Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.25709 del 15/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3314/2013 proposto da:

D.M.F., C.F. *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LORENZO VALLA 18, presso lo studio dell’avvocato LUCA MARAGLINO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI GAETANO PONZONE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. *****, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati EMANUELA CAPANNOLO, MAURO RICCI, CLEMENTINA PULLI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE, C.F. *****, COMUNE DI CEGLIE MESSAPICA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2618/2012 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 30/07/2012 R.G.N. 1668/2010;

il P.M., ha depositato conclusioni scritte.

RILEVATO

che:

D.M.F. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 2618, depositata in data 30/7/2012, emessa dalla Corte d’appello di Lecce, con la quale veniva riformata in parte la pronuncia del giudice di prime cure, avente ad oggetto una prestazione assistenziale (indennità di accompagnamento);

in particolare, per quanto qui rileva, la Corte di secondo grado, a fronte di un gravame che lamentava l’illegittimità della sentenza di prime cure, nella parte in cui la stessa, aveva individuato il momento temporale in cui la prestazione assistenziale doveva esaurirsi e cessare (31/12/2004), stabiliva un diverso termine di decorrenza del diritto alla prestazione;

avverso tale pronuncia ricorre D.M.F. affidandosi a due motivi;

resiste con controricorso l’INPS.

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso viene denunciata in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 112,324,325,326,342,343,346,434 e 437 c.p.c., nonchè, in relazione all’art. 360, n. 5, l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, per avere la Corte territoriale pronunciato su questioni e aspetti che, non erano stati oggetto di appello, e sulle quali, inoltre, per effetto della mancata impugnazione ed in assenza di appello incidentale della parte appellata, si era formato il giudicato interno;

2. con il secondo motivo la ricorrente lamenta in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per essersi pronunciata la Corte di secondo grado su una domanda non proposta dall’appellante, in violazione del giudicato interno formatosi sul termine di decorrenza annuale della prestazione;

3. i motivi dedotti dalla ricorrente appaiono strettamente connessi, in quanto entrambi discendono e trovano riscontro nel fondamentale principio del “tantum devolutum quantum appellatum” operante nel giudizio d’appello;

4. le censure prospettate da parte ricorrente s’appalesano fondate per le considerazioni che di seguito si espongono;

5. invero, anche nel rito del lavoro, il giudizio d’appello, in relazione al principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (imposto dall’art. 112 c.p.c.), cui fa riscontro il principio del “tantum devolutum quantum appellatum” (artt. 434 e 437 c.p.c.), ha per oggetto la medesima controversia, decisa dalla sentenza di primo grado, entro i limiti, tuttavia, della devoluzione, quali risultano fissati dai motivi specifici che l’appellante ha l’onere di proporre con l’atto d’appello (ai sensi dell’art. 434 c.p.c.), senza possibilità di integrazione nel successivo corso dello stesso giudizio di gravame (ai sensi dell’art. 437 c.p.c.); con la conseguenza che, secondo un consolidato orientamento di questa Corte (ex plurimis Cass. n. 9167/2003, Cass. n. 191/2002), la sentenza di secondo grado non può trattare e decidere una questione, già decisa in primo grado, se la stessa non sia stata oggetto di specifico motivo d’appello o di appello incidentale da parte dell’appellato, in quanto così facendo incorrerebbe nella violazione dell’art. 112 c.p.c., ed inoltre nella violazione del giudicato interno formatosi in assenza di gravame, vizio quest’ultimo rilevabile d’ufficio anche nel giudizio di legittimità;

6. ciò posto, alla luce dei principi di diritto dianzi enunciati, la sentenza impugnata merita le censure che le vengono mosse per avere in difetto di specifico motivo di appello sul termine di decorrenza iniziale della prestazione, o di appello incidentale sul punto da parte dell’Istituto previdenziale, disposto un diverso termine di decorrenza rispetto a quello stabilito dal giudice di primo grado;

7. per quanto precede il ricorso va, pertanto, accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d’appello di Lecce, che, in diversa composizione, dovrà pronunciarsi nel merito, tenendo conto dei principi di diritto sopra enunciati, e provvedendo anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio;

8. non sussistono, infatti, i presupposti per una pronuncia ex art. 384 c.p.c., da parte del Collegio, atteso che parte ricorrente richiede il riconoscimento del diritto alla prestazione, anche, per il periodo di decorrenza fissato dalla Corte d’appello (1/7/2011), ma per tale periodo non vi sono elementi utili, agli atti, che consentano una pronuncia nel merito.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018

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