Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.25655 del 15/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO A. M – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 5429 del ruolo generale dell’anno 2012 proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si domicilia;

– ricorrente e controricorrente al ricorso incidentale –

contro

SIPRA – Società italiana pubblicità per azioni, in persona di procuratori speciali del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine del ricorso, dagli avvocati Mario Miscali e Sandro Lattanzi, elettivamente domiciliatosi presso lo studio del secondo in Roma, alla via Sicilia, n. 66;

– controricorrente e ricorrente in via incidentale –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, depositata in data 2 febbraio 2011, n. 1/25/11;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 19 giugno 2018 dal Consigliere Dott. Angelina Maria Perrino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l’accoglimento di quello incidentale;

sentiti per l’Agenzia l’avvocato dello Stato Bruno Dettori e per la società gli avvocati Sandro Lattanzi e Mario Miscali.

FATTI DI CAUSA

Si legge nella sentenza impugnata che all’epoca dei fatti SIPRA era, in virtù di una convenzione, la concessionaria esclusiva della pubblicità radiofonica e televisiva della RAI, la quale ne era la controllante. In particolare, la regolamentazione contrattuale del rapporto prevedeva che Sipra promuovesse contratti con inserzionisti, facendosi remunerare parte del servizio attraverso cc.dd. cambi merce, entro il plafond pari all’uno per cento del fatturato all’epoca dei fatti.

L’Agenzia delle entrate qualificò come permutative queste operazioni, sicchè ritenne che la SIPRA avrebbe dovuto fatturare ai clienti committenti la pubblicità le prestazioni pubblicitarie eseguite per l’intero importo e che i clienti committenti avrebbero dovuto fatturare alla SIPRA le operazioni di cambio merce. Le successive operazioni aventi a oggetto beni e servizi ricevuti in cambio effettuate dalla SIPRA in favore dei propri dipendenti o di terzi, di norma dipendenti della Rai, secondo l’Ufficio erano imponibili ai fini dell’iva e generavano correlativi ricavi di esercizio.

L’Agenzia, in relazione a tali operazioni contestò nella maggior parte dei casi che Sipra, avendo emesso fattura all’atto dell’ultimazione della propria prestazione pubblicitaria, in tal modo ne avesse anticipato il momento impositivo; laddove i clienti avevano emesso fattura soltanto all’atto della consegna o della spedizione delle merci o dopo l’ultimazione delle prestazioni di servizi oggetto dei cambi. In altri casi, l’Ufficio rilevò che, poichè le società clienti avevano consegnato la merce a Sipra, e soltanto dopo avevano emesso fattura, quest’ultima avrebbe dovuto contestualmente fatturare la propria prestazione pubblicitaria.

Ne scaturì, in relazione all’anno d’imposta 2002 e con riferimento all’iva, la contestazione di violazioni degli obblighi di fatturazione.

La società impugnò il relativo avviso d’irrogazione di sanzioni, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale di Torino.

Quella regionale del Piemonte ha respinto l’appello dell’Agenzia. Il giudice d’appello ha al riguardo osservato che, benchè, come sostiene l’Ufficio, l’operazione permutativa, alla quale va ricondotta quella di c.d. cambio merce, abbia portata più ampia della permuta civilistica, essa comunque è regolata dal principio del consenso traslativo, in virtù del quale in caso di permuta di cose generiche il diritto si trasmette soltanto a seguito dell’individuazione; sicchè soltanto al momento della scelta del bene o del servizio oggetto dei cc.dd. cambi di merce, si poteva realizzare l’effetto traslativo dei relativi diritti.

Quindi, nella fattispecie verrebbe a trovare applicazione il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 6, comma 3, che correla l’effettuazione delle prestazioni di servizi al pagamento del corrispettivo.

Contro questa sentenza propone ricorso l’Agenzia per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi, cui la società replica con controricorso e ricorso incidentale, articolato in sei motivi, che illustra con memoria, cui ribatte con controricorso l’Ufficio.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Infondata è l’eccezione d’inammissibilità del ricorso principale, in quanto, differentemente da quanto sostenuto in controricorso, l’Agenzia ha adeguatamente descritto e illustrato i fatti di causa, trascrivendo gli atti salienti e idonei a ricostruirli.

2.- Col primo motivo del ricorso principale, la ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 6, 11 e 21, nonchè dell’art. 2697 c.c., là dove la Commissione tributaria regionale ha escluso che l’emissione di fattura per una sola delle prestazioni oggetto delle operazioni permutative determini il contestuale obbligo di fatturazione per entrambe, senza dover verificare il momento in cui sia stata eseguita ciascuna operazione di cambio merci.

Il motivo non è affetto dai vizi d’inammissibilità denunciati in controricorso, in quanto con la censura in questione si propone una ricostruzione in diritto diversa da quella affermata in sentenza, della quale si deduce espressamente l’erroneità.

2.1.- La censura non contrasta, poi, con alcun insuperabile accertamento di fatto, come, invece, sostiene la società, la quale fa leva sul preteso accertamento delle difficoltà inerenti all’individuazione del momento in cui ai fini iva avrebbero avuto luogo le cessioni di beni o le prestazioni di servizi oggetto dei cambi merci. La contribuente eccepisce al riguardo anche il giudicato interno.

L’eccezione di giudicato si rivela infondata in base all’orientamento di questa Corte (in espressione del quale si veda, fra varie, Cass. 4 febbraio 2016, n. 2217), secondo cui, ai fini della selezione delle questioni, di fatto o di diritto, suscettibili di devoluzione e, quindi, di giudicato interno se non censurate in appello, la locuzione giurisprudenziale “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico; ne consegue che, sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, nondimeno l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi riapre la cognizione sull’intera statuizione.

Il che è appunto quanto accaduto nel caso in esame, in cui l’Agenzia in sede d’appello ha contestato il ragionamento svolto dal giudice di primo grado.

2.2.- Oltre che ammissibile, il motivo è anche fondato.

Il trattamento impositivo delle prestazioni pubblicitarie svolte da SIPRA riguarda nel caso in esame due operazioni:

a.- quelle intercorse tra SIPRA e i suoi clienti committenti le prestazioni;

b.- quelle di c.d. cambio merce rese a SIPRA dai clienti.

Secondo il giudice d’appello, si è visto, soltanto l’individuazione dei beni o dei servizi consentirebbe alla prestatrice SIPRA di divenirne proprietaria e quindi di poterla a propria volta cedere a terzi. Sicchè illegittimo sarebbe l’accertamento compiuto dall’Agenzia, che si è limitata a utilizzare un criterio algebrico, mediante il mero confronto tra le operazioni attive e quelle passive. In definitiva, in base al ragionamento della Commissione, il momento impositivo ai fini iva delle due operazioni sarebbe il medesimo, ossia la scelta del bene o del servizio oppure il pagamento del corrispettivo da parte dei clienti.

2.3.- Secondo l’Agenzia, di contro, l’emissione di fattura per una delle due prestazioni che compongono la complessiva operazione commutativa innesca l’obbligo di fatturazione anche dell’altra, senza che occorra verificare il momenti in cui ciascuna sia stata eseguita.

3.- Va premesso che le operazioni tra SIPRA e i clienti non ne costituiscono un’unica complessa: e ciò “alla luce della reciprocità delle prestazioni tra le… società e della duplice qualità di ciascuna parte nell’ambito del loro rapporto giuridico, in quanto fornitore, da un lato, e beneficiario, dall’altro”, sicchè “le due operazioni devono essere distinte” (Corte giust. 13 giugno 2018, causa C421/17, Polfarmex Spotka Akcyjna w Kutnie).

3.1.- In questo contesto, corretto è l’inquadramento dell’operazione SIPRA/clienti committenti in seno a quelle permutative regolate dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 11.

Questa norma, che reca la rubrica “operazioni permutative e dazioni in pagamento”, stabilisce che “le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in corrispettivo di altre cessioni di beni e prestazioni di servizi, o per estinguere precedenti obbligazioni, sono soggette all’imposta separatamente da quelle in corrispondenza delle quali sono state effettuate”.

3.2.- Le operazioni permutative rilevanti ai fini dell’iva hanno quindi oggetto più ampio rispetto a quello del contratto di permuta disciplinato dall’art. 1552 c.c., in quanto, oltre che agli scambi di cosa con cosa e di diritto con diritto, si estendono agli scambi di beni e servizi e di servizi con altri servizi (Cass. 23 dicembre 2000, n. 16173 e ord. 30 novembre 2017, n. 28723).

E, nel caso in esame, la ricostruzione dei fatti offerta in sentenza, che non è oggetto di contestazione fra le parti, evidenzia che le prestazioni pubblicitarie, ossia i servizi prestati da SIPRA, sono stati fronteggiati, fino a un importo pari all’1% dell’obiettivo pubblicitario stabilito, dall’impegno dei committenti clienti a fornire beni e servizi; tanto, che il giudice d’appello qualifica i contratti intercorsi tra le parti come permute a effetti obbligatori.

3.3.- Il fatto che all’esecuzione di una prestazione di servizi corrisponda l’impegno a eseguire una cessione di beni oppure a eseguire una prestazione di servizi non è difatti d’ostacolo alla configurazione dell’operazione permutativa: è il risultato traslativo, consistente nell’attribuzione dell’utilità derivante dalla futura prestazione di servizi o dalla futura cessione di beni una determinata opera da realizzare, coincidente col bene futuro, a essere assunto come termine di scambio con la prestazione di servizi già eseguita, corrispondente al bene presente (in termini, con riguardo alla permuta, Cass. 22 dicembre 2005, n. 28479 e 25 ottobre 2013, n. 24172).

A norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 11, allora, le due operazioni che compongono la complessiva operazione permutativa vanno tassate separatamente.

3.4.- Contrariamente a quanto sostenuto in sentenza, le prestazioni di servizi eseguite da SIPRA sono da ritenere imponibili al momento della loro esecuzione, e non già, come vorrebbe il giudice d’appello, nel “…momento in cui Sipra individuava i beni (o i servizi) da ottenere in contropartita della propria prestazione”.

Le sezioni unite di questa Corte hanno difatti fatto chiarezza (con sentenza 21 aprile 2016, n. 8059; conf., tra varie, ord. 7 dicembre 2017, n. 29371) su concetti centrali dell’iva, distinguendo tra fatto generatore dell’imposta, da cui scaturisce l’obbligazione tributaria, esigibilità, ossia attitudine attuale dell’imposta ad essere pretesa da parte dell’erario e pagamento. Il fatto generatore di norma coincide con l’esigibilità, ma ne rimane ontologicamente distinto, giacchè esso in realtà s’identifica col materiale espletamento dell’operazione. E’ quindi questo a determinare l’insorgenza del presupposto impositivo e, quindi, la rilevanza fiscale dell’attività ai fini dell’iva. Se ne legge conferma nella giurisprudenza unionale: “conformemente all’art. 63 di tale direttiva, il fatto generatore dell’imposta si verifica, e l’imposta diviene esigibile, nel momento in cui viene effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi” (Corte giust. 31 maggio 2018, cause C-660 e 661/16, KollroB e Wirti, punto 38).

Rispetto al materiale espletamento dell’operazione, sia essa cessione di beni oppure prestazione di servizi, il rilascio della fattura o l’incasso del corrispettivo sono presupposti di esigibilità, il verificarsi dei quali al più può determinare l’anticipazione del momento impositivo, qualora gli Stati membri nell’esercizio della loro discrezionalità l’abbiano previsto, giammai la sua posticipazione.

Questa ricostruzione trova conferma nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, il quale prevede che l’omessa riscossione del corrispettivo non comporta la caducazione dell’obbligazione tributaria, della quale il presupposto impositivo si sia già verificato e rinviene copertura costituzionale negli artt. 3 e 53 Cost., in particolare nell’esigenza di non trattare differentemente situazioni uguali, in dipendenza di eventi correlati a scelte (quelle concernenti la fatturazione o il pagamento del corrispettivo) casuali e soggettive.

4.- Nel contempo, tuttavia, l’esecuzione della prestazione pubblicitaria, oltre a determinarne l’imponibilità e l’esigibilità, funge altresì da adempimento del corrispettivo previsto per la futura cessione o la futura prestazione di servizi che i clienti committenti si sono impegnati a eseguire.

Ai fini della valutazione di rilevanza di un tale anticipato adempimento, giova considerare che l’art. 10, comma 2, n. 2, della sesta direttiva (corrispondente all’art. 65 della direttiva n. 2006/112, nonchè, nell’ordinamento interno, al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 4), si discosta dall’ordine cronologico consueto, là dove prevede che, nel caso di versamento di un acconto, l’iva diventa esigibile senza che la cessione o la prestazione siano state ancora eseguite. Affinchè in tal caso l’imposta possa diventare esigibile, occorre, peraltro, che tutti gli elementi qualificanti del fatto generatore, vale a dire la futura cessione o la futura prestazione, siano già noti alle parti e, in particolare, che, nel momento del versamento dell’acconto, i beni o i servizi siano specificamente individuati (Corte giust. in causa C419/02, punto 48; 31 maggio 2018, in causa C-660/16, cit.).

Sicchè anche la circostanza che la data futura di esecuzione della cessione o della prestazione non sia nota con precisione al momento del versamento dell’acconto o del corrispettivo non consente di concludere che gli elementi rilevanti del fatto generatore, vale a dire la futura cessione o la futura prestazione, non sono noti. Inoltre, l’assenza di tale precisione non è tale, di per sè, da rimettere in discussione la certezza della cessione o della prestazione (Corte giust. in causa C-660/16, punto 45).

Ciò in quanto, ha chiarito questa Corte, nel caso di anticipato pagamento (come in quello di anticipata fatturazione dell’acquisto), il contenuto economico dell’operazione si considera già – in tutto o in parte – realizzato, dando vita al presupposto fiscalmente sufficiente per la sua imponibilità, sia pure limitatamente all’importo pagato o fatturato (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27141 e 22 maggio 2015, n. 10606).

4.1.- In definitiva, come rilevava la Commissione a motivazione della proposta della sesta direttiva, “quando vengono incassati acconti anteriormente al fatto generatore, il loro incasso rende esigibile l’imposta, poichè i contraenti dimostrano in tal modo di voler trarre anticipatamente tutte le conseguenze finanziarie legate alla realizzazione del fatto generatore”.

E questa disciplina, benchè non riferita espressamente alla permuta, va comunque anche a essa applicata in virtù del principio di parità di trattamento che presidia il sistema dell’iva, poichè le operazioni di permuta, in cui il corrispettivo è per definizione in natura, e le operazioni per le quali il corrispettivo è in danaro sono, dal punto di vista economico e commerciale, due situazioni identiche (Corte giust. 19 dicembre 2012, causa C-549/11, Orfey Bulgaria EOOD, punti 35-36 e 26 settembre 2013, causa C-283/12, Serebryannay vek EOOD, punto 39).

4.2.- Qualora al momento del pagamento anticipato non siano compiutamente individuati i beni o i servizi, le relative operazioni non saranno immediatamente imponibili, ma lo diverranno non appena le cessioni o le prestazioni saranno eseguite.

E al riguardo s’innesta la considerazione svolta dall’Agenzia, secondo cui il “momento della fatturazione della prima prestazione permutativa…è stato in concreto individuato, cliente per cliente, sulla base del saldo mensile dei singoli conti d’ordine”.

4.3.- Sono quindi erronee le statuizioni della sentenza impugnata, in virtù delle quali la Commissione tributaria regionale ha escluso in radice l’esigibilità e della prestazione eseguita da SIPRA e di quelle comunque eseguite dalle clienti committenti.

Ne deriva l’accoglimento del primo motivo di ricorso.

5.- Col secondo motivo del ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, relativo all’ipotesi in cui fossero stati i clienti di Sipra a eseguire per primi le loro prestazioni, l’Agenzia denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., per ultrapetizione in quanto, sostiene, la società non aveva mai eccepito il difetto di motivazione dell’atto di contestazione, sul quale, invece, si è basato il giudice d’appello per respingere il corrispondente capo d’appello dell’Agenzia.

Infondata è l’eccezione d’inammissibilità del motivo, in quanto, contrariamente a quanto affermato in controricorso, l’Agenzia ha riprodotto in ricorso l’intero testo del ricorso di primo grado. Testo che evidenzia, in effetti, che la discrasia evidenziata in sentenza non era stata rilevata.

E la natura impugnatoria del giudizio tributario non può che condurre alla valutazione di fondatezza del motivo, escludendo la rilevanza delle considerazioni svolte in controricorso sull’identificazione della causa petendi del ricorso originario.

Il motivo va quindi accolto.

5.1.- Nè i primi quattro motivi del ricorso incidentale proposto in via condizionata dalla società, comunque affetti da inammissibilità, perchè concernenti questioni ritenute assorbite dal giudice d’appello, che riguardano sotto diversi profili quest’aspetto (della violazione dell’art. 2697 c.c., quanto al primo motivo, della coincidenza del momento impositivo con l’effettuazione dell’ultima delle prestazioni, quanto al secondo, dell’emissione di proprie fatture denominate *****, quanto al terzo, della qualificazione del c.d. cambio merce come datio in solutum quanto al quarto) sono d’ostacolo all’accoglimento del motivo in questione, in base alle considerazioni che precedono in relazione alla corretta identificazione del momento impositivo di ciascuna delle due prestazioni, che valgono in senso speculare nell’ipotesi in questione, inversa rispetto a quella dinanzi esaminata.

6.- Infondato è poi il quinto motivo del ricorso incidentale, concernente l’esimente dell’obiettiva incertezza, in base a quanto affermato dal Ministero dell’economia e delle finanze in precedenza. E ciò in applicazione del consolidato orientamento di questa Corte (vedi, per tutte, Cass. 23 novembre 2016, n. 23845), secondo il quale in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, alla stregua della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, postula una condizione d’inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita non già ad un generico contribuente, nè a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, nè all’ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione. A tanto si aggiunge che, come osservato dalla giurisprudenza unionale (Corte giust. 11 aprile 2018, in causa C532/16, SEB Bankas AB, punto 50), il legittimo affidamento del contribuente non si può basare su una prassi illegittima dell’Ufficio.

7.- L’ultimo motivo del ricorso incidentale, invece, che concerne la quantificazione della sanzione, è assorbito.

8.- La sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio anche per le spese alla Commissione tributaria regionale del Piemonte in diversa composizione, che si atterrà al seguente principio di diritto:

“In tema di iva, il momento impositivo della prestazione pubblicitaria remunerata col diritto al c.d. cambio merce, ossia alla futura cessione di beni o alla futura prestazione di servizi da parte del committente la pubblicità, che s’inquadra nel novero delle operazioni permutative, coincide con l’effettuazione della prestazione, la quale, costituendo a sua volta il corrispettivo anticipato del c.d. cambio merce, determina al contempo l’imponibilità anche di questa prestazione, purchè ne sia già noto l’oggetto alle parti”.

P.Q.M.

accoglie il ricorso principale, rigetta i primi cinque motivi del ricorso incidentale, assorbito il sesto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai profili accolti e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Piemonte in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018

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