Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.25742 del 15/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18017/2014 proposto da:

ENI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO LEOPOLDO FREGOLI 8, presso lo studio dell’avvocato ROSARIO SALONIA, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.G., C.A., G.L., S.V., SC.CO., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LUDOVISI, 35, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LAURO, rappresentati e difesi dall’avvocato PASQUALE LAMBIASE, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 216/2013 della CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. di TARANTO, depositata il 23/07/2013, R.G.N. 208/2012.

rilevato che:

il Tribunale di Taranto, con sentenza nr. 6718 del 2011, rigettava la domanda proposta dagli odierni controricorrenti nei confronti di ENI Spa (già Praoil Oleodotti Italiani Spa) volta alla declaratoria di nullità del contratto di cessione di ramo d’azienda, stipulato tra Praoil Oleodotti Italiani Spa, alle dipendenze della quale avevano lavorato in qualità di autisti addetti al trasporto di carburanti, e Sud Service srl;

la Corte di Appello di Lecce, con sentenza nr. 216 del 2013, in accoglimento del gravame dei lavoratori, accertava invece la nullità della cessione avvenuta con atto del 27.6.2007 a favore della Sud Service srl ed ordinava alla ENI Spa di ripristinare i ceduti rapporti di lavoro;

per la cassazione di tale sentenza propone ricorso Eni Spa, affidato a due motivi, cui resistono, con controricorso, i lavoratori;

nelle more del giudizio, sono stati depositati i verbali di conciliazione tra Eni S.p.A. ed i lavoratori C.A. e S.V..

considerato che:

C.A. e S.V. hanno conciliato la presente lite con verbale redatto in sede sindacale, rispettivamente il 23 settembre 2014 e l’11 settembre 2014;

in relazione alle predette posizioni processuali, la sopravvenuta transazione comporta, dunque, la declaratoria di cessazione della materia del contendere nel presente giudizio; quanto alle spese del giudizio di legittimità, le stesse si compensano per intero, considerato che nei predetti verbali le parti nulla di specifico hanno pattuito al riguardo e trova, pertanto, applicazione l’art. 92 c.p.c., u.c. (in virtù del quale, in assenza di specifica pattuizione nel verbale di conciliazione, le spese si intendono compensate, cfr. Cass. nr. 7307 del 2018);

passando all’esame del ricorso, per le restanti posizioni, con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., per non aver la sentenza fatto corretta applicazione dei principi dettati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale; parte ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia escluso l’autonomia funzionale del ramo ceduto;

con il secondo motivo, parte ricorrente – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., per aver la Corte di appello inteso collegare l’illegittimità della cessione alla mancanza di solidità della cessionaria;

i due motivi possono trattarsi congiuntamente per la loro connessione e sono infondati;

il principio di diritto che regola la fattispecie è quello secondo cui “costituisce elemento costitutivo della cessione di ramo d’azienda prevista dall’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32, l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere – autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti. Incombe su chi intende avvalersi degli effetti previsti dall’art. 2112 c.c., che costituiscono eccezione al principio del necessario consenso del contraente ceduto stabilito dall’art. 1406 c.c., fornire la prova dell’esistenza di tutti i requisiti che ne condizionano l’operatività” (ex plurimis, tra le più recenti, Cass. nr. 10542 del 2016; Cass. nr. 17366 del 2016; Cass. nr. 1316 del 2017);

la Corte di appello, facendo corretta applicazione di tale principio, ha escluso che nella fattispecie sottoposta al suo vaglio fosse stata fornita la prova idonea a dimostrare il trasferimento di un’attività organizzata “funzionalmente autonoma”, con una valutazione di merito che, espressa con scrupoloso riferimento alle risultanze di causa, sfugge al sindacato di legittimità (cfr. Cass. nr. 5117 del 2012, Cass. nr. 20422 del 2012, Cass. nr. 2151 del 2013, Cass. nr. 20729 del 2013, Cass. nr. 1821 del 2013, Cass. nr. 24262 del 2013);

è solo il caso di aggiungere che i giudici di merito non hanno affatto collegato l’illegittimità della cessione (secondo motivo) agli eventi economici successivi e negativi della cessionaria ma apprezzato detta circostanza quale elemento di fatto che, unitamente agli altri, orientava per un giudizio di insussistenza di una cessione legittima;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R..

P.Q.M.

La Corte dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle posizioni di C.A. e S.V., compensando le spese; rigetta il ricorso in relazione alle restanti posizioni e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida, in favore di B.G., G.L. e Sc.Co., in Euro 5000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 11 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018

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