Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.25747 del 15/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20508/2017 R.G. proposto da:

C.N., già titolare della ditta CEM, rappresentato e difeso, per procura in calce al ricorso, dagli avv.ti Raffaele COLUCCIO e Tiziana FICARELLI, ed elettivamente domiciliato presso l’indirizzo pec del primo difensore;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. *****, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– intimata –

avverso la sentenza n. 820/07/2017 della Commissione tributaria regionale dell’EMILIA ROMAGNA, depositata il 23/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 13/09/2018 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle entrate in data 30 e 31/10/2013 notificava quattro avvisi di accertamento al contribuente titolare della CEM di C.N. con cui, rilevata l’utilizzazione da parte della predetta società di fatture per operazioni inesistenti, rettificava gli imponibili dichiarati dal medesimo con riferimento agli anni d’imposta dal 2004 al 2007.

1.1. Il ricorso proposto dal contribuente avverso tali atti impositivo veniva rigettato dalla CTP di Modena con sentenza confermata dalla CIR dell’Emilia Romagna che riteneva operante il raddoppio dei termini di accertamento in quanto regolarmente e tempestivamente effettuata la notitia criminis ed inapplicabile al caso di specie lo ius superveniens di cui alla L. n. 208 del 2015 e riteneva altresì inapplicabile la L. n. 212 del 2000, art. 12, in quanto la verifica fiscale non era stata svolta nella sede della ditta.

2. Avverso tale sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui non replica l’intimata che si limita a depositare istanza di partecipazione all’eventuale discussione orale.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale il ricorrente ha depositato memorie.

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo di ricorso, con cui viene dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 132, D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2,D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 – per avere i giudici d’appello ritenuto necessario, ai fini dell’applicabilità dell’istituto del raddoppio dei termini di accertamento, la presentazione della denuncia di reato entro il termine di decadenza per l’accertamento, è fondato e va accolto limitatamente all’IRAP.

2. Al riguardo deve ribadirsi l’insegnamento di questa Corte secondo cui “In tema di accertamento tributario, i termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, per l’IRPEF e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, per l’IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza”, come peraltro stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 25 luglio 2011, n. 247, “senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati” (Cass. n. 16728 del 2016; conf. Cass. n. 26037 del 2016).

2.1. Nelle citate pronunce la Corte ha avuto cura di precisare: a) che “non di raddoppio dei termini in senso proprio si tratta, bensì di un nuovo termine di decadenza”, applicabile in ipotesi di sussistenza di seri indizi di reità, che è un dato obiettivo non lasciato alla discrezionalità del funzionario dell’ufficio tributario ma che deve essere accertato dal giudice; b) che tale raddoppio non è escluso dalla configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, nè dalla intervenuta archiviazione della denuncia, non rilevando “nè l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, nè la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (in termini, Cass. 15 maggio 2015, n. 9974)” (Cass. n. 16728/16, cit.); c) che su tale assetto nessun effetto spiega la sequenza di modifiche che hanno riguardato la disciplina dei termini prescritti per l’accertamento (L. n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, nonchè D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2) in quanto, qualora gli avvisi di accertamento relativi a periodo d’imposta precedenti a quello in corso alla data 31 dicembre 2016 siano stati già notificati – come nel caso in esame, in cui l’atto impositivo risulta notificato in data 07/03/2012 – si applica la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2 (che non è stato modificato dalla successiva L. n. 208 del 2015), che fa espressamente salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla data di entrata in vigore del predetto decreto.

2.2. Pertanto, con riferimento ad avvisi di accertamenti emessi e notificati nell’anno 2013, come nella fattispecie, è del tutto indifferente la data in cui viene effettuata la comunicazione di notizia di reato, così come è del tutto irrilevante l’omissione della stessa comunicazione perchè quello che invece assume rilevanza ai predetti fini è la circostanza, sussistente nella fattispecie in esame e, comunque, nemmeno contestata, che le violazioni tributarie accertate integrino fatti anche penalmente rilevanti.

2.3. Pare opportuno precisare che proprio per tale ragione il raddoppio dei termini di accertamento non opera con riferimento all’IRAP posto che, “non essendo l’IRAP un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali è evidente che in relazione alla stessa non può operare la disciplina del “raddoppio dei termini” di accertamento quale applicabile ratione temporis (cfr. Cass. n. 20435/2017; n. 4775/2016 n. 26311 del 2017, n. 23629 del 2017, n. 4758 e n. 14440 del 2018).

2.4. Da quanto detto consegue che il motivo in esame va accolto limitatamente all’IRAP.

3. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta che i giudici di appello non avevano rilevato la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, nel comportamento dell’amministrazione finanziaria che aveva emesso gli avvisi di accertamento nel 20133, ovvero a distanza di diversi anni dall’espletamento della verifica fiscale e, più precisamente dalla redazione, in data 23.2.2009, del “processo verbale di accesso, richiesta e ritiro documenti” e del processo verbale di colloquio, omettendo la redazione di un processo verbale di constatazione conclusivo dell’accertamento.

3.1. Orbene, anche a voler prescindere dal rilievo di inammissibilità del motivo perchè non congruente con la statuizione impugnata – che ha escluso la violazione della citata disposizione in relazione alla modalità della verifica fiscale, in quanto non effettuata presso la sede di svolgimento dell’attività commerciale (con la conseguenza che non è applicabile il termine dilatorio di cui al comma 7 della citata disposizione) – ed anche non considerando che, in spregio al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente non ha indicato in quale atto del giudizio di merito avrebbe dedotto la questione oggetto del motivo in esame, che pertanto deve ritenersi nuovo (cfr. Cass. n. 1435 del 2013; conf. Cass. n. 23675 del 2013, n. 27568 del 2017), osserva il Collegio che la censura è manifestamente in fondata atteso che nessuna disposizione, tanto meno quella censurata, prescrivono a carico dell’amministrazione finanziaria l’obbligo di redigere un p.v.c. “conclusivo” delle operazioni di verifica, ma soltanto l’obbligo di redigere il “processo verbale delle operazioni di verifica”, e nella specie, per stessa ammissione del ricorrente, risultano essere stati regolarmente redatti e consegnati alla parte sia il processo verbale di accesso, richiesta e ritiro documenti che quello di colloquio (ricorso, pag. 18).

4. Conclusivamente, il primo motivo ricorso va accolto limitatamente all’IRAP, con rigetto per le altre imposte, mentre va rigettato il secondo motivo; la sentenza impugnata va, quindi, cassata con riferimento a tale imposta, senza necessità di rinvio, non essendovi ulteriori accertamenti da compiere, con accoglimento dell’originario ricorso del contribuente limitatamente alla ripresa ai fini IRAP.

5. L’esito del giudizio giustifica la compensazione integrale delle spese processuali del presente giudizio di legittimità e di quelli dei gradi di merito.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della società contribuente limitatamente alla ripresa ai fini IRAP. Spese processuali compensate.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018

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