LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –
Dott. NAPOLETANO Lucio – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19757-2017 proposto da:
M.F., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati MARTA LANZARA, GIANCARLO AIELLO;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, (Cf. *****), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– contro ricorrente –
avverso la sentenza n. 2273/47/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di NAPOLI, depositata il 10/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON. RILEVATO CHE Con sentenza n. 2273/47/17 depositata in data 10 marzo 2017 la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto da M.F. avverso la sentenza n. 14937/38/16 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2011. La Commissione tributaria regionale, nella parte che qui rileva, osservava in particolare che nel caso di specie, trattandosi di un accertamento c.d. “a tavolino”, non sussisteva alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, quindi specificamente nemmeno di redazione del PVC e di osservanza del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la contribuente deducendo due motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Il Ministero (dell’economia e) delle finanze non si è difeso.
CONSIDERATO CHE In via preliminare va dichiarata l’inammissibilità del ricorso nei confronti del Ministero (dell’economia e) delle finanze, trattandosi di organo privo di legittimazione processuale a seguito della riforma ex D.Lgs. n. 300 del 1999, in quanto spettante la legittimazione stessa esclusivamente alle agenzie fiscali con tale riforma istituite.
Con il primo motivo e con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la ricorrente lamenta rispettivamente la violazione/falsa applicazione dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 e L. n. 4 del 1929, art. 24 poichè la CTR ha affermato l’insussistenza nel caso di specie dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale ed in particolare altresì quelli della redazione del PVC e dell’ emissione dell’atto impositivo decorsi 60 giorni dalla consegna di tale atto prodromico.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, sono inammissibili.
Ribadito infatti che “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito” e che “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino”” (Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637605 – 01), non essendovi ragione alcuna per non dare seguito ai principi di diritto di cui a tali arresti giurisprudenziali, va dunque appunto affermata l’inammissibilità dei mezzi de quibus secondo l’ulteriore principio di diritto che “In tema di ricorso per cassazione, lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”” (Sez. U, Sentenza n. 7155 del 21/03/2017, Rv. 643549 – 01).
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.100 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018