Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.25539 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5253-2014 proposto da:

DAB PUMPS S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI DUE MACELLI 66, presso lo studio dell’avvocato FABIO ELEFANTE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIAMPIERO FALASCA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

L.K., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 94, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE CARDILLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANCARLO MORO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 340/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 01/10/2013, R.G.N. 772/2010.

RILEVATO

CHE:

Con sentenza resa pubblica il 1/10/2013 la Corte d’appello di Venezia confermava la pronuncia del giudice di prima istanza che aveva accertato l’irregolarità del primo di una serie di contratti di somministrazione di lavoro, stipulato fra la Adecco s.p.a. e la Dub Pumps s.p.a. ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, per “punte di più intensa attività produttiva connesse a richieste indifferibili di mercato”, in relazione al quale L.K. aveva prestato attività lavorativa in favore dell’utilizzatrice Dub Pumps s.p.a. dal 17 maggio al 29 luglio 2005. Confermava altresì la statuizione con la quale era stato costituito un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fra il lavoratore e l’impresa utilizzatrice, e condannata quest’ultima alla riammissione in servizio del lavoratore con mansioni proprie di operaio metalmeccanico addetto al montaggio di 3^ categoria.

In parziale riforma di tale decisione, così accogliendo la doglianza al riguardo formulata dalla società appellante, la Corte di merito condannava quest’ultima al pagamento in favore di controparte di quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori di legge, a titolo di indennità onnicomprensiva L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5.

A sostegno del decisum, per quel che qui rileva, i giudici del gravame confermavano la statuizione del primo giudice in ordine alla genericità della causale; argomentavano in ogni caso che la prova offerta in relazione alla concreta esigenza delle ragioni contrattualmente enunciate fosse del tutto inadeguata allo scopo; infatti le circostanze capitolate non facevano riferimento all’esistenza di un incremento di produzione nel periodo interessato dai contratti derivante da talune commesse delle quali non era dato conoscere l’effettiva consistenza e se esse potessero o meno dirsi ricomprese in un andamento della produzione da annoverare come normale o meno. Per contro la prova che incombe sul datore – per essere tale – avrebbe dovuto riguardare la comparazione tra il personale stabilmente alle dipendenze della società e la verifica della sua insufficienza a fronteggiare l’effettivo maggior carico di lavoro oltre alla specifica dimostrazione della sua sola temporaneità; nello specifico il tenore dei capitoli di prova, non consentiva di individuare detto collegamento causale nè di giustificare l’utilizzazione del lavoratore.

La cassazione di tale pronuncia è domandata dalla Dab Pumps s.p.a. sulla base di plurimi motivi.

L’intimato resiste con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116,244 e 420 c.p.c. in relazione al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 3 ex art. 306 c.p.c., comma 1, n. 3.

Argomenta in ordine alla coessenzialità della prova testimoniale articolata nel giudizio di merito ed alla dimostrazione dell’effettiva sussistenza delle ragioni di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20 poste a fondamento del contratto di somministrazione di lavoro; deduce che, nello specifico, diversamente da quanto accertato dai giudici del gravame, i capitoli di prova – il cui contenuto analiticamente riproduce – sono stati articolati in modo sufficientemente preciso e tale da consentire uno scrutinio in sede giudiziale, della effettività della causale negoziale, rimarcando come le circostanze oggetto del capitolato di prova, fossero suffragate da dati documentali ritualmente versati in atti, che attestavano gli incrementi di attività produttiva registrati nel periodo rilevante ai fini del decisum.

2. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 421 c.p.c..

Si deduce che il giudice avrebbe comunque dovuto ammettere le prove, pur generiche, alla luce degli spunti di indagine derivanti dai capitoli di prova e dalla documentazione connessa, versata in atti.

3. Il terzo motivo è formulato ex art. 360 c.p.c., n. 5. Ci si duole che la Corte abbia ignorato i plurimi riscontri prodotti in sede istruttoria dalla ricorrente, limitandosi ad asserire l’inidoneità delle prove offerte, in quanto inadeguate.

4. La quarta e la quinta critica concernono la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Ci si duole che la Corte di merito abbia confermato “l’irregolarità dei contratti di somministrazione intercorsi fra le parti, per l’asserita eccessiva genericità delle causali ivi indicate”.

5. La sesta censura attinge la statuizione con la quale si pretende di far conseguire al mancato adempimento dell’obbligo di specificazione della causale, la nullità del contratto sotto il profilo della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 21 e 27.

6. Le censure possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse. Con eccezione della quarta e della quinta, esse non possono trovare accoglimento.

7. Con riferimento a queste ultime, da trattarsi con priorità per ragioni di ordine sistematico, va rimarcato che in numerosi e condivisi approdi, questa Corte ha attribuito alle ragioni di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, il significato loro proprio, di presupposti giustificativi oggettivi ed effettivamente sussistenti, distinguendo significato e ratio delle norme relative al contratto a termine ed a quello della somministrazione, non richiedendo che l’enunciazione delle ragioni risponda a quel livello di dettaglio proprio del primo tipo di contratto.

Si tratta di un orientamento condivisibile, cui si intende dare continuità, perchè non oblitera affatto la natura per così dire causale della somministrazione a termine, cioè la rilevanza giuridica della ragione giustificativa del termine e non sottrae neppure l’utilizzo della somministrazione a termine al controllo giudiziale che riguarda la sua oggettività, la sua effettiva esistenza, con conseguente esclusione della possibilità di fondare la somministrazione su ragioni meramente pretestuose, simulate o evanescenti. Nell’ottica descritta, è stato ritenuto sufficiente che l’indicazione contrattuale dia conto della ragione in concreto da fronteggiare in modo sufficientemente intellegibile, ferma comunque la possibilità per l’utilizzatore di fornire la prova dell’effettiva esistenza delle ragioni giustificative indicate anche a posteriori in caso di contestazione (vedi Cass. 15/7/2011 n. 15610; Cass. 21/2/2012 n. 2521).

Su tali premesse sono state, quindi, considerate ascrivibili alle ragioni di cui all’art. 20, comma 4, le “punte di intensa attività” non fronteggiabili con il ricorso al normale organico ed anche il semplice riferimento alle stesse è stato considerato “valido requisito formale del relativo contratto, ai sensi dell’art. 21, comma 1, lett. c” (così Cass. 3/4/2013 n. 8120, Cass. 21/2/2012, n. 2521). A tale riguardo è stato affermato che “si tratta di causali ben note e sperimentate nella pratica contrattuale, che hanno rinvenuto espressa consacrazione in risalenti norme legali relative al contratto al termine (ed, in particolare, nel D.L. n. 876 del 1977, convertito nella L. n. 18 del 1978, che ha introdotto la disciplina del contratto a termine per punte stagionali”, poi estesa dalla L. n. 79 del 1983, art. 8-bis a tutti i settori economici, anche diversi da quello commerciale e turistico), e conferma negli orientamenti della stessa giurisprudenza, che, sotto il vigore della precedente disciplina della materia, ne aveva patrocinato una interpretazione allargata, e cioè comprensiva anche delle punte di intensificazione dell’attività produttiva di carattere meramente gestionale (v. già Cass. n. 3988/1986), sì da rispondere, in perfetta consonanza con gli orientamenti contrattuali, alle più svariate esigenze aziendali di flessibilità organizzativa delle imprese.

Ne deriva che le punte di intensa attività non fronteggiabili con il ricorso al normale organico risultano sicuramente ascrivibili nell’ambito di quelle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore, che consentono, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, il ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato e che il riferimento alle stesse ben può costituire valido requisito formale del relativo contratto, ai sensi dell’art. 21, comma 1, lett. c Legge stessa” (vedi Cass. 6/10/2014 n.21001, in motivazione Cass. cit. n.2521/12, Cass. n. 8120/13). In tal senso, devono ritenersi fondati il quarto e quinto motivo di ricorso, dovendo procedersi alla correzione sul punto della motivazione, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4.

8. Tuttavia, non può tralasciarsi di considerare che l’astratta ammissibilità della causale indicata nel contratto di somministrazione di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, non è sufficiente a rendere legittima l’apposizione d’un termine al rapporto, dovendo anche sussistere, in concreto, una situazione riconducibile alla ragione indicata nel contratto stesso, vale a dire una rispondenza tra la causale enunciata e la concreta assegnazione del lavoratore a mansioni ad essa confacenti (in questi sensi, vedi Cass. 9/9/2013 n. 20598).

L’accertamento in fatto della ricorrenza delle condizioni che giustificavano il ricorso al lavoro in somministrazione, attraverso la valutazione e l’apprezzamento del complessivo materiale probatorio, appartiene, poi, alla competenza esclusiva del giudice del merito e non è sindacabile in sede di legittimità.

Nello specifico la Corte distrettuale ha confermato il giudizio di carenza probatoria in ordine alla sussistenza effettiva delle esigenze sostitutive sottese al contratto di somministrazione già espresso dal giudice di prima istanza, sotto il profilo della genericità dei capitoli di prova articolati dalla società, per le ragioni indicate nello storico di lite.

La pronuncia si sottrae alle critiche formulate, considerato che la valutazione del compendio probatorio rientra nella sfera di discrezionalità riservata al giudice di merito e ribadendosi, con riferimento ai dati di natura documentale ed alla dedotta non contestazione degli stessi da parte del lavoratore rilevata da parte ricorrente (in particolare con il primo motivo), che l’onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti prodotti, nè la loro valenza probatoria, la cui valutazione, in relazione ai fatti contestati, è sottratta allo scrutinio in sede di legittimità (vedi Cass. 22/09/2017 n.22055, Cass. 21/06/2016 n.12748, Cass. 6/4/2016 n.6606).

9. Il ricorso va, peraltro, disatteso anche con riferimento alla censura di cui al secondo motivo, relativa all’uso dei poteri istruttori d’ufficio. Ed invero, se è da ritenere ormai principio acquisito che nel rito del lavoro, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 c.p.c., essi non hanno più carattere discrezionale, ma si presentano come un potere – dovere, del cui esercizio o mancato esercizio il giudice deve dar conto (Cass. S.U. 17/6/ 2004, n. 11353), è però anche vero che al fine di poter censurare con il ricorso per Cassazione l’inesistenza di alcuna motivazione circa la mancata attivazione di tali poteri, occorre dimostrare di averne sollecitato l’esercizio, poichè diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema totalmente nuovo rispetto a quelli dibattuti nelle fasi di merito. L’omesso esercizio dei poteri istruttori ufficiosi da parte del giudice di merito, non può essere stigmatizzato in sede di legittimità ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori (vedi Cass. 25/10/2017 n.25374, Cass. 23/10/2014 n.22534); e nella specie, ciò non risulta sia stato fatto, essendosi la ricorrente limitata, solo in questo giudizio, a prospettare la necessità dell’integrazione istruttoria ad opera del giudice.

10. Con riferimento, poi, alla questione delle conseguenze relative alla somministrazione irregolare, posta dalla ricorrente con l’ultimo motivo, deve rilevarsi che la legittimità del contratto di fornitura costituisce il presupposto per la stipulazione di un legittimo contratto per prestazioni di lavoro temporaneo. Per scelta legislativa i vizi del contratto commerciale di fornitura tra agenzia somministrante ed impresa utilizzatrice si riverberano sul contratto di lavoro; l’illegittimità del contratto di fornitura comporta le conseguenze previste dalla legge sul divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro, quindi la conversione dello stesso da lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo indeterminato e l’instaurazione del rapporto di lavoro con l’utilizzatore, fruitore della prestazione (ex aliis, vedi Cass. 1/8/2014 n. 17540); onde, sotto tale profilo, la pronuncia resiste alla censura all’esame.

10. In definitiva, sotto tutti i profili sinora delineati, le censure non si palesano meritevoli di accoglimento. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

Essendo stato il presente ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge da distrarsi in favore degli avv.ti Giancarlo Moro e Raffaele Cardilli.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 28 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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