LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26658/2017 R.G. proposto da:
B.C., e A.W., rappresentate e difese, per procura speciale a margine del controricorso, dagli avv.ti Guglielmo CANTILLO ed Oreste CANTILLO, ed elettivamente domiciliate in Roma, Lungotevere dei Mellini, n. 17, presso lo studio legale del secondo difensore;
– ricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. *****, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza n. 9643 del 2017 della CORTE di CASSAZIONE, depositata il 13/04/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 13/09/2018 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.
RILEVATO
che:
– in controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento con cui era stata attribuita una nuova categoria ed una nuova classe all’unità immobiliare di cui B.C. e A.W. erano, rispettivamente, nuda proprietaria ed usufruttuaria, diversa da quelle risultanti dalla procedura DOCFA attivata dalle predette contribuenti, questa Corte con l’ordinanza in epigrafe indicata, che le ricorrenti impugnano per revocazione sulla base di un unico motivo, cui replica con controricorso l’Agenzia delle entrate, rigettava il ricorso dichiarando infondato il primo motivo di cassazione ed inammissibile il secondo, che prospettava “l’illegittimità dell’atto impugnato per avere posto a fondamento dello stesso un quadro giuridico errato, non risultando tale doglianza formulata nel corso del giudizio di merito”;
– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., rinnovata a seguito dell’ordinanza interlocutoria di questa Corte n. 17526 del 2018, risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale le ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
– i ricorrenti contestano la statuizione dell’ordinanza oggetto di revocazione là dove questa ha ritenuto non proposta nei giudizi di merito la doglianza relativa alla “illegittimità dell’atto impugnato per avere posto a fondamento dello stesso un quadro giuridico errato”; secondo i ricorrenti tale statuizione, peraltro adottata dal Collegio in difformità dalla proposta del relatore, si poteva giustificare solo ipotizzando che era sfuggita alla Corte la parte di ricorso (e precisamente quanto scritto a pag. 18) in cui, prospettando la questione della lacunosità dell’individuazione delle fonti normative su cui era fondato l’avviso di accertamento impugnato, aveva richiamato le pagine 8 e 9 del ricorso in appello in cui quella censura era stata esposta; secondo i ricorrenti si sarebbe, dunque, in presenza di un’errata o alterata percezione dei fatti di causa che, ove correttamente intesi, avrebbe potuto condurre a soluzione diversa da quella adottata, in senso favorevole alla parte contribuente;
– il ricorso è inammissibile;
– è noto che l’errore revocatorio consiste nella percezione, in contrasto con gli atti e le risultanze di causa, di una falsa realtà documentale, in conseguenza della quale il giudice si sia indotto ad affermare l’esistenza di un fatto o di una dichiarazione che, invece, incontrastabilmente non risulta dai documenti di causa (ex Cass. 20 febbraio 2006, n. 3652; Cass. 11 aprile 2001, n. 5369); in particolare l’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4 – idoneo a costituire motivo di revocazione delle sentenze di Cassazione ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. – deve consistere, al pari dell’errore revocatorio imputabile al giudice di merito, nell’affermazione o supposizione dell’esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece, in modo indiscutibile, esclusa o accertata in base al tenore degli atti o dei documenti di causa; deve essere decisivo, nel senso che deve esistere un necessario nesso di causalità tra l’erronea supposizione e la decisione resa; non deve cadere su un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; deve infine presentare i caratteri della evidenza ed obiettività (Cass. 28 febbraio 2007, n. 4640); l’errore revocatorio deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero in una critica del ragionamento del giudice sul piano logico – giuridico (cfr. Cass. 29833 del 2017, in motivazione); si è, quindi, affermato che “in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, ove il ricorrente deduca, sotto la veste del preteso errore revocatorio, l’errato apprezzamento, da parte della Corte, di un motivo di ricorso qualificando come errore di percezione degli atti di causa un eventuale errore di valutazione sulla portata della doglianza svolta con l’originario ricorso – si verte in un ambito estraneo a quello dell’errore revocatorio, dovendosi escludere che un motivo di ricorso sia suscettibile di essere considerato alla stregua di un “fatto” ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, potendo configurare l’eventuale omessa od errata pronunzia soltanto un “error in procedendo” ovvero “in iudicando”, di per sè insuscettibili di denuncia ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c.” (cfr. Cass. n. 14937 del 2017); questa Corte ha anche specificato che “non costituisce errore di fatto, tale da giustificare la revocazione di una sentenza della Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, ma errore di giudizio relativo all’individuazione delle questioni oggetto del motivo di ricorso, l’affermazione con la quale una questione venga ritenuta inammissibile perchè sollevata per la prima volta in sede di appello, risultando invece già prospettata nella precedente fase di giudizio” (Cass. n. 2430 del 2006) e che persino l’erronea comprensione delle difese non costituisce errore revocatorio (Cass., Sez. U., n. 30994 del 2017, p. 3.4);
– nel caso di specie i ricorrenti non individuano un errore di fatto immediatamente percepibile e rilevabile, ma censurano la decisione di questa Corte che ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso sulla base di una valutazione delle risultanze processuali che, diversamente da come ritengono) i ricorrenti, non può che discendere dall’esame degli atti di causa e, in particolare, dal contenuto dei motivi di impugnazione dedotti nei gradi di merito (trascritti nel ricorso), da cui si evince che il vizio di motivazione dell’avviso di accertamento era imperniato sulla mancanza di indicazione dei “presupposti giuridici o (…)di fatto” e non sulla diversa questione dell’erronea indicazione del quadro giuridico di riferimento (che era oggetto del motivo di ricorso proposto a questa Corte);
– il ricorso va, quindi, dichiarato inammissibile e le ricorrenti, rimaste soccombenti, condannate al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.700,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018