Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.25707 del 15/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6916-2015 proposto da:

A.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TUSCOLANA 1312, presso lo studio dell’avvocato CATIA TAMAGNINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CINZIA TAMAGNINI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA SAN SATURNINO 5, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA NAPPI, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6212/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/09/2014 r.g.n. 6323/2011.

RILEVATO

Che la corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma che aveva respinto la domanda di A.M.A. diretta a far accertare la illegittimità del termine apposto al contratto stipulato per il periodo ***** con Poste Italiane Spa ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, per l’espletamento di attività di recapito, ritenendo non in contrasto con la normativa Europea la fattispecie, non ricavandosi dalla direttiva l’obbligo della indicazione specifica della causale, come statuito dalle sentenze della CGUE e della Corte Costituzionale, in particolare la sentenza n. 214/2009.

Che la corte distrettuale ha ritenuto rispettata la percentuale del 15% delle assunzioni a termine, come previsto dal citato decreto legislativo e non essendovi stata espressa contestazione da parte del ricorrente dei dati relativi alle assunzioni a termine nell’anno in considerazione e che in particolare al fine della quantificazione del limite massimo delle assunzioni dovessero raffrontarsi comunque dati omogenei, precisando che per determinare il numero dei lavoratori a tempo indeterminato, non può comunque applicarsi il criterio indicato dal D.Lgs. n. 61 del 2000 sul part-time, con riferimento al cd principio del full time equivalent – traendo il relativo dato dal bilancio.

Che secondo la corte la tesi del ricorrente contrasta con la ratio della norma sul contingentamento che è quella di assicurare che le esigenze organizzative vengano soddisfatte prioritariamente con assunzioni a tempo indeterminato e che pertanto i dati a confronto devono essere omogenei.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’ A. affidato a tre motivi. Resiste Poste con contro ricorso.

CONSIDERATO

che i motivi di ricorso hanno riguardato: 1) la violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, come modificato dalla L. n. 247 del 2007, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: avrebbe errato la corte distrettuale nel ritenere esclusiva e non aggiuntiva la disciplina introdotta dal comma 1 bis citato, perchè anche per tale ipotesi di contratto a termine sarebbe necessaria la causale, essendo tale interpretazione l’unica conforme alla normativa Europea della direttiva 1999/70/CE; 2) la violazione degli art. 2, comma 1 bis citato, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte di merito operato un’erronea ricostruzione dei fatti di causa al fine dell’accertamento dei requisiti di legittimità per il ricorso al contratto a termine cd ” acausale”, in particolare con riferimento alla rilevanza della mansione svolta per individuare l’organico aziendale, ai fini della determinazione della percentuale di contingentamento del 15%, che deve essere individuato esclusivamente nelle attività di servizio postale inteso come “servizio universale”, diverso dai servizi propri di altre imprese, quali quelle creditizie; 3) la violazione dell’art. 2697 c.c. con riferimento all’onere di prova e dell’art. 2, comma 1 bis con riferimento al suo ambito di operatività ed alla clausola di contingentamento ed alla relativa definizione di “organico aziendale”. Poste spa non avrebbe fornito prova alcuna idonea a dimostrare il mancato superamento del limite percentuale di contratti a termine, essendo del tutto inidonei i prospetti prodotti e del tutto errata la base di calcolo della percentuale che andava effettuata, secondo la ricorrente, con il metodo del c.d. “full time equivalent”, previsto dal D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 6.

Che i motivi non meritano accoglimento perchè infondati.

Che il primo motivo ripropone la tematica della compatibilità della fattispecie di cui alla L. n. 266 del 2005, art. 2, comma 1 bis introdotta con la normativa Europea, in particolare agli artt. 4 e 8 direttiva 1999/70/CE. Sul punto questa corte ha oramai espresso un orientamento consolidato – formatosi dopo la proposizione del presente ricorso ed a cui si ritiene di dare continuità – in particolare con la decisione a SU n. 31/05/2016 n. 11374, nella quale si è affermato il seguente principio di diritto: “Le assunzioni a tempo determinato effettuate da imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentino i requisiti specificati dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, non necessitano anche dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ai sensi dell’art. 1, comma 1, medesimo D.Lgs.”.

Che la questione di compatibilità della normativa nazionale con la clausola di non regresso di cui all’art. 8 direttiva 1999/70 è stata dichiarata infondata dalla stessa Corte di Giustizia (ordinanza sez. 6^, 11/11/2010, n. 20, Vino c/o Poste), la quale ha valorizzato l’assunto secondo cui l’adozione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis perseguiva uno scopo distinto da quello dell’attuazione, nell’ordinamento nazionale, dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 1999/70/CEdel Consiglio, essendo finalizzata, piuttosto, a consentire alle imprese operanti nel settore postale un certo grado di flessibilità allo scopo di garantire l’attuazione della direttiva 1997/67/CE in tema di sviluppo del mercato interno dei servizi postali, con particolare riferimento al miglioramento della qualità del servizio.

Che gli altri due motivi possono esaminarsi congiuntamente essendo connessi se non sovrapponibili, atteso che censurano entrambi la decisione della corte romana per avere sostanzialmente errato nell’interpretare la norma di cui all’art. 2, comma 1 bis cit., ai fini della determinazione della base di computo per il calcolo della percentuale del 15% e quindi del limite numerico annuale per la stipulazione dei contratti cd “acausali”.

Che in particolare deve essere esclusa la violazione dell’art. 2697 c.c., atteso che nel caso in esame la corte territoriale non ha affermato che l’onere di prova relativo alla cd “clausola di contingentamento” non fosse a carico della società, ma ha ritenuto che la società avesse fornito prova adeguata dell’avvenuto rispetto del limite percentuale, mediante la produzione di prospetti riepilogativi che non erano stati oggetto di contestazione alla prima udienza in primo grado da parte dei ricorrenti. Conseguentemente la doglianza così come formulata è anche inammissibile perchè non di violazione di legge si tratta, ma semmai di un lamentato erroneo apprezzamento della prova, vizio motivazionale una volta ricadente nell’ambito dell’art. 360 c.p.c., n. 5, norma tuttavia neanche più applicabile ratione temporis al caso in esame.

Che quanto alle ulteriori doglianze, in tema di individuazione della tipologia di lavoratori da considerare nell’organico aziendale l’orientamento espresso da questa Corte (cfr. da ultimo Cass. 2.7.2015 n. 13609, come anche Cass. n. 4637/2018) è nel senso che “.. il D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 2, comma 1 bis, fa riferimento esclusivamente alla tipologia di imprese presso cui avviene l’assunzione – quelle concessionarie di servizi e settori delle poste – e non anche alle mansioni del lavoratore assunto, in coerenza con la “ratio” della disposizione, ritenuta legittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 214 del 2009, individuata nella possibilità di assicurare al meglio lo svolgimento del cd. “servizio universale” postale, ai sensi del D.Lgs. 22 luglio 1999, n. 261, art. 1, comma 1, di attuazione della direttiva 1997/67/CE, mediante il riconoscimento di una certa flessibilità nel ricorso allo strumento del contratto a tempo determinato, pur sempre nel rispetto delle condizioni inderogabilmente fissate dal legislatore. Ne consegue che al fine di valutare la legittimità del termine apposto alla prestazione di lavoro, si deve tenere conto unicamente dei profili temporali percentuali (sull’organico aziendale) previsti dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis”.

Che infine quanto al computo dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato su cui determinare la percentuale di contingentamento annuale recentemente questa corte, confermando un orientamento già espresso in tema di clausola di contingentamento con percentuale stabilita in sede di CCNL (Cass. n. 3031/2014), ha ritenuto con indirizzo al quale questo collegio ritiene di dare continuità ((cfr. Cass. n. 753/2018) che il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis nel prevedere che il numero dei lavoratori a termine non può superare il limite percentuale del 15% dell’organico aziendale, si riferisce al numero complessivo dei lavoratori assunti, in base ad un criterio quantitativo “per teste”, dovendosi escludere il computo dei contratti a tempo determinato “part – time” fino alla concorrenza dell’orario pieno, ossia secondo il criterio cd. “full time equivalent”, previsto dal D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 6, comma 1, che ha la diversa finalità di facilitare il calcolo dell’organico in sede di recepimento della direttiva 1997/81/CE e in vista della prevedibile estensione del lavoro a tempo parziale; finalità estranea alla disciplina dei limiti di utilizzo del contratto a tempo determinato, che ha una specifica “ratio”, riconducibile in particolare alla finalità antiabusiva della direttiva 1999/70/CE.

Che il ricorso deve quindi essere respinto con condanna della ricorrente, soccombente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, mentre va escluso l’obbligo al pagamento del contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, essendo stata l’ A. ammessa al gratuito patrocinio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 22 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018

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