LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
D.L.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 243, presso lo studio dell’avvocato ARMELISASSO MARINA, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 210/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 23/01/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/07/2018 dal Consigliere Dott.ssa GHINOY PAOLA.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, rigettava la domanda con la quale D.L.A. – che aveva lavorato per il Ministero dell’istruzione università e ricerca in virtù di reiterati contratti a tempo determinato – chiedeva il riconoscimento del diritto a percepire gli scatti biennali di stipendio nella misura del 2,5%, in applicazione della L. n. 312 del 1980, art. 53;
2. per la cassazione della sentenza D.L.A. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, ed ha depositato anche memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2;
3. il MIUR ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. il ricorso, contrariamente a quanto eccepito dal MIUR, è ammissibile, essendo stato avviato per la notifica il 24 luglio 2017, che cadeva di lunedì, a fronte di sentenza pubblicata il 23 gennaio 2017, sicchè opera la previsione dell’art. 155 c.p.c., comma 4.
2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia omessa e comunque insufficiente motivazione in relazione alla violazione del principio della parità di trattamento e del divieto di discriminazione, la violazione della clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla Direttiva 1999/70/CE, così come interpretata dalla Corte di giustizia. In relazione all’inapplicabilità del C.C.N.L., violazione dell’art. 3 Cost., con conseguente riconoscimento degli scatti di anzianità.
3. Come secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 lamenta che la Corte d’appello non abbia dato la prevalenza alla motivazione della sentenza di primo grado, che aveva valorizzato il divieto di discriminazione, limitandosi solo in dispositivo a richiamare la L. n. 312 del 1980, art. 53, e così accogliendo una domanda che non era stata formulata nel ricorso introduttivo.
4. Come terzo motivo deduce la nullità della sentenza e la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia avverso la specifica eccezione in merito alla disparità di trattamento tra i dipendenti a tempo determinato e quelli assunti a tempo indeterminato e sull’inapplicabilità del C.C.N.L. con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 4.
5. Sulla questione oggetto del presente giudizio, questa Corte si è espressa con la recente sentenza n. 22558 del 7 novembre 2016 (seguita da numerose conformi) con cui si è enunciato il seguente principio di diritto: “La L. n. 312 del 1980, art. 53 che prevedeva scatti biennali di anzianità per il personale non di ruolo, non è applicabile ai contratti a tempo determinato del personale del comparto scuola ed è stato richiamato, D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 69, comma 1, e art. 71, dal c.c.n.l. 4 agosto 1995 e dai contratti collettivi successivi, per affermarne la perdurante vigenza limitatamente ai soli insegnanti di religione”;
5.1. in tale arresto si è osservato, tra l’altro, che a far tempo dalla contrattualizzazione dell’impiego pubblico, gli scatti biennali non hanno più fatto parte della retribuzione del personale di ruolo della scuola, docente, tecnico ed amministrativo ed è stata richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 146 del 20 giugno 2013, la quale ha evidenziato a quale categoria di docenti la norma in questione si riferisse ed ha precisato che la possibilità per l’Amministrazione di stipulare contratti a tempo indeterminato non di ruolo era venuta meno con l’approvazione della L. 20 maggio 1982, n. 270 e non poteva rivivere ad opera della contrattazione collettiva;
5.2. al momento della contrattualizzazione del rapporto di impiego del personale della scuola, dunque, la L. n. 312 del 1980, art. 53 poteva dirsi vigente ed efficace solo relativamente ai docenti di religione e ad alcune particolari categorie di insegnanti che, sebbene non immessi nei ruoli, prestavano attività sulla base, non di supplenze temporanee o annuali, bensì in forza di contratti a tempo indeterminato previsti in via eccezionale dalla L. n. 270 del 1982, art. 15 (è il caso dei docenti di educazione musicale il cui rapporto è stato ritenuto a tempo indeterminato da Cass. 8 aprile 2011, n. 8060, che ha ribadito in motivazione la non spettanza degli scatti biennali di cui all’art. 53 ai supplenti ed al personale “il cui rapporto di servizio trova fondamento in incarichi attribuiti di volta in volta e si interrompe nell’intervallo tra un incarico e l’altro”);
6. le doglianze della ricorrente sono allora infondate nella parte in cui, facendo leva sul principio di non discriminazione, invoca la riforma della sentenza della Corte d’appello che ha negato il riconoscimento del diritto a percepire gli scatti biennali previsti dalla L. n. 312 del 1980, art. 53 (cfr. anche Cass. 7 aprile 2017, n. 9058), in quanto anzi il riconoscimento degli scatti biennali finirebbe per assicurare all’assunto a tempo determinato un trattamento economico di miglior favore rispetto a quello riservato al personale della scuola definitivamente immesso nei ruoli, trattamento che non può certo trovare giustificazione nella clausola 4 dell’Accordo quadro.
7. La citata sentenza della Corte costituzionale n. 146/2013 sul punto ha evidenziato che la diversità della condizione dei docenti di religione – la quale costituisce una naturale conseguenza dell’intrinseca diversità del loro rapporto di lavoro – rende priva di fondamento la prospettata questione di legittimità costituzionale in riferimento anche all’art. 36 Cost.nonchè alla normativa europea richiamata attraverso gli artt. 11 e 117 Cost., poichè il principio di non discriminazione di cui alla clausola 4 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio, presuppone comunque la comparabilità tra le due categorie di lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato.
8. Per tali motivi, la sentenza gravata è corretta là dove ha escluso l’accoglimento della domanda avente ad oggetto il riconoscimento degli scatti L. n. 312 del 1980, ex art. 53.
9. In relazione al motivo relativo alla violazione dell’art. 112 c.p.c., occorre ribadire che la domanda avente ad oggetto il riconoscimento degli scatti biennali di anzianità previsti dalla L. n. 312 del 1980, art. 53 costituisce domanda diversa ed autonoma rispetto a quella avente ad oggetto la progressione stipendiale derivante dall’anzianità di servizio nella stessa misura prevista dal CCNL per i dipendenti a tempo indeterminato, in applicazione del principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’accordo quadro, allegato alla direttiva 99/70/CE del 28 giugno 1999 (Cass. n. 26108 del 02/11/2017);
10. la Corte territoriale ha argomentato nella motivazione che in primo grado la parte aveva proposto una domanda avente ad oggetto il riconoscimento degli incrementi stipendiali previsti dal CCNL, sicchè il Tribunale aveva riconosciuto un diritto diverso da quello richiesto, ma che tale domanda non era stata richiamata nè riproposta in secondo grado, con conseguente preclusione del relativo esame;
11. il ricorso per cassazione (così come la memoria) non censura utilmente tale affermazione, in quanto ribadisce il contenuto del ricorso introduttivo già rilevato dal giudice di secondo grado, ma non contesta la sua affermazione in ordine all’intervenuta preclusione processuale, non riferendo di avere coltivato tale domanda anche in appello, come richiesto dall’art. 346 cod. proc. civ., nè tantomeno di avere ivi impugnato la sentenza di primo grado là dove aveva accolto una domanda diversa da quella proposta;
12. questa Corte ha chiarito in proposito che l’appellato che ha visto accogliere nel giudizio di primo grado la sua domanda principale è tenuto, per non incorrere nella presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 cod. proc. civ., a riproporre espressamente la domanda subordinata non esaminata dal primo giudice, in qualsiasi forma indicativa della volontà di sottoporre la relativa questione al giudice d’appello, non potendo quest’ultima rivivere per il solo fatto che la domanda principale sia stata respinta dal giudice dell’impugnazione (v. Cass. n. 7457 del 14/04/2015, Cass. n. 24124 del 28/11/2016, v. anche Cass. Sez. U, n. 11799 del 12/05/2017, che ha ribadito che nel caso è sufficiente la mera riproposizione, essendo richiesto l’appello incidentale solo quando vi sia stato da parte del primo giudice un rigetto, implicito od esplicito);
13. tale principio è stato richiamato anche con riguardo alle controversie soggette al rito del lavoro, precisandosi che a tale fine la costituzione dell’appellato dev’essere tempestiva ai sensi dell’art. 436 c.p.c. (v. Cass. n. 18901 del 07/09/2007, Cass. n. 12644 del 08/07/2004);
14. deve quindi ritenersi che nel caso la domanda avente ad oggetto il diritto agli incrementi stipendiali in applicazione del principio di non discriminazione non sia stata devoluta alla cognizione del giudice di secondo grado, e la censura formulata sotto il profilo della violazione dell’art. 112 c.p.c. risulta conseguentemente infondata;
15. per tali motivi, condividendo il Collegio la proposta del relatore notificata ex art. 380 bis c.p.c., il ricorso, manifestamente infondato, va rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.
16. La novità e la complessità della questione, diversamente risolta dalle Corti territoriali e soltanto dopo il deposito del ricorso dalla Corte di legittimità, giustificano la compensazione delle spese del giudizio.
17. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018