponeva appello l’Ufficio, chiedendone la riforma in ragione dell’invocata applicabilità dell’aliquota del 5,25%. All’esito del contraddittorio con la contribuente, la quale riproponeva con appello incidentale la questione preliminare relativa alla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, la C.T.R. del Veneto, sezione distaccata di Verona, con sentenza n. 53/1/11 del 7/29.3.2010, confermava la decisione di primo grado.

Il giudice di appello riteneva, in particolare, che la L. n. 289 del 2002, art. 3, comma 1, lett. a) avesse disposto la sospensione di ogni disposizione emanata dalle Regioni in materia di aliquote IRAP in data successiva al 29.9.2002 e, quindi, anche l’aumento dell’aliquota disposto dalla Regione Veneto; la CTR rilevava, altresì, l’inapplicabilità al caso in esame della sanatoria prevista dalla L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 22.

Avverso la predetta sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

L’intimata si è costituita mediante controricorso contenente ricorso incidentale condizionato ed ha depositato memoria difensiva.

Il Procuratore generale ha concluso per e l’accoglimento del secondo motivo di ricorso principale, rigettato il primo, e per l’inammissibilità del ricorso incidentale condizionato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L.R. Veneto n. 38 del 2003, della L.n. 289 del 2002, art. 3, comma 1, lett. a) nonchè della L. n. 350 del 2003, art. 2, commi 21 e 22.

In tale prospettiva, l’Agenzia censura la sentenza impugnata per aver disconosciuto, sulla base di una errata interpretazione della normativa citata, che la L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 22, ha operato una sanatoria delle diposizioni emanate in difformità dei poteri attribuiti dalla legge statale alle Regioni in materia di IRAP, fra cui la maggiorazione dell’aliquota IRAP prevista dalla L.R. 24 novembre 2003, n. 38.

1.1. Il motivo è infondato.

Va premesso, ai fini di un conveniente inquadramento delle questioni sottese al motivo in esame, che la Regione Veneto, avvalendosi del potere attribuito alle regioni dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 16, comma 3 – come modificato dal D.Lgs. n. 506 del 1999, art. 1, comma 1, lett. I), n. 2 -, fissò l’aliquota IRAP applicabile ai soggetti di cui al medesimo D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 6 e 7, nel 5,25%, tanto per l’anno 2003 quanto per l’anno 2004.

La predetta fissazione, in particolare, fu effettuata per il 2003 con la L.R. 22 novembre 2002, n. 34, art. 2, e per il 2004 con la L.R. 24 novembre 2003, n. 38, art. 2.

La L. 27 dicembre 2002, n. 289 (finanziaria 2003), art. 3, comma 1, lett. a), per contro, stabilì, in funzione attuativa del titolo 5^ della parte 2^ Cost. ed in attesa della legge quadro sul federalismo fiscale, che gli aumenti delle addizionali IRPEF e la maggiorazione dell’aliquota IRAP di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 16, comma 3, “deliberati successivamente al 29 settembre 2002 e che non siano confermativi delle aliquote in vigore per l’anno 2002, sono sospesi fino a quando non si raggiunga un accordo ai sensi del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, in sede di Conferenza unificata tra Stato, regioni ed enti locali sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale”.

Tale sospensione delle maggiorazioni IRAP regionali fu poi confermata fino al 31.12.2004 dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, comma 21 (finanziaria 2004), ai sensi del quale “Fino al 31 dicembre 2004 restano sospesi gli effetti degli aumenti delle addizionali e delle maggiorazioni di cui alla della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 3, comma 1, lett. a), eventualmente deliberati; gli effetti decorrono, in ogni caso, a decorrere dal periodo d’imposta successivo alla predetta data”.

Emerge, quindi, con chiarezza dalla lettura delle norme menzionate che gli incrementi dell’aliquota IRAP previsti dalle regioni per gli anni 2003 e 2004 sono sospesi – vale a dire, non sono applicabili – a meno che “non siano confermativi delle aliquote in vigore per l’anno 2002”.

1.2. Ciò posto, con specifico riferimento al motivo di ricorso in esame va ribadito l’indirizzo di questa Corte secondo il quale gli effetti delle disposizioni incrementative dell’aliquota IRAP dettate da leggi regionali (cfr., ex multis, Cass. Sez. 6-5, 23/02/2015, n. 3754; Cass. Sez. 5, 13/11/2014, n. 8632/15; Cass. Sez. 5, 18/09/2013, n. 21327, nonchè Cass. Sez. 5, 11/05/2012, n. 7344 e 14/11/2012, n. 19838, proprio con riferimento alle L.R. Veneto n. 34 del 2002 e L.R. n. 38 del 2003) non sono fatti salvi dal disposto della L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 22, a tenore del quale “Nelle more del completamento dei lavori dell’Alta Commissione di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 3, comma 1, lett. b), nelle regioni che hanno emanato disposizioni legislative in tema di tassa automobilistica e di IRAP in modo non conforme ai poteri ad esse attribuiti in materia dalla normativa statale, l’applicazione della tassa opera, a decorrere dalla data di entrata in vigore di tali disposizioni legislative e fino al periodo di imposta decorrente dal 1 gennaio 2010, sulla base di quanto stabilito dalle medesime disposizioni nonchè, relativamente ai profili non interessati dalle predette disposizioni, sulla base delle norme statali che disciplinano il tributo”.

La disposizione in esame, infatti, concerne gli effetti di norme che siano state emanate dalle regioni “in modo non conforme ai poteri ad esse attribuiti”, laddove le maggiorazioni dell’aliquota IRAP di cui si discute sono state disposte dalla Regione Veneto in conformità ai poteri alla stessa attribuiti dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 16.

Tale conclusione, come già rimarcato da questa Corte (cfr., fra tutte, la sentenza n. 8632/15), emerge dalla stessa sospensione di dette maggiorazioni, disposta dalla L. n. 289 del 2002, art. 3 – che, va sottolineato, non ha privato le regioni del potere impositivo in tema di IRAP, ma ha soltanto sospeso gli aumenti eccedenti la misura dell’aliquota vigente nel 2002 – e ribadita dalla L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 21, “essendo intuitivo che si può sospendere solo un potere effettivamente (ancora) esistente” (così Cass. Sez. 5, 13/04/2012, n. 5867, in motivazione).

1.3. Il medesimo approdo argomentativo risulta ulteriormente confermato: a) dalla Corte costituzionale, avendo questa, con la sentenza n. 381 del 2004, dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 21, in tal modo implicitamente escludendo che il relativo ambito applicativo fosse sovrapponibile con quello del comma 22 cit. art.; b) dal disposto della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 61, secondo il quale “resta ferma l’applicazione della L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 22, alle disposizioni regionali in materia di IRAP diverse da quelle riguardanti la maggiorazione dell’aliquota…”, così chiarendo, con norma ricognitiva, che la sanatoria di cui alla L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 22, non opera con riferimento alle maggiorazioni delle aliquote IRAP (salvo quanto disposto dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 175, che però, essendo privo di efficacia retroattiva, opera solo a decorrere dall’1 gennaio 2005: cfr. Cass. n. 19838/2012, in motivazione).

2. Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia deduce violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 45,comma 23; L.R. Veneto n. 34 del 2002, art. 2; L. n. 289 del 2002, art. 3, comma 1, lett. a); L. n. 350 del 2003, art. 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La ricorrente allega che, anche a voler ritenere inapplicabile per l’anno 2004, qui in rilievo, l’incremento dell’aliquota IRAP del 5,25% disposto da leggi regionali come quella in esame per i soggetti di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 6 e 7,non potrebbe comunque applicarsi l’aliquota ordinaria del 4,25% di cui all’art. 16, comma 1 stesso D.Lgs., ma la percentuale vigente per l’anno d’imposta 2002, individuata nel 4,75% D.Lgs. n. 446 del 1997, ex art. 45, comma 2.

2.1. Al riguardo, va, innanzitutto, osservato che l’eccezione preliminare con la quale la società controricorrente deduce l’intervenuto giudicato sul punto, in quanto la statuizione di rigetto della domanda di applicazione dell’aliquota del 4,75%, formulata in via subordinata in sede di costituzione dell’Ufficio in primo grado, non sarebbe stata impugnata nè contestata dal’Agenzia in sede di appello, è infondata.

La tesi in esame, invero, trascura di considerare che la questione afferente la corretta aliquota cui commisurare l’imposta costituisce una questione giuridica che il giudice tributario può e deve affrontare anche d’ufficio, al fine della individuazione della giusta imposizione dovuta per legge. In particolare, secondo la giurisprudenza di questa Corte l’obbligazione tributaria non nasce dall’atto impositivo (nella specie, portatore di una pretesa commisurata all’aliquota IRAP del 5,25%), ma dalla legge (v. per la tesi cd. dichiarativa già Cass. Sez. un. n. 4779/87, confermata da Cass. Sez. un. n. 9201/90; più di recente, in motivazione, Cass. Sez. 5, n. 20978/13), giacchè è la legge, secondo gli artt. 23 e 53 Cost., a stabilire direttamente gli effetti che si producono al verificarsi del presupposto delle singole imposte; ne consegue che il ricorso del contribuente al giudice tributario, servendo ad introdurre una valutazione giuridica della legittimità della pretesa creditoria espressa dall’atto, postula già in sè devoluta a quel giudice la funzione di realizzare, in armonia coi citati principi costituzionali, la giusta imposizione.

In tale prospettiva, la questione relativa alla esatta determinazione dell’aliquota applicabile attiene, semmai, ad una specificazione della più ampia questione dedotta dalla difesa erariale sin dal primo grado, la quale comprendeva anzi uno scarto maggiore di aliquota da applicare; conseguentemente, la richiesta di applicazione dell’aliquota intermedia del 4,75% costituisce, in realtà, non un’autonoma domanda ma una semplice argomentazione difensiva dell’Ufficio, che, senza alcuna modifica dei fatti costitutivi della pretesa, si è limitato ad evidenziare che, nella ipotesi di ritenuta applicabilità della sospensione delle maggiorazioni disposte dalle leggi regionali, l’aliquota IRAP per l’anno 2002 era stata già fissata al 4,75% dalla legge statale (art. 45 D.Lgs. cit.), sicchè poteva ritenersi non dovuta (per effetto di detta sospensione) solo la somma eccedente detta aliquota.

Ne consegue che tale deduzione è relativa ad una circostanza già compresa nel thema decidendum, non potendosi dubitare che, per ottenere l’intero rimborso richiesto (differenza tra l’aliquota del 4,25% e quella del 5,25%), doveva essere necessariamente valutata la questione dell’applicabilità dell’aliquota intermedia del 4,75%; quale mera argomentazione difensiva, essa non doveva essere necessariamente riproposta in appello con uno specifico motivo.

E’, dunque, pienamente legittimo ed ammissibile il motivo di ricorso dell’Agenzia delle entrate concernente l’eventuale rideterminazione dell’aliquota sulla base alla norma ritenuta all’epoca vigente, non essendosi verificato alcun effetto preclusivo all’esame di tale questione.

2.2. Ciò posto, deve condividersi e ribadirsi la tesi, sostenuta dall’ormai prevalente indirizzo di questa Corte (cfr. Cass. sez. 5, 18/09/2013, n. 21327; Cass. sez. 6-5, 25/07/2014, n. 17017; Cass. sez. 6-5, 15/12/2014, n. 26263; Cass. sez. 5, 13/11/2014, n. 8632/15; Cass. sez. 6-5, 17/12/2015, n. 2453/16; Cass. sez. 65, 04/02/2016, n. 7986; Cass. sez. 5, 31/01/2017, n. 2412), secondo la quale la disciplina relativa alla facoltà delle regioni di variare l’aliquota IRAP fino ad un massimo di un punto percentuale va interpretata nell’ottica del legislatore di perseguire gli obiettivi di autonomia e di decentramento fiscale delle regioni stesse (c.d. federalismo fiscale) ed in tale prospettiva deve essere coerentemente inteso anche il disposto della L. n. 289 del 2002, art. 3, comma 1, lett. a), che, nel sospendere l’efficacia degli aumenti dell’aliquota IRAP deliberati dalle regioni successivamente al 29 settembre 2002 e non confermativi delle aliquote in vigore per l’anno 2002, ha voluto comunque limitare l’effetto sospensivo a quelle maggiorazioni che determinassero, e nella misura in cui determinassero, il superamento dell’aliquota in vigore per l’anno 2002 e, in quanto tali, fossero non confermative di tale aliquota.

La nozione di confermatività, del resto, non può che riferirsi alla percentuale effettivamente vigente nel 2002 – derivi essa da una previa determinazione regionale (adottata nell’esercizio del potere assegnato alle Regioni dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 16, comma 3) o, in difetto di determinazione regionale, direttamente dalla disposizione transitoria statale dettata nel D.Lgs. n. 446 cit., art. 45, comma 2 – onde la sospensione aveva ad oggetto quella sola parte della maggiorazione di aliquota deliberata dalle regioni che, nella specie decisa per il 2004, eccedesse la percentuale in concreto già in vigore per il 2002.

Al riguardo, com’è noto, il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 16, comma 1, stabilisce (nel testo applicabile ratione temporis) che “l’imposta è determinata applicando al valore della produzione netta l’aliquota del 4,25 per cento, salvo quanto previsto dal comma 2, nonchè dell’art. 45, commi 1 e 2”; e quest’ultimo, per quanto qui interessa (anch’esso nel testo vigente ratione temporis), dispone, al comma 2, che “per i soggetti di cui agli artt. 6 e 7, per i periodi d’imposta in corso al 1 gennaio 1998, al 1 gennaio 1999 e al 1 gennaio 2000 l’aliquota è stabilita nella misura del 5,4 per cento; per i due periodi d’imposta successivi, l’aliquota è stabilita, rispettivamente, nelle misure del 5 e del 4,75 per cento”. Quindi, per i soggetti di cui agli artt. 6 e 7 (fra i quali rientra l’odierna controricorrente), l’aliquota vigente, in via transitoria, per il periodo d’imposta 2004 era quella del 4,75 per cento (tale principio, fra l’altro, è stato ribadito in relazione allo specifico anno in discussione nella presente controversia anche da Cass. Sez. 5, nn. 7986/2016; 7458/2016; 2453/2016; n. 1794/2016; n. 2412/2017).

2.3. Non ha pregio, a fronte di tale conclusione, l’argomento addotto dalla controricorrente in sede di memoria difensiva, secondo cui a differenza di quanto disposto dalla L. n. 289 del 2002, art. 3, comma 1, lett. a), che stabiliva la sospensione dell’efficacia degli aumenti dell’aliquota IRAP deliberate dalle regioni successivamente al 29.9.2002 “in quanto non confermativi delle aliquote in vigore per l’anno 2002”, con riferimento agli anni di imposta 2004 e 2006 le successive L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, comma 21 e L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 165, non contemplano più il predetto inciso riferito alle maggiorazioni “non confermative”, nè il richiamo al decentramento fiscale, onde per tali anni l’aliquota applicabile non potrebbe che essere quella ordinaria del 4,25%.

In realtà, tanto la L. n. 350 del 2003, quanto la L. n. 266 del 2005 (quest’ultima limitandosi ad incidere sul termine originariamente previsto dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 61) fanno inequivocabile riferimento alle “maggiorazioni di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 3, comma 1, lett. a) eventualmente deliberati” così rendendo evidente che l’oggetto della sospensione è pur sempre limitato alla fattispecie originariamente prevista dalla predetta L. n. 289 del 2002, art. 3, comma 1, lett. a), ossia alle sole maggiorazioni di aliquota non confermative di quelle vigenti per il 2002.

2.4. Dalle considerazioni che precedono discende l’accoglimento, nei termini indicati, del secondo motivo di ricorso, nel senso che l’IRAP da versarsi da parte della contribuente per l’anno 2004 doveva e deve essere determinata sulla base dell’aliquota del 4,75%.

3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato, la società contribuente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, nn. 3 e 4, e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

In tale prospettiva, si censura l’omessa pronunzia della CTR sullo specifico motivo di appello incidentale concernente l’illegittimità della procedura di controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis adottata dall’Ufficio, essendo invece necessaria remissione di un avviso di accertamento, trattandosi di recupero a tassazione fondato non su errori materiali o di calcolo ma su una complessa valutazione ed interpretazione di carattere giuridico difforme a quella adottata dal contribuente.

Ritiene il Collegio, conformemente a quanto osservato dal P.G. in sede di conclusioni, che il ricorso incidentale per cassazione, anche se qualificato come condizionato, deve essere giustificato da un interesse che abbia per presupposto una situazione sfavorevole al ricorrente, ossia fondarsi sulla soccombenza. Conseguentemente, come affermato dal consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. Sez. 3, 10/12/2009, n. 25821, Rv. 610470 – 01; Cass. Sez. 3, 25/05/2010, n. 12728, Rv. 613082 – 01; Cass. Sez. 5, del 16/12/2011, n. 27157, Rv. 621054 – 01; Cass. Sez. 1, 07/03/2016, n. 4472, Rv. 638871 – 01; Cass. Sez. 2, 05/01/2017, n. 134, Rv. 642189 – 01), deve ritenersi inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte totalmente vittoriosa censuri la sentenza in relazione ad una questione di merito, ancorchè pregiudiziale dal punto di vista logico-giuridico, che non sia stata esaminata e risolta in senso ad essa sfavorevole dal giudice di appello, in quanto dichiarata o anche implicitamente ritenuta assorbita dall’accoglimento di altra tesi addotta dalla parte medesima e giudicata fondata, difettando anche in tale situazione il requisito della soccombenza, sia pure teorica, fermo restando che la questione non esaminata può sempre essere riproposta avanti al giudice del rinvio ove, in accoglimento del ricorso principale, la sentenza impugnata venga cassata.

Tale è, per l’appunto, il caso di specie, ove la questione, non esaminata espressamente dalla CTR, relativa alle modalità procedimentali con cui avrebbe dovuto correttamente esercitarsi la pretesa impositiva (secondo la contribuente, non attraverso la procedura automatizzata D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, ma mediante avviso di accertamento), è da ritenersi implicitamente, ma altrettanto inequivocabilmente, assorbita sul piano logico dalla soluzione accolta dalla CTR, favorevole alle ragioni della contribuente e fondata sull’insussistenza in radice della pretesa impositiva, avendo la banca corrisposto l’esatto importo dovuto per IRAP sulla base dell’aliquota del 4,25%, ritenuta corretta dai giudici di appello.

Ne consegue, pertanto, l’inammissibilità del ricorso incidentale condizionato in esame.

In conclusione, dunque, la sentenza impugnata ha errato laddove ha ritenuto applicabile l’aliquota del 4,25% ed il ricorso principale va, di conseguenza, sotto questo profilo accolto, con rinvio alla CTR del Veneto, in diversa composizione, cui si demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente grado; avanti al medesimo organo giudicante la contribuente potrà, altresì, riproporre la questione non esaminata.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso principale; rigetta il primo motivo di ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato; cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR del Veneto, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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