LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
F.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NAZARIO SAURO 16, presso lo studio dell’avvocato REHO STEFANIA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PISTILLI MASSIMO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 6093/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/12/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/07/2018 dal Consigliere Dott.ssa GHINOY PAOLA.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Viterbo, rigettava la domanda proposta da F.D. che, sul presupposto di avere lavorato per vari anni alle dipendenze del Ministero dell’istruzione, Università e ricerca, inserita nella graduatoria del personale ATA, in forza di numerosi contratti a tempo determinato a partire dal 3.9.2004 e fino al 31.8.2010, chiedeva la dichiarazione d’illegittimità dell’apposizione del termine e la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato e/o il risarcimento del danno.
La Corte d’appello a fondamento del rigetto riteneva non configurabile la dedotta abusiva reiterazione dei contratti a termine, in quanto dei cinque contratti a termine stipulati, solo due erano stati conclusi per sopperire a vacanze su organico di diritto, nè la parte ricorrente aveva dedotto nè tantomeno dimostrato un uso improprio o distorto del potere di macro organizzazione delegato dal legislatore al Ministero in ordine alla ricognizione dei posti e delle concrete esigenze del servizio, nè aveva allegato circostanze che consentissero di ritenere permanenti e durature le esigenze di copertura dei posti di fatto disponibili.
3. Per la cassazione della sentenza F.D. ha proposto ricorso ed ha depositato anche memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2; il MIUR non ha svolto attività difensiva, depositando solo un atto di costituzione in giudizio.
CONSIDERATO
Che:
1. il ricorso è affidato ad un’unica articolata argomentazione, intitolata “motivi di appello”, che solo alle pg. 9-11 formula una censura conferente con la motivazione della sentenza gravata. Ivi si sostiene che, anche in caso di supplenze al 30 giugno, il datore di lavoro avrebbe comunque l’obbligo di specificare la ragione della supplenza nel testo del contratto, non potendosi limitare ad un generico richiamo normativo, e che spetta al datore di lavoro provare l’insussistenza dell’abuso nel ricorso ai contratti a tempo determinato, in quanto l’amministrazione necessita di contratti a termine a copertura di un costante organico di fatto.
2. Il ricorso, nella parte in cui risulta ammissibile, non è fondato.
Occorre qui ribadire la soluzione già adottata da questa Corte, con le sentenze pronunciate all’udienza del 18.10.2016 (dal n. 22552 al n. 22557 e numerose altre conformi, tra cui da ultimo Cass. 7/4/2017 n. 9042) che, dopo avere ricostruito il quadro normativo e dato atto del contenuto delle pronunce rese dalla Corte di Giustizia (sentenza 26 novembre 2014, Mascolo e altri, relativa alle cause riunite C-22/13; C-61/13; C-62/13; C-63/13; C-418/13), dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 187 del 20.7.2016) e dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 5072 del 15.3.2016) ha affermato tra gli altri i seguenti principi di diritto:
– la disciplina del reclutamento del personale a termine del settore scolastico, contenuta nel D.Lgs. n. 297 del 1994, non è stata abrogata dal D.Lgs. n. 368 del 2001, essendone stata disposta la salvezza dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 70,comma 8, che ad essa attribuisce un connotato di specialità;
– per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale della L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 4 commi 1 e 11 e in applicazione della Direttiva 1999/70/CE 1999 è illegittima, a far tempo dal 10.07.2001, la reiterazione dei contratti a termine stipulati ai sensi della L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 4, commi 1 e 11, prima dell’entrata in vigore della L. 13 luglio 2015, n. 107, rispettivamente con il personale docente e con quello amministrativo, tecnico ed ausiliario, per la copertura di cattedre e posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, sempre che abbiano avuto durata complessiva, anche non continuativa, superiore a trentasei mesi;
– nelle ipotesi di reiterazione di contratti a termine in relazione ai posti individuati per le supplenze su “organico di fatto” e per le supplenze temporanee non è in sè configurabile alcun abuso ai sensi dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva, fermo restando il diritto del lavoratore di allegare e provare il ricorso improprio o distorto a siffatta tipologia di supplenze, prospettando non già la sola reiterazione ma le sintomatiche condizioni concrete della medesima;
3. La decisione impugnata è conforme alle conclusioni alle quali questa Corte è pervenuta, quanto alla ritenuta specialità della normativa di settore;
4. nella fattispecie, inoltre, il carattere abusivo della reiterazione non può neppure essere affermato quale conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale della L. n. 124 del 1999, art. 4, commi 1 e 11, in quanto l’abuso sussiste solo a condizione che le supplenze abbiano riguardato l’organico di diritto e si siano protratte per oltre trentasei mesi.
5. L’inapplicabilità del D.Lgs. n. 368 del 2001 al settore scolastico è stata affermata da questa Corte sulla base del quadro normativo vigente al momento della introduzione del giudizio di primo grado e si è precisato, ai punti 36 e 37 delle richiamate sentenze, che il legislatore era intervenuto con norme che non possono essere qualificate di interpretazione autentica e che, conseguentemente, non violano l’art. 6 della CEDU perchè, senza vincolare per il passato l’interprete, esplicitano un precetto già desumibile dal sistema previgente;
9. che detti principi devono essere ribaditi, per le ragioni tutte indicate nella motivazione delle sentenze sopra richiamate, da intendersi qui trascritte ex art. 118 disp. att. c.p.c., non apportando validi elementi in senso contrario le argomentazioni della ricorrente.
10. Per tali motivi il ricorso, manifestamente infondato, va rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5.
11. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in assenza di attività difensiva della parte intimata;
12. sussistono i requisiti per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018