Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.25513 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO A.P. Pasqualina – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29526-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

R.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIA FLAVIA 42, presso lo studio dell’avvocato ERNESTO GIOFFREDA, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO CINQUE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 322/2013 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di LECCE, depositata il 03/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/06/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO BERNAZZANI.

RILEVATO

che:

il contribuente R.M., medico convenzionato con l’ASL, impugnava avanti alla CTP di Lecce il silenzio rifiuto opposto dall’Agenzia delle entrate all’istanza di rimborso dell’IRAP versata negli anni dal 1999 al 2004. La Commissione rigettava il ricorso, ritenendo che l’attività svolta dal contribuente presentasse i caratteri dell’autonoma organizzazione atti ad integrare il presupposto impositivo.

L’appello proposto dal contribuente avverso tale decisione veniva accolto dalla CTR della Puglia, con sentenza n. 322/24/13, pronunciata il 19.11.2013 e depositata il 23.12.2013, sulla base del duplice rilievo che il ricorrente svolgeva la propria attività sotto il coordinamento ed il controllo dell’ASL, la quale predeterminava tutti gli aspetti ed i parametri organizzativi (in particolare, numero di pazienti assistiti, sede dello studio, orari e turni di lavoro, costi per le prestazioni erogate) della stessa e che, d’altro canto, la disponibilità di un dipendente part time non accresceva la capacità produttiva del professionista nè era idonea a far ritenere dotata di autonoma organizzazione l’attività professionale svolta.

Avverso la sentenza ricorre l’Agenzia delle Entrate deducendo tre motivi, cui replica il contribuente, costituitosi mediante controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia sull’eccezione di decadenza D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38 – sollevata dall’Ufficio sin dalle controdeduzioni in primo grado e debitamente reiterata in appello, come dettagliatamente riprodotto nel ricorso in ossequio al principio di autosufficienza – in relazione ai versamenti effettuati sino al 15.11.2000, rispetto ai quali l’istanza di rimborso in data 13.1.2005 risulta tardiva, in quanto presentata oltre il termine di 48 mesi.

Il motivo appare infondato.

Premesso che la motivazione della sentenza impugnata non soltanto ha richiamato la predetta eccezione sollevata dall’Agenzia, ma ha, altresì, dato atto che la difesa del contribuente (cfr. la memoria difensiva per l’udienza del 19.11.2013, richiamata dal controricorso) aveva esplicitamente riconosciuto che la domanda di rimborso di quanto versato a titolo di Irap doveva essere limitata alle somme versate nei 48 mesi antecedenti l’istanza stessa (l’espressione, utilizzata in sentenza, secondo cui “la difesa di parte ha riconosciuto che l’istanza di rimborso deve ritenersi limitata ai cinque anni precedenti alla presentazione del ricorso” è impropria ma non fuorviante, dal momento che consente comunque di ritenere con certezza che la CTR intendesse fare riferimento al termine de quo, posto che, appena prima, la stessa sentenza fa corretto riferimento all’esatta durata del termine, pari a 48 mesi, ed alla norma di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38), va osservato che i giudici di appello hanno chiaramente affermato che “conseguentemente il thema decidendum è limitato a tale periodo temporale. In relazione a detto periodo l’appello è fondato”, così manifestando in modo inequivocabile che la pronuncia di accoglimento dell’appello, che contraddistingue il dispositivo della decisione, deve essere chiaramente intesa con riferimento all’oggetto della domanda di rimborso nei limiti temporali sopra precisati.

2. Con il secondo motivo, l’Ufficio ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto incontestato da parte dell’Agenzia, nei propri atti difensivi, che l’attività del ricorrente fosse caratterizzata dalla prevalenza dell’intuitus personae e che lo stesso, nell’ambito della sua attività di medico convenzionato, fosse assoggettato a penetranti parametri organizzativi imposti dall’ASL.

L’Agenzia deduce, invece, di avere espressamente contestato gli elementi probatori addotti dal contribuente a sostegno della propria domanda di rimborso dell’IRAP già versata; in particolare, premesso che si verte in tema di mere difese non soggette ad alcuna preclusione processuale (salvo il giudicato interno), deduce di aver controdedotto in appello che l’esistenza di un’autonoma organizzazione doveva evincersi dalla presenza, nei diversi anni d’imposta, di spese per beni strumentali e per prestazioni di lavoro dipendente.

Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.

La CTR, invero, si è limitata ad osservare che le circostanze superiormente illustrate non erano state “oggetto di contestazione in primo grado da parte dell’Agenzia delle entrate”, senza, peraltro, far discendere da tale constatazione la conclusione che l’Ufficio fosse incorso in preclusioni di sorta sul piano dell’attività processuale, nè denegare espressamente il contenuto delle difese apprestate in appello dall’Ufficio; ancora, senza fondare la propria decisione sull’esclusivo dato del preteso carattere incontestato di tali circostanze.

In tale prospettiva, va rilevato da un lato che l’Ufficio, pur avendo riportato il contenuto delle proprie controdeduzioni in appello, non ha indicato specificamente e dettagliatamente se ed in quale parte dei propri scritti difensivi di primo grado (posto che il punto censurato della sentenza della CTR si riferisce all’assenza di contestazioni in primo grado) siano state formulate le contestazioni in parola, riproducendone il contenuto in modo da consentire al Collegio di apprezzarne la rilevanza e la pertinenza rispetto all’oggetto della censura; dall’altro, che, comunque, la CTR ha affrontato nel merito la questione della sussistenza dell’autonoma organizzazione ai fini IRAP, arrivando ad escludere, sulla base di argomentazioni diverse ed ulteriori rispetto all’affermata assenza di contestazioni in primo grado, che, nella specie, l’esistenza di un dipendente e di beni strumentali potessero integrare il presupposto impositivo, dovendo altresì escludersi che il contribuente fosse libero di organizzare la propria attività.

3. Con il terzo motivo, si deduce violazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

L’Ufficio censura la sentenza impugnata laddove la stessa, dopo aver richiamato i principali arresti della giurisprudenza di legittimità, avrebbe escluso la sussistenza del presupposto impositivo in modo sostanzialmente apodittico, ossia indipendentemente dall’assolvimento dell’onere della prova a carico del contribuente e sulla base della mera affermazione che l’avvalersi, come nella specie, di un collaboratore per l’esercizio della professione non varrebbe a dimostrare l’esistenza di un’autonoma organizzazione. Rileva, inoltre, che il contribuente in tutti gli anni in contestazione ha sostenuto spese per beni strumentali superiori ad Euro 20.000,00 per anno.

Il motivo è infondato.

Le Sezioni unite di questa Corte, componendo il contrasto giurisprudenziale formatosi sulla questione controversa, con la sentenza 10/05/2016, n. 9451, Rv. 639529 – 01, hanno statuito che, “con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dal D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 446, art. 2 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”. (cfr., nello stesso senso, Cass. Sez. 6 – 5, 19/04/2018, n. 9786, Rv. 647737 – 01 con riferimento all’insussistenza del presupposto impositivo in un caso in cui il contribuente si era avvalso, nell’espletamento della propria attività professionale di medico convenzionato, di una segretaria; Cass. Sez. 6 – 5, 17/05/2018, n. 12084, Rv. 648384 – 01, secondo cui “non ricorre il necessario presupposto della autonoma organizzazione ove il contribuente si avvalga di un cd. assistente di sedia, ossia di un infermiere generico assunto “part time”, il quale si limita a svolgere mansioni di carattere esecutivo, senza pertanto accrescere le potenzialità professionali del medico”).

Una volta assodata, in forza della richiamata decisione delle Sezioni Unite, la non decisività, ai fini dell’integrazione del presupposto impositivo, dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni meramente esecutive, in ordine alla concomitante disponibilità di beni strumentali (di cui l’Agenzia ricorrente evidenzia il valore, superiore ad Euro 20.000,00) va richiamato l’orientamento secondo cui la disponibilità, da parte dei medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale, di uno studio, avente le caratteristiche e dotato delle attrezzature indicate nell’art. 22 dell’Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale, reso esecutivo con D.P.R. n. 270 del 2000, rientrando nell’ambito del “minimo indispensabile” per l’esercizio dell’attività professionale, ed essendo obbligatoria ai fini dell’instaurazione e del mantenimento del rapporto convenzionale, non può dirsi integrare, di per sè, il requisito dell’autonoma organizzazione (Cass. Sez. 6 – 5, 21/09/2017, n. 22027, Rv. 645678 – 01).

Nella medesima prospettiva, questa Corte ha, altresì, osservato che “la disponibilità, da parte di un medico, di beni strumentali, anche se di valore superiore ai quindicimila Euro (valore superato il quale invece, ai sensi della circolare 13 giugno 2008, n. 45/E dell’Agenzia delle entrate, potrebbe operare una presunzione di assoggettabilità del professionista medico all’IRAP), non è idonea, di per sè sola, a configurare la sussistenza dei presupposti impositivi, poichè detti strumenti, anche di una certa consistenza o caratteristiche, rientrano nelle attrezzature usuali per i precisati professionisti”. (Cass. Sez. 6 – 5, 25/07/2013, n. 18108, Rv. 628316 – 01).

Da tali premesse argomentative discende che la sentenza impugnata, nell’escludere che l’impiego di un collaboratore di studio medico part time e la disponibilità, da parte del medico di medicina generale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, di uno studio e di beni strumentali del valore documentato, possa integrare, di per sè, il requisito dell’autonoma organizzazione ai fini Irap, non si è discostata da una corretta applicazione dei principi di diritto vigenti in subiecta materia.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Le spese di lite devono essere compensate, atteso che l’orientamento giurisprudenziale in materia accolto dal Collegio si è consolidato solo successivamente alla proposizione del ricorso.

Poichè la parte ricorrente è un’amministrazione pubblica, difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, in relazione al versamento del doppio del contributo unificato (Cass. Sez. 6-5, 19/04/2018, n. 22098; Cass. Sez. 6 – L, 29/01/2016, n. 1778, Rv. 638714; Cass. Sez. 3, 14/03/2014, n. 5955, Rv. 630550).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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