Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.25720 del 15/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16262-2013 proposto da:

PICENA S.R.L. IN LIQUIDAZIONE C.F. ***** (già Diana ‘92 s.r.l.), in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GORIZIA 14, (STUDIO LEGALE SINAGRA SABATINI), rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCO SABATINI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso la sede legale dell’Istituto, rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELA FABBI, unitamente all’avvocato LORELLA FRASCONA’, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 95/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 20/03/2013, R.G.N. 299/2011.

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza in data 20 marzo 2013, la Corte d’appello di L’Aquila ha riformato la decisione resa dal giudice di primo grado e, per l’effetto, ha rigettato l’opposizione proposta da La Picena s.r.l. in liquidazione (già Diana 92 s.r.l.) avverso le due cartelle esattoriali, notificate per conto dell’INAIL, e concernenti oneri previdenziali e premi assicurativi per omessa ricomprensione, nel rapporto assicurativo, dei soci-lavoratori della cooperativa Focoop, che avevano espletato attività di lavoro in esecuzione dell’appalto formalmente assunto dalla predetta cooperativa, con conseguente determinazione di un premio inferiore al dovuto nel periodo 1 agosto 1997-31 maggio 2001;

2. la Corte di merito, dal compendio probatorio acquisito in giudizio, in sede ispettiva e testimoniale, riteneva accertata la natura fittizia dell’appalto intercorso tra la società e la cooperativa, in base, in particolare, alla commistione di dirigenti e personale tra la società, all’epoca Diana 92, e la cooperativa; all’impiego dei soci della cooperativa, presso il centro di distribuzione di *****, esclusivamente per la Diana, non tanto per operazioni di facchinaggio quanto per le medesime mansioni svolte dai dipendenti, con direttive impartite o dai responsabili dei punti vendita o dai presidenti della cooperativa; all’uso di attrezzature rivenute sul posto e appartenenti alla committente; all’essere, i predetti soci lavoratori, associati o dimessi dalla cooperativa in base alle specifiche esigenze della società; alla circostanza che quasi tutti i soci della cooperativa erano stati assunti dalla Diana, che aveva goduto di benefici contributivi per sgravi triennali, con contratti di formazione e lavoro o di apprendistato; all’assenza di specifiche competenze, da parte dei soci della cooperativa, nell’attività di facchinaggio, benchè la cooperativa fosse stata costituita per tale attività e allo svolgimento di attività di meri addetti alle vendite, a nulla rilevando che la cooperativa fosse stata costituita in epoca antecedente alla stipula del contratto di appalto con la società;

3. contro la sentenza, la Picena s.r.l. in liquidazione propone ricorso per cassazione fondato su tre articolati motivi, ulteriormente illustrati da memoria, cui resiste, con controricorso l’INAIL.

CONSIDERATO

CHE:

4. con i motivi di ricorso la parte ricorrente deduce violazione dell’art. 324 cod. proc. civ. e art. 2909 cod. civ. della L. n. 1369 del 1960, art. 1 e omesso esame di più fatti controversi e decisivi, per non avere la Corte di merito tenuto conto del giudicato interno formatosi sull’aleatorietà del guadagno, sulla sottoposizione dei soci al potere direttivo della cooperativa e sull’assunzione del rischio da parte dell’interposta, in difetto di gravame dell’INAIL sulle predette circostanze; violazione della L. n. 1369 cit., art. 1 e omesso esame di più fatti controversi e decisivi, per non avere la Corte di merito reputato decisivi documenti contrattuali trascritti ed estratti dal registro dei beni ammortizzabili, dimostrativi della disponibilità, da parte della cooperativa, di mezzi e attrezzature per dare esecuzione all’appalto con mezzi propri e della consulenza tecnica di parte recante l’analisi occupazionale della forza lavoro presso la Diana 92 dimostrativo dell’erroneo assunto, nella sentenza impugnata, in ordine allo svolgimento, da parte dei soci della cooperativa, delle stesse mansioni dei dipendenti della società; violazione degli artt. 112 e 346 cod. proc. civ. e art. 1180 cod. civ., per avere la Corte del gravame omesso qualsivoglia decisione sull’eccezione di prescrizione e sull’erronea quantificazione della pretesa svolta con l’opposizione;

5. ritiene il Collegio si debba rigettare il ricorso;

6. diversamente da quanto assume la parte ricorrente, non risulta formato il giudicato interno, per essere stata devoluta alla Corte del gravame l’erroneità della sentenza impugnata in ordine all’accertamento dell’interposizione vietata di manodopera e, dunque, degli elementi caratterizzanti il rapporto instaurato tra le parti nel quale, il primo giudice, aveva ravvisato un valido contratto di appalto avente ad oggetto determinati servizi funzionali al raggiungimento di un autonomo risultato produttivo;

7. i motivi, connessi dall’unica questione della corretta individuazione della fattispecie normativa dell’interposizione illecita e dai presupposti dalla stessa richiesti per la sussunzione dello schema organizzativo concretamente accertato al suo interno, trattati congiuntamente, sono infondati;

8. la sentenza impugnata nell’interpretare la L. n. 1369 del 1960, art.1 ha ritenuto sufficientemente provato il carattere illecito dell’appalto in ragione dei numerosi elementi emersi nel corso dell’attività ispettiva e dell’istruttoria testimoniale e, in particolare, della commistione indiscriminata tra dirigenti e dipendenti della società Diana 92 e della cooperativa e delle relative mansioni svolte, sicchè i centocinquantacinque soci della cooperativa lavoravano solo per la Diana e svolgevano non tanto operazioni di facchinaggio quanto le medesime mansioni svolte dai dipendenti, ricevendo direttive o dai responsabili dei punti vendita o dai presidenti della cooperativa in carica; dall’uso, da parte dei soci lavoratori, di attrezzature rivenute sul posto e appartenenti alla committente; dall’associazione dei soci o dimissione degli stessi dalla cooperativa, secondo specifiche esigenze della società; dall’essere risultati molti dei soci della cooperativa, in breve arco di tempo, assunti in precedenza dalla King 85, affiliata alla Diana 92, o dalle Diana 92, prima di essere assunti dalla cooperativa ovvero essere stati in seguito assunti dalla Diana 92, che aveva goduto, per i soci della cooperativa assunti, di benefici contributivi per sgravi triennali, contratti di formazione e lavoro, contratti di apprendistato; dall’assenza di specifiche competenze, nei soci della cooperativa, nell’attività di facchinaggio, benchè la cooperativa fosse stata costituita appositamente per tale attività per la quale godeva di particolari agevolazioni contributive; dallo svolgimento, da parte dei soci della cooperativa, delle mansioni tipiche dei dipendenti della committente, come addetti alle vendite, a nulla rilevando che la cooperativa fosse stata costituita in epoca antecedente alla stipula del contratto di appalto con la società, giacchè pur nei vari passaggi, in breve tempo, alle dipendenze della società committente e della cooperativa, i lavoratori continuavano a svolgere sempre le medesime mansioni, acquisendo solo attraverso la busta paga e la provenienza del relativo prospetto, la consapevolezza di svolgerle alle dipendenze della società cooperativa o della società committente;

9. nell’operazione di sussunzione della fattispecie concreta nell’ambito normativo individuato da questa Corte di legittimità la Corte di merito, con approfondita indagine, ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui in tema di interposizione nelle prestazioni di lavoro non è sufficiente, ai fini della configurabilità di un appalto fraudolento, la circostanza che il personale dell’appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell’appaltatore, occorrendo verificare se le disposizioni impartite siano riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro, in quante inerenti a concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, oppure al solo risultato di tali prestazioni, il quale può formare oggetto di un genuino contratto di appalto (cfr. da ultimo, Cass. 12 aprile 2018, n. 9139 e la giurisprudenza ivi richiamata);

10. pur a fronte delle censure di error in procedendo e in iudicando, in realtà la parte ricorrente lamenta essenzialmente una erronea valutazione delle circostanze fattuali che, se rettamente apprezzate, avrebbero dovuto condurre ad un diverso esito e sotto tale profilo i motivi sono inammissibile giacchè mirano ad eludere i limiti entro i quali opera il sindacato sulla motivazione della sentenza di merito da parte di questa Corte, tentando di far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito all’opinione che di essi abbia la parte ed, in particolare, il prospettare un soggettivo preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento;

11. peraltro, quanto alla denuncia di omesso esame d’un fatto decisivo per il giudice che è stato oggetto di discussione tra le parti, alla stregua dell’art. 360 cod. proc. civ., novellato n. 5 come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, le Sezioni unite della Cort., con sentenza 7 aprile 2014, n. 8053, hanno, fra l’altro, precisato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie con la conseguenza che in sede di legittimità non è data ora (come del resto non era altrimenti data allora, vigente il testo precedente dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5) la possibilità di censurare che la prova di un dato fatto sia stata tratta o negata dall’apprezzamento o dalla obliterazione di un determinato elemento istruttorio, atteso che una tale critica ha ad oggetto non già un fatto storico, ma la stessa attività di valutazione del corredo probatorio, che solo al giudice di merito compete;

12. non sussiste, inoltre, la dedotta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che si configura solo qualora manchi completamente il provvedimento del Giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, non già pur in assenza di una specifica argomentazione, la deve ritenersi implicitamente superata o assorbita da altre statuizioni della pronuncia, come si è verificato nel caso di specie perchè la Corte territoriale, nel rigettare l’opposizione, ha evidentemente rigettato l’eccezione di prescrizione;

13. quanto, infine, alla pretesa efficacia satisfattiva del pagamento dell’interposto, è assorbente la delibazione di inammissibilità della censura per non avere la parte ricorrente dimostrato, in ottemperanza al principio di autosufficienza, di aver già posto, nelle fasi di merito, la questione dell’avvenuto versamento dei contributi previdenziali che presenta, pertanto, profili di novità in questa sede di legittimità;

14. le spese si liquidano come in dispositivo;

15. la circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1,comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass. sez. U., 17 ottobre 2014, n. 22035 e alle numerose successive conformi).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 6 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018

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