LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28093-2015 proposto da:
B.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 114, presso lo studio dell’avvocato LUIGI PARENTI, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
AZIENDA OSPEDALIERA SAN CAMILLO FORLANINI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE GIANICOLENSE 87, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO GAMBARDELLA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati EGIDIO MAMMONE, GIUSEPPE FRATTO, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2303/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/04/2015, R. G.N. 7487/2011.
Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.
RILEVATO
che:
la Corte d’Appello di Roma, a conferma della pronuncia di primo grado ha rigettato la domanda di B.L., medico cardio – chirurgo alle dipendenze dell’Azienda Ospedaliera S. Camillo Forlanini dal *****, con la quale l’appellante chiedeva di accertare il danno da demansionamento e dequalificazione professionale, subito a causa di una condotta “mobizzante” tenuta dall’Azienda Ospedaliera dall’inizio fino alla conclusione del rapporto, e di condannare la stessa a risarcirgli il danno patrimoniale e non patrimoniale per l’ammontare complessivo di Euro 1.330.000;
la Corte territoriale ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione per il periodo antecedente al *****, e ha rigettato la domanda per il periodo dal *****, sul presupposto che, sulla base delle evidenze probatorie, la condotta datoriale lamentata dal B., intesa come una pluralità di sistematici comportamenti vessatori diretti intenzionalmente a perseguitarlo, mortificarlo ed emarginarlo, non era risultata dimostrata;
per la cassazione di tale pronuncia ricorre B.L. con un unico motivo. L’Azienda Ospedaliera S. Camillo Forlanini resiste con tempestivo controricorso;
entrambe le parti hanno presentato memoria in prossimità della Pubblica Udienza;
il P.G. ha concluso per la trasmissione della causa al Primo Presidente per i provvedimenti di sua competenza, non risultando agli atti la delega alla Sezione lavoro ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 1 e ritenuto che, contrariamente a quanto rilevato nella scheda di valutazione dell’Ufficio Preparatorio per le decisioni delle Sezioni Unite civili, la questione ponga un motivo attinente alla giurisdizione.
CONSIDERATO
che:
con l’unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, parte ricorrente lamenta “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Il motivo contesta le conclusioni della Corte d’Appello, adducendo, quanto al dichiarato difetto di giurisdizione per il periodo precedente al *****, che la condotta “mobizzante” sarebbe temporalmente infrazionabile, in quanto espressione di un illecito permanente, e osservando altresì che gli atti concreti nei quali essa si era manifestata, solo nominalmente avrebbero potuto essere attribuiti a soggetti diversi, costituendo tutti espressione di una precisa “continuità ambientale” fra i responsabili dei vari reparti; la difesa del ricorrente deduce, inoltre, che la Corte territoriale avrebbe erroneamente valutato le risultanze processuali e, di alcuni documenti, di cui riporta il contenuto, a suo avviso decisivi ai fini del giudizio, avrebbe addirittura omesso l’esame;
va rilevata preliminarmente la sussistenza dei presupposti per una pronuncia sulla controversia oggetto del presente giudizio, atteso che l’unica censura, che denunzia vizi e carenze motivazionali ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 va dichiarata inammissibile;
in questa sede va ribadito l’orientamento espresso ripetutamente da questa Corte secondo il quale: “…in ordine alle questioni di giurisdizione le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono Giudice anche del fatto e dovendo esse procedere all’apprezzamento diretto delle risultanze dell’istruttoria e degli atti di causa, la censura di mancanza, insufficienza o contraddittorietà della motivazione risulta del tutto irrilevante, anche se prospettata come vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 5, onde se ne deve dichiarare l’inammissibilità” (Sez. Un. n. 15289 del 2001; cfr. anche Cass. n. 21080 del 2005; n. 22526 del 2006; n. 5351 del 2007; n. 14288 del 2007);
il ricorso pertanto va dichiarato inammissibile;
le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso nei confronti della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4000 per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 13 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018