Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.25722 del 15/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2729/2015 proposto da:

D.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBALONGA 7, presso lo studio dell’avvocato CLEMENTINO PALMIERO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI DE NOTARIIS, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.N.A.S. S.P.A. – AZIENDA NAZIONALE AUTONOMA DELLE STRADE C.F.

*****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO SAMENGO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 180/2014 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 16/01/2015 R.G.N. 295/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/06/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELLA MARCHESE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CORASANITI Giuseppe, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato ALFREDO SAMENGO.

FATTI DI CAUSA

1. D.F., premesso di avere stipulato con Anas S.p.A. (di seguito, per brevità, Anas) plurimi contratto a tempo determinato ed in particolare il contratto dal 10.11.2008 al 9.3.2009, per due volte prorogato, e che la seconda proroga era stata disposta in violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, adiva il giudice del lavoro chiedendo l’accertamento della sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e la condanna della società convenuta alla riassunzione in servizio ed al risarcimento del danno.

2. Il giudice di primo grado, con sentenza del 12.11.2011, respingeva la domanda sul presupposto dell’intervenuta risoluzione del rapporto per mutuo consenso.

3. La Corte di appello di Campobasso, con sentenza nr. 180 del 2014, rigettava l’appello del lavoratore e richiamando, quanto alla questione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso, per relationem, la motivazione del giudice di primo grado, valorizzava, in particolare, la condotta sistematica del lavoratore di svolgimento di altre prestazioni lavorative, per conto di diversi datori di lavoro, nell’arco temporale di instaurazione dei rapporti a termine con l’Anas e, comunque, prima e dopo il contratto stipulato il 10.11.2008, in relazione al quale la domanda originaria era stata, in corso di giudizio, limitata; a tale riguardo, la Corte di merito osservava che, benchè la rioccupazione negli intervalli di tempo rispondesse ad esigenze di necessario sostentamento, cionondimeno la stessa andava valutata unitamente alla condotta inerte del lavoratore “non esiste(ndo) argomento alcuno dotato di (sia pure solo) apparente logicità che po(tesse) giustificare un’inerzia durata anni nella rivendicazione della stabilità del rapporto di lavoro”.

In ogni caso, in merito alla doppia proroga, il giudice di appello osservava che la seconda proroga, intervenuta in epoca e per cause relativa al sisma del 6 aprile 2009, era consentita alla luce della normativa emergenziale adottata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri in attuazione del potere di ordinanza riservato al Governo dalla L. n. 225 del 1992, art. 5; il combinato disposto dell’art. 14 ord. nr. 3755 – che autorizzava la società Anas ad avvalersi delle deroghe previste dall’art. 3 dell’ordinanza Protezione civile nr. 3753 del 5.4.2009 – e dell’art. 3 cit. – il quale elencava, tra le norme di legge derogabili se indispensabili a fronteggiare le conseguenze del sisma, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 – induceva a ritenere legittima la deroga a quest’ultima disposizione in ragione del fatto che l’Anas, anche dopo la privatizzazione, aveva conservato natura pubblicistica.

4. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso D.F., sulla base di quattro motivi; la parte intimata ha depositato controricorso.

5. Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è dedotto vizio di motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

2. Con il secondo motivo è dedotta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione di norme e principi di diritto (violazione della L. n. 368 del 2001, art. 4, violazione del principio della domanda; violazione dell’onere della prova) nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – nullità della sentenza per i medesimi fatti siccome fondati, per relationem, mediante semplice rinvio alla motivazione del giudice di primo grado senza aver esaminato e pronunciato sugli specifici motivi di appello.

3. Si censura la decisione della Corte di appello per aver valutato fatti estranei alla causa petendi; in particolare, secondo la parte ricorrente, la Corte di merito avrebbe considerato il contegno del lavoratore in relazione a fatti anteriori e posteriori alla “quinta assunzione” (recte contratto a termine dal 10.11.2008 al 9.3.2009) e, quindi, estranei alla domanda; in ogni caso, la sentenza non avrebbe considerato la lettera raccomandata del 5.8.2010, la convocazione presso la commissione di conciliazione per il tentativo di bonario componimento della vertenza ed il fatto che i periodi di assunzione presso altro datore di lavoro, dopo la scadenza della seconda proroga, intervenivano all’esito dell’impugnazione delle assunzioni a termine; in ogni caso, non poteva attribuirsi alcun significato alla ricerca di una nuova occupazione, come pure all’accettazione del trattamento di fine rapporto così come alla semplice inerzia.

4. La Corte giudica che i due motivi, esaminati congiuntamente in quanto investono entrambi l’accertamento sulla risoluzione del contratto tra le parti ai sensi dell’art. 1372 c.c., non possono trovare accoglimento.

4.1. In linea generale, deve osservarsi che in tema di contratti a tempo determinato, l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito, censurabile in sede di legittimità nei ristretti limiti in cui lo è ogni vicenda storica antecedente al contenzioso giudiziale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, tempo per tempo vigente; ciò vuol dire, nel vigore del novellato art. 360 c.p.c., n. 5, solo in termini di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, come rigorosamente interpretato da Cass., sez. un., nn. 8053 e 8054 del 2014.

4.2. Ed è il caso di osservare che i motivi di ricorso non indicano il “fatto storico”, non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (Cass. nr. 8053 cit.); dovendosi, peraltro, senz’altro escludere la “decisività” in una pluralità di fatti denunciati come omessi, nessuno dei quali ex se risolutivo, nel senso dell’idoneità a determinare il segno della decisione (Cass. nr. 21439 del 2015).

4.3.Tanto premesso, con specifico riferimento che qui occupa (id est risoluzione per mutuo consenso in relazione ai contratti a tempo determinato), viene in rilievo l’arresto delle sezioni unite rappresentato dalla sentenza nr. 21691 del 27 ottobre 2016 (punti 55, 56, 57, 58) che ha avallato l’orientamento giurisprudenziale in base al quale la durata rilevante del comportamento omissivo del lavoratore nell’impugnare la clausola che fissa il termine può considerarsi “indicativa della volontà di estinguere il rapporto di lavoro tra le parti” ove “concorra con altri elementi convergenti” e statuito, come già detto, che “il relativo giudizio attiene al merito della controversia”.

4.4. Nel caso sottoposto all’attenzione del Collegio, come risulta dallo storico della lite, il giudice del fatto ha correttamente applicato la regola di diritto indicata da questa Corte, considerando la durata rilevante del comportamento omissivo del lavoratore nell’impugnare la clausola del contratto, in uno ad altri elementi prospettati in causa (in particolare la condotta sistematica del lavoratore di svolgimento di altre prestazioni lavorative, per conto di diversi datori di lavoro, nell’arco temporale di instaurazione dei rapporti a termine con l’Anas), ed è pervenuto alla conclusione, congruamente motivata, della sussistenza di una comune volontà di porre fine al rapporto di lavoro.

4.5. A tale proposito, deve osservarsi che il rinvio alla motivazione resa dal giudice di primo grado è filtrato da un’autonoma valutazione critica dei contenuti mutuati tale da rendere il fondamento giustificativo della decisione chiaro, univoco ed esaustivo (Cass., sez. un. nr. 14814 del 2008 e nr. 642 del 2015), sicchè la sentenza si sottrae anche al denunciato error in procedendo.

4.6. Nè è configurabile il denunciato vizio di “ultra” o “extra” petizione; una questione di violazione dell’art. 112 c.p.c., può porsi se il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, attribuendo cioè un bene non richiesto o diverso da quello domandato mentre, nella fattispecie, la statuizione è stata resa sulla base di fatti (accadimenti storici) ritualmente dedotti in causa.

4.7. Neppure, infine, si rinvengono, nella decisione impugnata, affermazioni in contrasto con il principio secondo cui grava sul datore di lavoro, che eccepisce la risoluzione per mutuo consenso, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (Cass. 28.1.2014 nr. 1780; Cass. 11.3.2011 nr. 5887; Cass. 1.2.2010 nr. 2279; Cass. 2.12.2002 nr. 17070), avendo la Corte di appello definito la controversia, nel merito, con accertamento di fatti sintomatici della comune volontà di porre fine al rapporto e non in applicazione della regola di giudizio basata sull’onere della prova.

5. Con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e falsa applicazione di legge (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36; L. n. 225 del 1992, art. 5, comma 1; OPCM n. 3755 del 2009, art. 14).

6. Con il quarto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – – è dedotta violazione dell’art. 13 del CCNL 2002 – 2005 e dell’art. 2697 c.c..

7. La sentenza è censurata in relazione alla affermata legittimità della seconda proroga (terzo motivo); si assume, inoltre, il mancato rispetto della percentuale massima di assunzioni a tempo determinato (quarto motivo).

8. Il terzo motivo è inammissibile, per difetto di interesse, fondandosi la sentenza su una doppia ratio decidendi:

1. risoluzione per mutuo consenso;

2. legittimità della seconda proroga.

8.1. Ove la sentenza impugnata sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse (id est la definitività di una di esse, come nella specie, per non essere più in discussione la volontà risolutiva del rapporto) rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre che, in nessun caso, potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (ex plurimis: Cass. nr. 3386 del 2011; Cass. nr. 24540 del 2009; Cass. nr. 389 del 2007; Cass. nr. 20118 del 2006).

9. Il quarto motivo è assorbito dalle considerazioni espresse in relazione ai motivi già scrutinati; in ogni caso, la questione del superamento della clausola di contingentamento non risulta affrontata nella sentenza impugnata ed il ricorrente non ha neppure allegato di avere riproposto la questione nella memoria di costituzione nel giudizio di appello, come era suo onere ex art. 346 c.p.c..

10. Complessivamente il ricorso va, dunque, respinto.

11. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

12. L’ammissione del ricorrente al gratuito patrocinio determina l’insussistenza allo stato dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 1 quater, art. 13,inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (Cass. nr. 7368 del 2017; Cass. nr. 18523 del 2014).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza allo stato dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018

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