LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6386-2013 proposto da:
D.M.V., C.F. *****, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato CLARA MENICHELLA giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1132/2012 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 28/02/2012 R.G.N. 9447/2009.
RILEVATO
che:
la Corte d’Appello di Bari, con sentenza n. 1132/2012, ha confermato la pronuncia del Tribunale della stessa sede di reiezione della domanda con cui D.M.V. aveva chiesto, nei confronti dell’I.N.P.S., il riconoscimento della pensione di inabilità o dell’assegno di invalidità;
la Corte prendeva atto degli esiti, sfavorevoli al D.M., delle c.t.u. svolte in primo e secondo grado e riteneva che l’accertamento, contenuto nella c.t.u. di secondo grado, in ordine alla portata usurante della patologia a carico del rachide, a far data dalla visita medico legale svolta, non consentisse di affermare che la riduzione della capacità di lavoro fosse prossima alla soglia dei due terzi e quindi giustificasse il riconoscimento del diritto all’assegno;
ciò veniva affermato in quanto il problema al rachide si inseriva in un quadro in cui le patologie sofferte dal ricorrente, nel loro insieme e secondo il medesimo c.t.u., non determinavano nel loro complesso un significativo pregiudizio, sicchè non poteva ritenersi che il predetto riscontrato carattere usurante potesse essere tale da evolversi nel breve periodo in un’invalidità rilevante per gli effetti di cui ai benefici rivendicati;
il D.M. ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo, mentre l’I.N.P.S. è rimasto intimato.
CONSIDERATO
che:
il motivo di ricorso, rubricato sotto l’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 222 del 1984, art. 1 e/o vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione;
il motivo è infondato;
non può dirsi che la Corte abbia negato carattere usurante alle mansioni svolte dal ricorrente;
essa ha viceversa ritenuto di desumere dal complesso delle conclusioni peritali l’impossibilità di affermare che tale riscontrato carattere potesse condurre a breve scadenza al raggiungimento della soglia invalidante necessaria al riconoscimento del beneficio;
tale ragionamento non è per nulla insufficiente, in quanto basato sul fondamentale rilievo, proprio del c.t.u., secondo cui le patologie esistenti nel loro insieme non pregiudicavano in maniera “significativa” la capacità di lavoro nell’occupazione specifica di bracciante agricolo, conclusione da cui è logicamente corretto che sia stata tratta la conseguenza che il ricorrente fosse “ancora ben lontano” (così la Corte d’Appello) dalla soglia legale di invalidità;
del resto l’orientamento consolidato su cui fa leva il ricorrente, afferma che “il carattere usurante dell’impegno in attività confacenti alle attitudini dell’interessato rileva anche ai fini del giudizio sulla riduzione della capacità di lavoro richiesta per l’attribuzione dell’assegno ordinario di invalidità (…) solo quando la riduzione della capacità lavorativa sia prossima alla soglia legale d’invalidità” (Cass. 22 gennaio 2016, n. 1186; Cass. 11 novembre 2002, n. 15817; Cass. 23 febbraio 1995, n. 2031; Cass. 30 maggio 1990, n. 5057);
il convincimento, proprio perchè basato sui dati desunti dalla c.t.u., non è stato del resto maturato dalla Corte arrogandosi indebitamente competenze di ambito tecnico ed appare anzi ragionevolmente elaborato, atteso che l’assenza di una significativa incidenza del complesso delle patologie invalidanti, plausibilmente porta a collocare la perdita della capacità di lavoro, al di là di una stima esatta del grado, ben al di sotto della soglia dei due terzi;
le critiche si traducono quindi “in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione” (Cass. S.U. 25/10/2013, n. 24148);
il ricorso va pertanto respinto, senza alcuna statuizione sulle spese, atteso che l’I.N.P.S. è rimasto intimato;
l’attuale condizione del ricorrente di ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude, allo stato, la debenza del raddoppio del contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater (Cass. 22 marzo 2017, n. 7368; Cass. 2 settembre 2014, n. 18523).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018