LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26528-2014 proposto da:
M.M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAPRANICA 78, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO MAZZETTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONINO BONGIORNO GALLEGRA;
– ricorrente –
contro
T.L., rappresentata e difesa dall’avvocato DANIELE GRANARA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1152/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 17/09/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/06/2018 dal Consigliere RAFFAELE SABATO.
RILEVATO
che:
1. T.L., qualificandosi erede legittima di T.R., ha convenuto M.M.L. innanzi al tribunale di Chiavari per sentir dichiarare apocrifo il testamento della defunta datato ***** che istituiva erede la convenuta e che l’attrice ha prodotto e dichiarato di non riconoscere nella scrittura; ha chiesto comunque dichiararsi invalido lo stesso per incapacità di intendere e di volere della testatrice. Il tribunale ha rigettato le domande attrici.
2. Con sentenza n. 7475 del 2005 questa corte ha cassato la sentenza della corte d’appello di Genova che aveva respinto l’appello principale di T.R., accogliendo quello incidentale sulle spese. Ha affermato questa corte, a differenza di quanto rilevato dai giudici di merito, gravare sull’erede testamentario, indipendentemente dal fatto che il testamento fosse stato prodotto dall’attrice per sentirne dichiarare l’apocrifia, l’onere di chiederne la verificazione.
3. La corte d’appello di Genova, adita in sede di rinvio, ha quindi dichiarato nullo l’apparente testamento della defunta, della cui scrittura non era stata chiesta verificazione, e ha dichiarato devoluta l’eredità secondo successione legittima. Con la sentenza la corte territoriale ha altresì dichiarato inammissibile nel giudizio di rinvio il tema d’indagine nuovo scaturito dal fatto che M.M.L., dichiarando di aver ricevuto recente notizia dall’avv. Giuseppe Messuti dell’esistenza di altro olografo della defunta da lui ritrovato, lo aveva pubblicato e prodotto nel giudizio di rinvio, con successivo disconoscimento da parte di T.L. e istanza di verificazione – stavolta formulata – di M.M.L..
4. Con sentenza n. 14101 del 2012 questa corte di cassazione, accogliendo ricorso di M.M.L., ha cassato la sentenza predetta, dichiarando che la produzione. del nuovo olografo non valesse a introdurre una nuova domanda e statuendo – diversamente da quanto ritenuto, con errore di diritto, la corte genovese – che nel giudizio di rinvio sono ammesse nuove produzioni di documenti che la parte non avesse potuto produrre per forza maggiore nella precedente fase di merito, forza maggiore la cui sussistenza quindi avrebbe dovuto essere verificata.
5. Riassunta la causa nuovamente in sede di rinvio innanzi alla corte d’appello di Genova in diversa sezione, la corte locale con sentenza depositata il 17.09.2014 – espletata prova per testi e riservata la decisione sul procedimento di verificazione – ha ritenuto non provata la forza maggiore e ha dichiarato M.M.L. decaduta dalla produzione del nuovo documento, ha dichiarato la nullità dell’olografo precedentemente prodotto e ha dichiarato la devoluzione secondo la successione legittima.
6. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.M.L. su sei motivi, cui ha replicato T.L. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO
che:
1. Con un primo motivo di ricorso si lamenta omesso esame circa fatto decisivo, individuato nel “momento in cui la signora M.M.L. è stata informata, ed è venuta a conoscenza, dell’esistenza del secondo testamento prodotto”. Si sostiene che, avendo la sentenza n. 14101 del 2012 di questa corte demandato al giudice del rinvio l’accertamento relativo al se sussistesse forza maggiore, che giustificherebbe la revocazione della sentenza, impeditiva della produzione tempestiva del nuovo olografo, la corte d’appello avrebbe eluso il mandato ricevuto e, invece di accertare quando la signora M. fosse venuta a conoscenza del secondo testamento e quindi se avesse potuto produrlo in giudizio in data antecedente, avrebbe accertato la non credibilità e inverosimiglianza della presunto ritrovamento ad opera dell’avv. Messuti con comunicazione del ritrovamento stesso alla signora M. in epoca successiva all’instaurarsi del giudizio di rinvio. In tal senso la corte d’appello avrebbe omesso l’esame del fatto decisivo costituito dall’epoca della conoscenza della signora M..
2. Con il secondo motivo si deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2. Si sostiene che, pur avendo la signora M. dimostrato l’epoca della sua conoscenza del secondo testamento, con motivazione meramente apparente la corte d’appello avrebbe ritenuto che la stessa non abbia assolto al proprio onere probatorio alla luce dei dubbi formulati dalla corte stessa circa le circostanze del presunto ritrovamento.
3. Con il terzo motivo si deduce errata applicazione dell’art. 246 c.p.c.. La corte d’appello avrebbe rilevato che l’avv. Messuti, sentito come teste, avrebbe dichiarato di essere interessato alla causa in quanto convenuto in giudizio dalla signora T. in una causa di risarcimento dei danni per mancato ritrovamento del testamento, causa non definita. Senonchè l’interesse alla causa ex art. 246 cit., con la conseguente incapacità, sarebbe quello di chi in base a esso è legittimato a partecipare al giudizio, ciò che non si verificherebbe nel caso di specie.
4. Con il quarto motivo si lamenta nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2. Si deduce che, ove con la menzione di un presunto interesse alla causa dell’avv. Messuti la corte d’appello avesse inteso ritenere lo stesso n inattendibile ma non incapace quale teste, la motivazione sarebbe meramente apparente.
5. Con il quinto motivo si censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c.. Si deduce che, essendo stata provata la data alla quale si è verificata la conoscenza da parte della signora M., la corte d’appello avrebbe violato le regole in materia di prudente apprezzamento e di valutazione della prova nella sua completezza nel ritenere non credibili le circostanze del ritrovamento del testamento.
6. Con il sesto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del combinato disposto degli artt. 214 e 216 c.p.c., nonchè dell’art. 2702 c.c.. Nonostante fosse stato portato all’esame della corte d’appello, nel precedente giudizio, il rilievo per cui, non essendo stata proposta istanza di verificazione del precedente testamento, ne rimanesse meramente precluso l’esame da parte del giudice sul piano probatorio, non potendo invece giudice stesso dichiarare la nullità dell’atto, e a fronte della dichiarazione di assorbimento della questione da parte di questa corte con la sentenza n. 14101 del 2012, la corte territoriale quale giudice di rinvio avrebbe reiterato la violazione, dichiarando nullo il primo testamento.
7. I sei motivi – strettamente collegati tra loro sul piano logico vanno trattati congiuntamente e dichiarati infondati nel loro complesso.
7.1. Giova, anzitutto, premettere che con la precedente sentenza n. 14101 del 2012 questa corte ha cassato la precedente sentenza emessa in sede di rinvio, oltre che per un profilo processuale in tema di domanda nuova (“il documento prodotto non mirava a introdurre una domanda nuova, ma a dimostrare la qualità di erede testamentaria della T.”), anche per altro errore di diritto processuale in tema di produzione di documenti nel giudizio di rinvio. Può al riguardo riportarsi il testo della precedente statuizione, nelle parti rilevanti: “la conclusione accolta dalla corte distrettuale (di assoluta preclusione delle produzioni documentali) è viziata da errore di diritto, perchè contrasta con l’ormai consolidato e risalente orientamento della giurisprudenza di questa corte… già con la sentenza delle sezioni unite n. 1104 del 4 maggio 1963 si era stabilito che, in deroga al principio secondo cui nel giudizio di rinvio non è ammessa la produzione di nuovi documenti… la produzione medesima deve ritenersi ammissibile qualora si tratti di documenti decisivi, che la parte non aveva potuto produrre nella precedente fase del giudizio per causa di forza maggiore; la quale sussiste anche quando la parte abbia, senza sua colpa, ignorato l’esistenza o il luogo in cui i documenti si trovavano fino alla data di assegnazione a sentenza della causa definita con la pronuncia successivamente annullata (con rinvio) dalla cassazione…. Questi concetti sorto stati ripresi e ribaditi nella successiva sentenza delle sezioni unite civili n. 3349 del 20 novembre 1971 (pronunciata nella stessa causa), nella quale si è richiamata anche “la regola dell’economia dei giudizi” a sostegno della tesi secondo la quale, ricorrendo “i presupposti dell’art. 395 c.p.c., n. 3”, è possibile “dare ingresso a nuovi documenti”, in sede di rinvio, “invece di far luogo ad un successivo procedimento per revocazione”…. La sentenza impugnata, dunque, non ha fatto corretta applicazione dei detti principi ritenendo l’inammissibilità della prova documentale che la ricorrente,aveva chiesto di acquisire e relativa a documenti che l’istante non avrebbe potuto produrre nelle precedenti fasi di merito in quanto concernente un altro testamento, la cui esistenza sarebbe stata resa nota alla M.. dall’avv.to Giuseppe Messuti in data *****, con lettera con la quale egli comunicava che “nello sfogliare il fascicolo della successione della fu T.R. per l’archiviazione”, rinveniva un secondo testamento olografo, a suo tempo affidatogli dalla testatrice. Per cui trattandosi di documento che non poteva essere esibito nelle pregresse fasi del giudizio, in quanto ritrovato da terzo solo nel 2006, andava accertato se ricorresse l’ipotesi di forza maggiore che ne legittima l’acquisizione anche nel giudizio di rinvio. Il principio di diritto vigente è, dunque, il seguente: “Nel giudizio d’appello riassunto su rinvio dalla Corte di cassazione si possono produrre nuovi documenti che non si siano potuti produrre in precedenza per causa di forza maggiore”.”
7.2. La lettura del testo della precedente sentenza di questa corte rende conto del fatto che nel giudizio di cassazione la sentenza impugnata era stata annullata per il vizio di violazione di legge processuale. A fronte di ciò il giudice del rinvio ha ritenuto non provata la forza maggiore (sulla base di una valutazione probatoria complessa di cui in fra) e ha dichiarato M.M.L. decaduta dalla produzione del nuovo documento. Non è chi non veda che, così operando, il giudice del rinvio non abbia travalicato dall’ambrito segnato dalla sentenza di cassazione, semplicemente enunciativa del principio di diritto per cui nel giudizio di rinvio si possono produrre nuovi documenti che non si siano potuti produrre in precedenza per causa di forza maggiore; e abbia, invece, rettamente dato adempimento al mandato ricevuto, esaminando la produzione documentale ma accertando l’essere indimostrata la forza maggiore, con la conseguente operatività della preclusione; o – il che è lo stesso – non credibile l’allegazione fattuale da cui detta forza maggiore sarebbe scaturita. Diversamente da quanto affermato dalla ricorrente (primo e secondo motivo), il giudice di rinvio non doveva nè poteva restringere l’accertamento del fatto solo alla data in cui – in tesi – la signora M. fosse venuta a conoscenza del testamento, dovendo appunto verificare, nell’ambito delle conclusioni precedentemente assunte dalle parti, il sussistere della forza maggiore, valutando liberamente se la stessa sussistesse, ciò che ben poteva. avvenire come è avvenuto – negando credibilità complessiva allo scenario di tardivo ritrovamento del documento a opera di un terzo che lo avrebbe comunicato alla parte.
7.3. Ciò posto, va poi considerato che – alla p. 7 della sentenza impugnata – la corte d’appello di Genova ha ritenuto che M.M.L. non abbia assolto all’onere, su essa incombente, di dimostrare la forza maggiore impediente la tempestiva produzione del secondo olografo; e ciò a mezzo di una complessa valutazione delle risultante probatorie, per essere complessivamente e sostanzialmente non credibile quanto emerso dalle prove per testi, sia in base a una critica soggettiva in ordine alle qualità dei testi non indipendenti dalle parti (l’avv. Messuti – dichiarato dalla corte, come si approfondirà, “interessato alla causa ex art. 246 c.p.c.” in quanto in lite con la controparte della signora M. – e gli altri due testi in quanto de relato rispetto all’origine delle notizie apprese dalla signora M., uno dei due essendo addirittura il di lei figlio), sia in base a una critica oggettiva delle narrazioni (essendo inverosimile che un documento importante sia stato a lungo abbandonato da. un professionista legale, anche in relazione agri obblighi di cui all’art. 620 c.c. e che l’epoca del rinvenimento coincida con le possibilità temporali aperte dal giudizio di rinvio).
7.4. Rispetto a tali valutazioni – costituenti accertamenti in fatto, non sindacabili in cassazione se non nei limiti dell’omesso esame di fatti storici ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (di cui in appresso) – non sono fondate le doglianze di apparenza della motivazione (secondo, quarto e quinto motivo), essendo essa compiutamente svolta anche quanto all’esercizio del prudente e completo apprezzamento delle risultanze istruttorie; risulta esaminato – seppure in senso non auspicato dalla ricorrente, come sopra esposto – il fatto storico dell’epoca della conoscenza da parte della signora M., fatto comunque irrilevante a fronte della complessiva non credibilità delle circostanze indicate dai testi (primo, secondo, quarto e quinto motivo; in particolare, dunque, non sussistendo l'”omesso esame” denunciato).
7.5. In ordine al terzo (e in parte al quarto) motivo è necessario soggiungere che la menzione, nel testo della sentenza impugnata (p. 7), del fatto che l’avv. Messuti sarebbe “interessato alla causa ex art. 246 c.p.c.”, in quanto in lite con la controparte della signora M., non è censurabile secondo quanto dedotto nei motivi predetti. Invero, va anzitutto rilevato che – diversamente da quanto osservato dalla ricorrente – la posizione dell’avv. Messuti effettivamente ricadeva nello spettro applicativo dell’art. 246 c.p.c., siccome in base a detta norma è incapace a testimoniare non solo il soggetto che potrebbe, o avrebbe potuto, in via d’intervento, essere chiamato quale soggetto passivo della stessa pretesa fatta valere contro il convenuto originario, ma anche il soggetto da cui la parte potrebbe o avrebbe potuto pretendere di essere garantito (e, nel caso di specie, la signora T. avrebbe anche effettivamente agito, seppur in separata sede, per far valere la responsabilità del professionista in sede risarcitoria). Tanto chiarito, l’ambito applicativo dell’art. 246 c.p.c. è in via primaria quello dell’incapacità a testimoniare, estraneo al procedimento in questione, in cui – a prescindere dall’eventuale incapacità – l’avv. Messuti è stato ascoltato comunque come teste, pur avendo dichiarato il suo interesse alla lite al consigliere istruttore. In via secondaria, tuttavia, la giurisprudenza di questa corte (v. ad es. Cass. n. 1022 del 25/01/2012, n. 11377 del 16/05/2006, n. 3956 del 18/03/2003) è ferma nel ritenere che la situazione in cui l’incapacità a testimoniare, prevista dall’art. 246 c.p.c., non venga eccepita o sia stata dedotta tardivamente, se non comporta di per sè l’inattendibilità del testimone, non esonera il giudice dal potere-dovere di esaminarne l’intrinseca credibilità e legittimamente può tener conto dell’interesse del teste all’esito del giudizio. In tale secondo significato, dunque, del quale la parte ricorrente sembra edotta nell’ambito della formulazione del quarto motivo, la corte territoriale ha fatto riferimento all’incapacità del teste, circostanza rispetto alla quale i motivi di ricorso (in particolare, il terzo) non sono pertinenti (e la motivazione offerta a sostegno supera le critiche di cui al quarto motivo).
7.6. Resta da esaminare, stante la parziale autonomia rispetto ai precedenti, un profilo di fondo del sesto motivo, con cui – ricordando che la mancata istanza di verificazione preclude semplicemente l’esame da parte del giudice – si lamenta che il giudice del rinvio non avrebbe potuto dichiarare la nullità dell’atto. Il motivo è infondato. Se è vero, infatti, che di norma la mancata richiesta di verificazione equivale, per presunzione legale, a una dichiarazione di non volersi avvalere della scrittura stessa come mezzo di prova, è anche vero che tale principio opera nel caso ordinario in cui la scrittura o il testamento sia stato prodotto dalla parte diversa da quella che ne opera il disconoscimento. Viceversa, nel caso di specie, come affermato in maniera ormai irrefragabile nel presente giudizio a seguito della precedente sentenza di questa corte, disponente il primo rinvio, n. 7475 del 12/04/2005 (a prescindere, quindi, da successive statuizioni giurisprudenziali), l’azione volta a far valere la falsità testamentaria – che ha a oggetto l’accertamento dell’inesistenza dell’atto e soggiace allo stesso regime probatorio stabilito. nel caso di nullità prevista dall’art. 606 c.c. per la mancanza dei requisiti estrinseci del testamento, avuto riguardo agli interessi dedotti in giudizio dalle parti – tende proprio a far scaturire del mancato assolvimento dell’onere della proposizione dell’istanza di verificazione del documento contestato una declaratoria giudiziale relativa alla mancata dimostrazione, tramite quel documento, della qualità di erede. Discende dunque da quanto innanzi che se, nel caso ordinario, è sufficiente l’accantonamento della scrittura non verificata quale mezzo di prova, senza che sia necessaria alcuna statuizione di inutilizzabilità del documento, in quanto implicita (cfr. Cass. n. 27506 del 20/11/2017), nel caso in cui sussista una domanda di accertamento tendente all’emersione della falsità, il giudice del merito, come operato dalla corte d’appello nella situazione di specie, non poteva non pronunciarsi – in base al venir meno della valenza probatoria dell’olografo, a seguito della mancata verificazione sull’inesistenza o nullità di esso. Il motivo è dunque infondato in quanto contrastante con il sopra enunciato principio di diritto.
3. In definitiva, il ricorso va rigettato stante l’infondatezza di tutti i motivi, con condanna della ricorrente alle spese come in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’ art. 13 cit. coma 1-bis.
P.Q.M.
la corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 5000 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, il 27 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018
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