LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23423/2017 proposto da:
J.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 123, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MAIOTANA, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2268/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/04/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 28/06/2018 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il provvedimento impugnato la Corte d’appello di Roma ha dichiarato inammissibile il gravame proposto da J.S. avverso il rigetto del ricorso proposto contro il diniego di riconoscimento della protezione internazionale, ritenendo che il giudizio d’appello andasse introdotto con ricorso e non con atto di citazione, alla stregua del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 9, quale modificato dal D.Lgs. n. 142 del 2015. Nella specie, l’impugnazione era stata depositata il 2/11/2016, e quindi oltre il termine di giorni trenta dalla comunicazione dell’ordinanza del Tribunale, avvenuta il 3/3/2016.
Avverso questa pronuncia ò ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero, denunciando, con un unico motivo, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 142 del 2015 art. 27; D.Lgs. n. 150 del 2011 art. 19; art. 702 quater c.p.c., laddove la Corte territoriale dal termine “ricorso” di cui al citato art. 19, ha fatto discendere l’obbligo di introdurre il gravame con ricorso anzichè con citazione.
Il ricorso è inammissibile dal momento che la dedotta violazione di legge è dedotta in via del tutto astratta senza alcuna indicazione sulla data di notificazione dell’atto di appello e senza alcuna giustificazione del deposito dell’atto d’impugnazione addirittura oltre i sei mesi dal deposito del provvedimento emesso nel primo grado. Gli unici riferimenti temporali risultano indicati, senza alcuna contestazione, nella pronuncia impugnata (cfr. ultima pagina del provvedimento) ed attestano l’ampio superamento sia del termine breve che di quello lungo (da ritenersi perento il 2 ottobre 2016). Peraltro anche la circostanza della comunicazione del provvedimento di primo grado non risulta oggetto di contestazione. Nessuna indicazione al riguardo può trarsi dal controricorso che contiene indicazioni temporali verosimilmente riguardanti una diversa controversia.
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali del presente giudizio.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio da liquidarsi in Euro 2050 per compensi oltre a s.p.a.d. (spese prenotate a debito) in favore del controricorrente.
Sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018