Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26338 del 19/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CAVALLO Aldo – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

P.F., L.V., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA GIROLAMO DA CARPI 1, presso lo studio dell’avvocato FUNARI ANTONIO, rappresentate e difese dagli avvocati CARINI LORENZO, DE STEFANO VITO;

– ricorrenti –

contro

ALMAVIVA CONTACT SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO LEOPOLDO FRUGOLI 8, presso lo studio dell’avvocato SALONIA ROSARIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COZZOLINO FABIO MASSIMO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 985/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 09/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/07/2018 dal Consigliere Dott. FERNANDES GIULIO.

RILEVATO

che, con sentenza del 9 dicembre 2016, la Corte di Appello di Palermo, in riforma della decisione di primo grado, rigettava le domande proposte da C.A.G., N.M., Pa.Gi., F.F. e L.V. ed intese alla declaratoria di illegittimità dei contratti a progetto (e relative proroghe) intercorsi con Almaviva Contact s.p.a. e, previo riconoscimento della natura subordinata dei rapporti con inquadramento del 4^ livello del CCNL di settore, alla condanna della convenuta società al ripristino dei rapporti di lavoro nonchè al pagamento della retribuzione mensile corrispondente al livello di inquadramento dalla cessazione dei rapporti e fino al loro effettivo ripristino;

che la Corte – per quello ancora di rilievo in questa sede – premesso che il Tribunale aveva riconosciuto la conformità dei contratti al tipo legale prescelto risultando in essi precisato il tipo di commessa cui il programma si riferiva essendo delineate in modo specifico le fasi di lavoro ed i risultati parziali da conseguire – tuttavia, rilevava – a differenza di quanto ritenuto dal primo giudice – che dalle risultanze istruttorie non erano emersi i caratteri tipici della subordinazione e le limitazioni imposte ai lavoratori erano dirette ad armonizzare la prestazione con la complessiva organizzazione aziendale;

che per la cassazione di tale decisione la F. e la L. propongono ricorso affidato ad un unico articolato motivo cui resiste Almaviva Contact s.p.a.;

che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ. ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che le ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ. in cui dissentono dalla proposta del relatore ed insistono per l’accoglimento del ricorso o per la trattazione della causa in pubblica udienza.

CONSIDERATO

che con l’unico articolato motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e la nullità della sentenza nonchè omesso esame di un fatto storico di carattere decisivo risultante dalla istruttoria e dalla sentenza (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5) per avere la Corte di appello: a) ricopiato in modo pedissequo la motivazione di altra decisione della stessa Corte territoriale nella parte relativa alla valutazione delle risultanze istruttorie sì da non consentire l’individuazione della ratio decidendi della sentenza emessa; b) omesso di valutare la deposizione della teste M.A. e le risultanze del tabulato di reperibilità nonchè i documenti che prevedevano per la F. e la L. l’espletamento di attività non comportanti alcun contatto telefonico con l’utenza e che snaturavano il contratto di “cali center” in “outbound”; c) omesso di motivare sulla rilevata ripetitività delle mansioni incompatibile con il tipo contrattuale scelto;

che il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile. E’ infondato nella parte in cui denuncia la nullità della impugnata sentenza per motivazione apparente e/o inesistente in quanto, come emerge dalla lettura della stessa, la motivazione esiste, è adeguata, priva di contraddizioni e chiaramente riferibile al caso in esame e la circostanza che sia in parte uguale ad altra sentenza della stessa Corte territoriale (la n. 1395/2015) avente ad oggetto un caso sovrapponibile a quello de quo (il ricorso per cassazione avverso la predetta decisione della Corte di Appello di Palermo n. 1395/2015 è stato dichiarato inammissibile con ordinanza di questa Corte n. 16617/2017) non ne può comportare la nullità. E’ inammissibile nella parte in cui lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti perchè non presenta alcuno dei requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 360 c.p.c., comma 2, n. 5, nella formulazione “ratione temporis” applicabile alla presenta controversia come interpretata dalle Sezioni Unite di questa Corte (SU n. 8053 del 7 aprile 2014) risolvendosi nella denuncia di una errata valutazione di risultanze istruttorie e nel sollecitare una nuova valutazione del merito della controversia. Invero, è stato in più occasioni affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, e plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003). Peraltro, la Corte ha rilevato che dalle testimonianze escusse (in sentenza vi è un espresso richiamo alla deposizione della teste M.) era risultato escluso che gli appellati fossero obbligati all’osservanza di un orario di lavoro e tenuti a giustificare le assenze e che fossero assoggettati al potere disciplinare datoriale in quanto: non vi erano controlli sull’orario; il fatto che dovessero comunicare una fascia oraria di operatività rispondeva alle esigenze di organizzare il lavoro e la convocazione per eventuali “urgenze” non assurgeva a direttiva la cui inosservanza avrebbe potuto comportare l’esercizio del potere disciplinale così come la vicenda ***** non aveva mutato la natura dei rapporti di collaborazione avendo solo incrementato l’attività delle operatrici senza alcuna modificazione circa le modalità e senza ripercussioni per coloro che avessero scelto di non accogliere l'”invito” a prestare una piena collaborazione. Il motivo in questa parte è, altresì, inammissibile laddove lamenta l’omesso esame dei documenti nn. 11 e 12 del fascicolo di parte concernenti le ricorrenti in quanto non ne è stato trascritto il contenuto in violazione del principio di autosufficienza del ricorso. Infine, la censura concernente il difetto di motivazione con riferimento alla dedotta ripetitività della mansioni è infondata in quanto l’impugnata sentenza evidenzia come già il Tribunale correttamente avesse rilevato la conformità dei contratti conclusi al tipo legale prescelto ed ai parametri fissati dal D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69;

che, alla luce di quanto esposto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato;

che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore di Almaviva Contact s.p.a. come da dispositivo; che sussistono i presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014e numerose successive conformi).

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto del sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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