LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. PERINU Renato – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3284-2013 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. *****, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati EMANUELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI, MAURO RICCI, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
B.P., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCELLO DE VIVO, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3679/2012 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 14/06/2012 R.G.N. 8053/2010;
il P.M. ha depositato conclusioni scritte.
RILEVATO
che:
l’INPS propone ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 3679, depositata in data 12/6/2012, emessa dalla Corte d’appello di Bari, con la quale veniva riformata la pronuncia del giudice di prime cure, avente ad oggetto una prestazione assistenziale (assegno di invalidità civile), limitatamente alla liquidazione delle spese del giudizio;
in particolare, per quanto qui rileva, la Corte di secondo grado accoglieva il gravame interposto dall’assistito ( B.P.), in relazione alla lamentata violazione della disciplina concernente l’applicazione dei minimi tariffari;
avverso tale pronuncia ricorre l’INPS affidandosi ad un unico motivo;
resiste con controricorso B.P..
CONSIDERATO
che:
1. con l’unico motivo di ricorso l’Istituto previdenziale denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 13 c.p.c., comma 2, della L. n. 36 del 1934, artt. 64 e 60, nonchè dell’art. 6, comma 1, delle tariffe forensi approvate con D.M. n. 127 del 2004;
2. nello specifico parte ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale, ai fini dell’individuazione dello scaglione degli onorari e dei diritti di procuratore spettanti al difensore dell’assicurato, abbia ritenuto che il valore mensile dell’assegno ordinario di invalidità dovesse essere moltiplicato per 13 mensilità e, quindi, per 10 annualità;
3. l’INPS, a sostegno delle doglianze rivolte nei confronti della pronuncia emessa dalla Corte territoriale, evidenzia che per le cause relative a prestazioni alimentari e a rendite, l’art. 13 c.p.c., comma 2, seconda parte, prevede che:”il valore si determina cumulando venti annualità; nelle cause relative a rendite temporanee o vitalizie (1872 c.c.), cumulando le annualità domandate fino a un massimo di dieci”, con la conseguenza, nel caso che occupa, di dover individuare il valore della causa al fine della determinazione tti degli onorari e dei diritti, tenendo conto delle annualità di prestazione domandate fino ad un massimo di dieci;
4. le censure prospettate dall’Istituto colgono nel segno per le considerazioni che seguono;
5. il quesito sul quale deve pronunciarsi il Collegio, consiste, quindi, nello stabilire se, una volta riconosciuto il diritto alle somme a titolo di assegno di invalidità, il valore della causa debba essere riferito esclusivamente alla somma attribuita dal giudice alla parte o nel massimo consentito dal citato art. 13;
6. Sul punto, con orientamento consolidato (“ex plurimis” Cass. 24319/16), questa Corte ha affermato che: a) ai sensi del combinato disposto dell’art. 13 c.p.c. e dell’art. 152 disp. att. c.p.c., per la determinazione del valore della causa per la liquidazione delle spese di giudizio, nelle controversie relative a prestazioni assistenziali va applicato il criterio previsto dall’art. 13 c.p.c., comma 1, per cui se il titolo è controverso, il valore si determina in base all’ammontare delle somme dovute per due anni; b) alla luce di quanto prevede l’art. 152 disp. att. c.p.c., nella formulazione aggiornata dalla L. n. 69 del 2009, le spese nella materia in questione non possono superare il valore della prestazione dedotta in giudizio; c) la dichiarazione di valore della prestazione non può che costituire il limite massimo cui raccordare la liquidazione delle spese che deve pur sempre tener conto della durata della prestazione, come riconosciuta; d) il criterio del “disputatum”, ossia di quanto richiesto nell’atto introduttivo del giudizio ovvero nell’atto di impugnazione della sentenza, deve essere contemperato dal criterio del “decisum”;
7. in ragione dei principi sopra richiamati, va rilevato come nel caso che occupa la Corte territoriale non abbia applicato correttamente l’art. 13 c.p.c., atteso che ha parametrato il valore della causa senza tener conto del “decisum” che aveva riconosciuto il diritto alla prestazione per la durata di anni quattro e mesi sei;
8. per quanto precede il ricorso va accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d’appello di Bari che, in diversa composizione, dovrà pronunciarsi nel merito, tenendo conto dei principi di diritto sopra enunciati, e provvedendo anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 28 marzo 2018.
Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018