LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. MUCCI Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 24827/2012 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
B.M.C. COSTRUZIONI S.R.L. IN LIQUIDAZIONE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 179/25/11 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della SICILIA, depositata il 20 settembre 2011;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 2 luglio 2018 dal Cons. Dott. ROBERTO MUCCI.
CONSIDERATO
che:
1. la CTR di Palermo accoglieva il gravame interposto da B.M.C. Costruzioni s.r.l. in liquidazione avverso la sentenza della CTP di Palermo che aveva dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla società contro l’avviso di rettifica n. ***** notificatole per indebita detrazione di IVA per Lire 26.328.300 relativa all’anno d’imposta 1993;
2. la vicenda traeva originava da contestazioni basate su atti e circostanze desunti da controlli incrociati effettuati dalla Guardia di Finanza a carico degli enti ENAPRA e ENFRAGA, nei confronti dei quali la B.M.C. avrebbe emesso fatture riferite a ritenute inerenti operazioni inesistenti, nonchè della società fallita *****, il cui ex amministratore aveva dichiarato ai verbalizzanti che detta società aveva emesso una fattura per un imponibile di Lire 238.570.000, con IVA per Lire 26.328.300, su espressa richiesta del marito della responsabile legale di B.M.C.;
3. la CTR riteneva errata l’inammissibilità affermata dalla CTP ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 20 (recte, art. 22), per mancata produzione della fotocopia o dell’originale dell’atto impugnato e, nel merito, non provata la pretesa fiscale, avendo l’ufficio aderito pedissequamente(V contenuti del processo verbale di contestazione – peraltro non comunicato alla contribuente, nè prodotto in giudizio dall’ufficio – senza alcuna indagine o approfondimento ulteriori;
4. avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate affidato a due motivi; B.M.C. non ha svolto difese.
RITENUTO
che:
5. con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22: secondo l’Agenzia delle Entrate il combinato disposto dei commi 4 e 5 della norma citata deporrebbe per l’inammissibilità del ricorso in caso di mancato deposito dell’atto impugnato in originale o in copia;
6. con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, norma che abilita l’ufficio a procedere alla rettifica sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, e ciò anche quando gli elementi siano acquisiti nell’ambito di procedure riguardanti soggetti terzi; nella specie, si tratterebbe di fatture fittizie, sicchè incomberebbe sul contribuente l’onere di provare l’effettività dei rapporti intrattenuti non essendo sufficiente la regolarità formale delle scritture contabili;
7. il primo motivo è infondato;
7.1. con riguardo alla previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, la Sezione ha da tempo definitivamente chiarito che, in tema di contenzioso tributario, la sanzione processuale dell’inammissibilità del ricorso è disposta soltanto nel caso di mancato deposito degli atti e documenti espressamente previsti dal comma 1 della norma citata, sicchè l’originale o la fotocopia dell’atto impugnato possono essere prodotti anche in un momento successivo ovvero su impulso del giudice tributario, che si avvalga dei poteri previsti dal comma 5 (Sez. 6-5, 12 ottobre 2016, n. 20612; Sez. 5, 20 ottobre 2010, n. 21509; Sez. 5, 24 febbraio 2010, n. 4431; Sez. 5, 7 settembre 2007, n. 18872; si v. anche Sez. 5, 12 dicembre 2013, n. 27837 per compiuti richiami sistematici di raffronto con il previgente dettato del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 15); ciò sul fondamentale rilievo che, in carenza di espliciti elementi testuali, le previsioni d’inammissibilità devono essere interpretate in senso restrittivo, visto il loro rigore e la loro natura di extrema ratio;
8. il secondo motivo è inammissibile;
8.1. la doglianza non coglie la ratio decidendi atteso che, a fronte della carenza di prova – sia pure in via presuntiva – della pretesa fiscale rilevata dalla CTR, l’Agenzia ricorrente si limita a dedurre un vizio di violazione di legge sostenendo che il suo operato risulta coperto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e l’astratta legittimità della motivazione per relationem dell’atto (con riferimento al processo verbale di contestazione emesso dagli organi di polizia tributaria), ma senza indicare gli elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, sottoposti al vaglio del giudice di merito, suscettibili di riversare sul contribuente l’onere della prova e senza contestare la mancata comunicazione alla contribuente delle attività di verifica poste a fondamento dell’atto impugnato, pure rilevata dalla CTR, sicchè il mezzo si converte in un’inammissibile sollecitazione, nella presente sede, alla revisione del merito degli apprezzamenti in fatto.
9. In conclusione, il ricorso deve essere complessivamente rigettato. Non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio non essendosi costituita la contribuente intimata.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 2 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018