LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
G.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE ACACIE 13/15, presso lo studio dell’avvocato DI GENIO GIANCARLO, rappresentato e difeso dall’avvocato GUGLIELMOTTI ROSARIO;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati PULLI CLEMENTINA, MASSA MANUELA, VALENTE NICOLA, CAPANNOLO EMANUELA, CALIULO LUIGI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1096/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 09/01/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 19/07/2018 dal Consigliere Dott. FERNANDES GIULIO.
RILEVATO
che, con sentenza del 9 gennaio 2017, la Corte di appello di Salerno, in parziale accoglimento del gravame proposto dall’INPS: riconosceva il diritto di G.C. all’assegno ordinario di invalidità a decorrere dal 1^ luglio 2015 (invece che dal 1^ gennaio 2011 come statuito dal primo giudice) con condanna dell’istituto al pagamento della relativa prestazione, oltre accessori come per legge, dalla maturazione dei singoli ratei al soddisfo; compensava tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio in considerazione dell’accoglimento solo parziale della domanda dal quale era derivato anche il rigetto dell’appello incidentale fondato su di una posizione totalmente vittoriosa del G. risultata smentita all’esito del giudizio di secondo grado;
che per la cassazione di tale decisione propone ricorso il G. affidato a due motivi cui resiste con controricorso l’INPS;
che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo di ricorso si deduce violazione della L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1 (in relazione all’art. 360 c.p.p., comma 1, nn. 3 e 5) non avendo la Corte territoriale sottoposto le conclusioni cui era pervenuta la consulenza tecnica d’ufficio nuovamente disposta in appello ad un adeguato vaglio critico limitandosi a recepirle supinamente nella parte in cui si affermava la compatibilità del quadro patologico da cui era risultato affetto il G. con lo svolgimento di attività in occupazioni confacenti alle sue attitudini all’epoca della presentazione della domanda amministrativa, conclusioni del tutto infondate dal momento che: il predetto – autista di autobus – sin dal 2010 non era più titolare di patente C e D ed era stato licenziato per “giustificato motivo oggettivo” determinato dalla impossibilità di essere adibito a mansioni diverse anche non equivalenti perchè nell’organico aziendale era prevista solo la qualifica di “autista di autobus”; la malattia neuropsichiatrica da cui era affetto – come emergeva dalla documentazione prodotta in atti – incideva in modo significativo sulla capacità lavorativa sin dalla domanda amministrativa e smentiva la definizione della stessa data dal CTU come “diagnosi psichiatrica di tipo cosiddetto minore”. Evidenziava, altresì, il difetto di motivazione dell’impugnata sentenza non avendo la Corte di appello fornito risposta alle osservazioni critiche mosse all’elaborato peritale dalla difesa del G. nè illustrato le ragioni per le quali aveva ritenuto di aderire alle conclusioni della CTU disposta in secondo grado e non a quelle del consulente nominato in prime cure;
– con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 112,91 e 92 cod. proc. civ. nonchè motivazione insufficiente (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per avere la Corte territoriale erroneamente disposto la compensazione delle spese non integrando il parziale accoglimento della domanda a seguito dello spostamento della decorrenza quelle “gravi ed eccezionali ragioni” in presenza delle quali la compensazione è consentita;
che il primo motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile: – è infondato in quanto alla luce dei principi affermati da questa Corte secondo cui la capacità di lavoro dell’assicurato, alla quale fa riferimento la L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1, ai fini della valutazione della sussistenza del requisito sanitario richiesto per l’attribuzione della prestazione previdenziale dell’assegno di invalidità, consiste nella idoneità a svolgere, in primo luogo, il lavoro di fatto esplicato (capacità specifica), ed inoltre tutti i lavori che l’assicurato per condizioni fisiche, preparazione culturale ed esperienze professionali, sia in grado di svolgere (capacità generica), i quali vengono in considerazione soltanto in caso di accertata inidoneità dell’assicurato allo svolgimento del lavoro proprio sicchè la riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro dell’assicurato in occupazioni confacenti alle sue attitudini, di cui alla L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1, va, dunque, verificata in riferimento non solo alle attività lavorative sostanzialmente identiche a quelle precedentemente svolte dall’assicurato (e nel corso delle quali si è manifestato il quadro patologico invalidante), ma anche a tutte quelle occupazioni che, pur diverse, non presentano una rilevante divaricazione rispetto al lavoro precedente, in quanto costituiscono una naturale estrinsecazione delle attitudini dell’assicurato medesimo, tenuto conto di età, sesso, formazione professionale e di ogni altra circostanza emergente nella concreta fattispecie, che faccia ragionevolmente presumere l’adattabilità professionale al nuovo lavoro, senza esporre l’assicurato ad ulteriore danno per la salute (Cass. 14.3.2011 n. 5964; Cass. 6.7.2007 n. 15265; Cass. 14.6.2002 n. 8596; Cass. n. 3519 del 9/3/2001; Cass. 14.6.2002 n. 8596). E’ stato anche precisato che, ove la capacità dell’assicurato di svolgere il lavoro di fatto esplicato si sia ridotta, ma senza raggiungere la soglia, normativamente rilevante, della riduzione a meno di un terzo, il giudice non ha l’obbligo – prima di escludere il diritto alle richieste prestazioni previdenziali – di accertare anche l’incapacità dell’assicurato di svolgere altre attività lavorative, compatibili con le sue capacità ed attitudini. Orbene, nel caso in esame la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi tenendo conto del fatto che il G. era stato dichiarato non idoneo in modo permanente ed assoluto alle mansioni della qualifica di autista di autobus giungendo alla conclusione, con una valutazione di merito non sindacabile in questa sede e sulla scorta dei rilievi contenuti nella espletata CTU, che, alla data di presentazione della domanda amministrativa, la capacità lavorativa del predetto in occupazioni confacenti alle sue attitudini non si era ridotta a meno di un terzo;
– è inammissibile nella parte in cui censura il contenuto della ctu espletata e lamenta il vizio di insufficiente motivazione. Invero è costante l’orientamento della Corte in base al quale, ove nel giudizio in materia di invalidità pensionabile il giudice del merito si basi sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, affinchè i lamentati errori e lacune della consulenza tecnica determinino un vizio di motivazione della sentenza denunciabile in cassazione, è necessario che siano riscontrabili carenze o deficienze diagnostiche, o affermazioni illogiche o scientificamente errate, e non già semplici difformità tra la valutazione del consulente circa l’entità e l’incidenza del dato patologico e quella della parte ragion per cui quando il giudice di merito accoglie le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie, l’obbligo della motivazione è assolto con l’indicazione della fonte dell’apprezzamento espresso, senza la necessità di confutare dettagliatamente le contrarie argomentazioni della parte, che devono considerarsi implicitamente disattese. Peraltro, vale anche ricordare come a seguito della modifica dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 – disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, non ha più rilievo il vizio di motivazione insufficiente;
che il secondo motivo è infondato avendo la Corte di appello compensato le spese in considerazione della reciproca soccombenza (l’appello incidentale del G. era stato rigettato). Peraltro, vale anche ricordare quanto affermato da questa Corte secondo cui in tema di regolamento delle spese processuali, e con riferimento alla loro compensazione, poichè il sindacato della Suprema Corte è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri motivi, con la precisazione che la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, insindacabile in questa sede, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente. (Cass. n. 8421 del 31/03/2017; Cass. n. 26565 del 21 dicembre 2016; Cass. n. 2149 del 31/01/2014; Cass. n. 15317 del 19/06/2013);
che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato;
che non si provvede in ordine alle spese del presente giudizio avendo il ricorrente reso la dichiarazione di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c.;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17, (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso; nulla per le spese del presente giudizio.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 19 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018