LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 12303/2014 proposto da:
F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 294, presso lo studio dell’avvocato ANDREA CAMPI, rappresentato e difeso dall’avvocato TOBIA RENATO BINETTI giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO ***** SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE BRUNO BUOZZI 51, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO CARDI, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO VERNOLA giusta procura a margine del controricorso;
– ricorrente incidentale –
e contro
L.G.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1465/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 12/11/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/06/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del primo motivo del ricorso principale, l’accoglimento del secondo motivo, e per l’assorbimento del terzo motivo; quanto al ricorso incidentale ha chiesto l’inammissibilità o rigetto del ricorso principale non condizionato e l’inammissibilità del ricorso incidentale condizionato;
udito l’Avvocato Massimo Vernola per la ricorrente incidentale.
RAGIONI IN FATTO Con citazione del 4 aprile 2000 F.G. conveniva in giudizio il fallimento della ***** S.r.l., già ***** S.p.A., la quale aveva in precedenza incorporato la Parchitello S.p.A., deducendo che in data 11 settembre 1981 L.G. e La.It. avevano concluso con la società incorporata un contratto di compravendita di un appartamento in corso di edificazione nel complesso immobiliare “Parchitello” in ***** e che la La. aveva receduto dal contratto in data 31/12/1981.
La L. aveva invece ceduto all’attore il contratto con atto del 31/12/1985, cessione alla quale aveva aderito la società, tramite una procuratrice speciale.
Peraltro l’attore aveva conseguito la materiale detenzione del bene sin dal giorno del completamento dei lavori, senza che però si fosse mai giunti alla stipula dell’atto di trasferimento.
Concludeva pertanto affinchè fosse accertato che si trattava di una vendita di cosa futura, e che per effetto della avvenuta costruzione, fosse dichiarato proprietario del bene di cui al contratto, ovvero che in via subordinata ne fosse disposto il trasferimento ex art. 2932 c.c..
Nella resistenza del fallimento che invece insisteva per la natura preliminare dell’accordo concluso, assumendo che aveva comunque manifestato il recesso dal contratto L. Fall., ex art. 72, veniva autorizzata la chiamata in causa della L. anche al fine dell’accertamento dell’inefficacia ed inopponibilità della cessione del contratto, ovvero per l’accertamento della prescrizione del diritto all’esecuzione in forma specifica.
Si costituiva anche la L. che insisteva per il rigetto della riconvenzionale.
Il Tribunale di Bari con la sentenza n. 387 del 22 febbraio 2005 rigettava la domanda attorea nonchè la riconvenzionale nei confronti della L., condannando invece il F. all’immediato rilascio del bene.
A seguito di appello principale del F. ed incidentale della curatela, la Corte d’Appello di Bari con la sentenza n. 1465 del 12 novembre 2013 rigettava entrambi i gravami, compensando le spese del grado.
In primo luogo disattendeva il motivo di appello con il quale si contestava la qualificazione del contratto come preliminare, così come operata dal Tribunale, evidenziando che il tenore letterale del testo contrattuale deponeva per la natura in questione, essendo ricorrenti le espressioni di promittente venditore e promittente acquirente in quanto riferite alle parti del contratto, il che trovava conferma anche nella previsione secondo cui l’effetto traslativo della proprietà si sarebbe prodotto solo con la stipula dell’atto pubblico di compravendita.
Quanto al secondo motivo di appello, con il quale si contestava l’accertamento dell’intervenuta prescrizione del diritto di chiedere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre scaturente dal preliminare, i giudici di appello ritenevano che non fosse possibile avvalersi di un nuovo documento prodotto dall’appellante e rappresentato da una lettera a firma dell’avv. R. Bia, ricevuta in data 5/2/1999, e quindi nei dieci anni dal compimento di un precedente atto interruttivo della prescrizione decennale, dovendosi condividere la valutazione d’inammissibilità di tale produzione documentale.
Ed, invero nei giudizi di cognizione introdotti dopo il 30 aprile 1995, la scadenza dei termini di cui all’art. 184 c.p.c. segna la maturazione delle preclusioni istruttorie, sicchè una successiva produzione non può che essere richiesta, previa rimessione in termini.
Il documento in esame era stato tardivamente prodotto in primo grado nè poteva essere recuperato mediante il ricorso alla diversa previsione di cui all’art. 345 c.p.c., in tema di prove indispensabili, in quanto la norma fa riferimento a documenti nuovi, il che esclude che possano farsi rientrare anche i documenti per la cui produzione si sia già verificata la decadenza in prime cure.
Il terzo motivo dell’appello principale relativo all’erroneo assorbimento della questione relativa alla legittimità del recesso del curatore dal contratto preliminare, nonchè i primi tre motivi di appello incidentale, con i quali si contestava l’affermazione circa la tardività del disconoscimento dei documenti prodotti dalla controparte, la validità della cessione del contratto operata dalla L. in favore del F. ed infine la mancata decisione circa l’esercizio del diritto di recesso, erano ritenuti assorbiti, per effetto del rigetto dei primi due motivi dell’appello principale.
In ordine al quarto mezzo di gravame incidentale, concernente il rigetto della domanda risarcitoria della curatela correlata al godimento del bene da parte dell’attore, i giudici di appello rilevavano che la domanda era carente di prova, nè poteva farsi ricorso ad un criterio di liquidazione equitativo, in quanto la detenzione del F. aveva come contropartita il pagamento anticipato ed integrale del prezzo, messo a suo tempo a disposizione della società poi fallita.
Infine era disatteso anche l’ultimo motivo di appello incidentale relativo alle spese, ritenendosi corretta la condanna della curatela al rimborso in favore della L., stante la totale soccombenza della curatela nei confronti della terza chiamata, nonchè corretta anche la compensazione nei rapporti tra attore e convenuta, in quanto sussisteva una reciproca soccombenza.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione F.G. sulla base di tre motivi.
La Curatela del fallimento della ***** S.r.l. ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato a quattro motivi non condizionati ed ad un motivo condizionato.
L.G. non ha svolto difese in questa sede.
La ricorrente incidentale ha depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 1472 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
Si lamenta che erroneamente la Corte distrettuale ha confermato la qualificazione giuridica del contratto intervenuto con la società poi fallita in termini di preliminare di compravendita (di cosa futura) anzichè, come sostenuto da parte ricorrente, come vendita di cosa futura, escludendo quindi in maniera altrettanto erronea che l’effetto traslativo della proprietà si fosse verificato al momento della conclusione dei lavori di costruzione dell’immobile.
Nel motivo si denuncia altresì la violazione delle regole di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., assumendosi che la lettera del contratto non lascerebbe residui dubbi in merito alla corretta qualificazione giuridica della vicenda negoziale.
Il motivo è inammissibile.
In primo luogo la censura difetta evidentemente del requisito di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nella parte in cui, pur prospettando una critica alla valutazione ed interpretazione del contratto dell’11 settembre 1981, palesando l’aspirazione ad una soluzione del tutto antitetica a quella fatta propria dai giudici di merito, omette di trascrivere il contenuto del contratto, ovvero delle clausole che a detta di parte ricorrente deporrebbero per la diversa natura giuridica della vicenda, omettendo altresì di specificare quando il documento de quo sia stato introdotto nel giudizio, da quale parte, ed ove lo stesso sia attualmente reperibile tra le produzioni di parte.
Peraltro il motivo risulta inammissibile anche nella parte in cui, apparentemente denunciando una violazione di legge, nella sostanza mira a confutare quello che è un non sindacabile, anche perchè logicamente e congruamente motivato, apprezzamento in fatto del giudice di merito, e precisamente in ordine alla interpretazione del contratto intercorso tra le parti.
In tal senso deve essere ricordato che l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 c.c. e segg., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione). Sicchè, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536). D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178). Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. 7500/2007; 24539/2009).
Nella specie la censura lamenta in maniera del tutto generica la violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, assumendo apoditticamente, e peraltro senza confrontarsi con la adeguata valorizzazione delle espressioni lessicali compiuta dal giudice di appello, che la vicenda de qua andrebbe ricondotta ad un’ipotesi di compravendita di cosa futura, anzichè di contratto preliminare di compravendita, senza che però si palesi l’assoluta impredicabilità della interpretazione alla quale è pervenuta la Corte distrettuale (ed in disparte la conformità al testo negoziale della tesi difensiva di parte ricorrente secondo cui, anche in presenza di una subordinazione dell’effetto traslativo alla successiva stipula di un atto pubblico di compravendita, il contratto oggetto di causa avrebbe natura definitiva), la quale ha valorizzato le espressioni lessicali utilizzate dalle parti ma in chiave sistematica, ponendo a raffronto le varie clausole, e rimarcando come il carattere preliminare della pattuizione trovasse conferma nella combinata lettura delle clausole contrattuali.
2. Il secondo motivo di ricorso denuncia invece la violazione degli artt. 2932,1183 e 2944 c.c., nella parte in cui la sentenza di appello ha ritenuto inutilizzabile ai fini della decisione un documento rappresentato dalla lettera a firma dell’avv. R. Bia ricevuta dalla società ancora in bonis in data 5/2/1999, missiva che per il suo contenuto sarebbe risultata idonea ad interrompere la prescrizione decennale del diritto a richiedere l’esecuzione in forma specifica del preliminare, avuto riguardo al periodo di tempo intercorrente dal compimento del precedente atto interruttivo alla data successiva di notificazione della citazione.
I giudici di merito hanno opinato altresì che non fosse possibile fare applicazione della previsione di cui all’art. 345 c.p.c., che pur ammette in appello nuove prove purchè, nella formulazione della norma applicabile ratione temporis (e quindi anteriormente alle modifiche di cui alla legge n. 134/2012), le prove abbiano il carattere della indispensabilità, ritenendo che la valutazione, anche in ordine alla natura indispensabile della prova, trovasse ostacolo nel fatto che il documento in esame era stato già tardivamente prodotto in primo grado, essendo quindi la parte incorsa nella preclusione di cui all’art. 184 c.p.c., il che escludeva anche che la sua utilizzabilità come prova potesse essere recuperata in sede di gravame per il tramite della previsione di cui all’art. 345 c.p.c..
Il motivo è fondato, avendo i giudici di merito deciso la controversia in maniera difforme da quanto affermato da questa Corte a Sezioni Unite nella recente sentenza n. 10790/2017.
In tale circostanza, e proprio in relazione al medesimo testo dell’art. 345 c.p.c., qui applicabile, questa Corte ha espresso il principio di diritto per il quale “Prova nuova indispensabile di cui al testo dell’art. 345 c.p.c., comma 3, previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito nella L. n. 134 del 2012, è quella di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado”.
E’ quindi evidente che la preclusione nella quale è incorso il ricorrente in primo grado non poteva, diversamente da quanto opinato dal giudice di appello, precludere in ogni caso la valutazione del documento in appello, al fine di verificare se fosse possibile ricondurlo alla nozione di prova indispensabile come sopra caratterizzata.
Il rilievo circa la decadenza nella quale era incorso il F. ha quindi impedito la stessa, e necessaria alla luce dei principi ai quali il Collegio intende assicurare continuità, valutazione di indispensabilità.
Il motivo deve quindi essere accolto con la conseguente cassazione della sentenza impugnata.
3. Il terzo motivo di ricorso denuncia infine la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 72, nonchè degli artt. 2 e 3 Cost., in quanto la sentenza d’appello, nel ritenere fondata l’eccezione di prescrizione ha dichiarato assorbita ogni questione relativa alla domanda di recesso spiegata in via riconvenzionale dalla curatela fallimentare, avvalendosi di una norma di cui si era denunciata l’illegittimità costituzionale nella comparsa conclusionale in primo grado.
Il motivo è inammissibile, in quanto difetta evidentemente, in relazione all’applicazione della L. Fall., art. 72, una soccombenza del ricorrente, occorrendo avere riguardo, come si avrà modo anche di chiarire in occasione della disamina del ricorso incidentale, alla circostanza che la sentenza d’appello, una volta riscontrata la prescrizione del diritto ad agire ex art. 2932 c.c., ha reputato assorbita anche la questione relativa alla possibilità di invocare la facoltà di recesso di cui alla norma in esame, con un’evidente applicazione del principio della ragione più liquida.
4. Con il primo motivo di ricorso incidentale, la curatela denuncia la violazione ed erronea applicazione dell’art. 214 c.p.c., artt. 2719 e 2697 c.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo costituito dal disconoscimento operato dalla curatela della conformità delle copie prodotte dalla controparte agli originali, e quindi della riferibilità di tale documentazione alla società fallita.
Il secondo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione ed erronea applicazione degli artt. 1401,1402,1406,1407,1411,1362,1363,2932 c.c. e art. 112 c.p.c., nonchè l’omesso esame dell’interpretazione della clausola del contratto preliminare di compravendita dell’11 settembre 1981, nella parte in cui si era contestata la legittimazione ad agire del F., sul presupposto che non fosse validamente intervenuta in suo favore, e con l’adesione della società, la cessione del contratto preliminare.
Il quinto motivo di ricorso, espressamente qualificato dalla curatela come condizionato denuncia la violazione ed erronea applicazione della L. Fall., art. 72, nonchè l’omessa disamina del fatto decisivo rappresentato dall’avvenuto esercizio da parte del curatore della facoltà di scioglimento dal contratto preliminare.
I motivi che, atteso l’esito del giudizio di appello che aveva visto la curatela vittoriosa, andrebbero tutti ritenuti come condizionati, a prescindere dalla diversa opzione espressa dalla parte (cfr. Cass. S.U. n. 7381/2013), sono inammissibili.
Occorre rilevare, infatti, che le questioni concernenti l’intervenuto disconoscimento delle fotocopie prodotte dall’attore agli originali, la validità della cessione del contratto preliminare in favore del F. e l’esercizio del diritto di recesso L. Fall., ex art. 72, da parte della curatela, avevano costituito a loro volta oggetto dei primi tre motivi dell’appello incidentale, che la Corte distrettuale, avendo confermato la prescrizione del diritto dell’attore, con il conseguente rigetto della domanda, aveva ritenuto assorbiti unitamente al terzo motivo dell’appello principale.
La giurisprudenza di questa Corte ha reiteratamente affermato che (cfr. Cass. n. 22095/2017) in tema di giudizio di cassazione, è inammissibile per carenza di interesse il ricorso incidentale condizionato allorchè proponga censure che non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito bensì a questioni su cui il giudice di appello non si è pronunciato ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza (conf. ex multis Cass. n. 4130/2014; Cass. n. 4472/2016; Cass. n. 134/2017; Cass. n. 574/2016).
5. Il terzo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione degli artt. 2697,1226,1243 c.c., in relazione al rigetto della domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni avanzata dal curatore in relazione al protratto godimento del bene in assenza di valido titolo giustificativo da parte dell’attore.
Il quarto motivo di ricorso incidentale denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonchè l’omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione alla decisione del giudice di appello di condannare la curatela al rimborso delle spese del grado nei confronti della L. e di compensarle nei rapporti con l’attore.
I due motivi in esame che in ragione dell’effettiva soccombenza della curatela sia in ordine al rigetto della domanda riconvenzionale di risarcimento danni che in ordine alla regolamentazione delle spese del giudizio di appello, non vanno incontro alla declaratoria di inammissibilità che invece ha colpito gli altri motivi, devono però ritenersi assorbiti per effetto dell’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale, che avendo rimesso in discussione l’accoglimento della domanda dell’attore di esecuzione in forma specifica, implica che anche le sorti della domanda risarcitoria e della valutazione complessiva in ordine al riparto delle spese di lite, siano legate all’esito della prima.
6. Al giudice del rinvio, che si designa in una diversa Sezione della Corte d’Appello di Bari, è devoluta anche la liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, dichiara inammissibili gli altri motivi del ricorso principale, dichiara inammissibili il primo, il secondo ed il quinto motivo del ricorso incidentale, ed assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Bari che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018
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