LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
G.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NAZARIO SAURO 16, presso lo studio dell’avvocato REHO STEFANIA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PISTILLI MASSIMO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1300/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 07/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/07/2018 dal Consigliere Dott.ssa GHINOY PAOLA.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Civitavecchia, rigettava la domanda proposta da G.E. che, sul presupposto di avere lavorato per vari anni alle dipendenze del Ministero dell’istruzione, Università e ricerca, inserita nella graduatoria del personale ATA, in forza di numerosi contratti a tempo determinato a partire dall’anno scolastico 2005-2006 e fino all’anno scolastico 2008-2009, chiedeva la dichiarazione di illegittimità dell’apposizione del termine e la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato e/o il risarcimento del danno.
La Corte d’appello a fondamento del rigetto riteneva non configurabile la dedotta abusiva reiterazione dei contratti a termine, in quanto si era trattato di assunzioni su posti di organico di diritto di durata non superiore a 36 mesi ovvero di assunzioni per la copertura di posti in organico di fatto con termine al 30 giugno, nè la parte ricorrente aveva dedotto nè tantomeno dimostrato un uso improprio o distorto del potere di macro organizzazione delegato dal legislatore al Ministero in ordine alla ricognizione dei posti e delle concrete esigenze del servizio, nè aveva allegato circostanze che consentissero di ritenere permanenti e durature le esigenze di copertura dei posti di fatto disponibili.
3. Per la cassazione della sentenza G.E. ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, ed ha depositato anche memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2;
4. il MIUR ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. a fondamento del primo motivo la ricorrente deduce la violazione della normativa nazionale ed europea e sostiene che l’avvenuta immissione in ruolo non farebbe venir meno il diritto al risarcimento del danno;
2. come secondo motivo lamenta che le conseguenze dell’abuso dovrebbero comportare il diritto al risarcimento del danno.
3. come terzo motivo lamenta che la Corte d’appello abbia ritenuto che dovesse essere il lavoratore a dimostrare di avere subito un danno;
4. come quarto motivo deduce che il regime delle spese adottato dalla Corte territoriale avrebbe violato il dettato degli artt. 91 e 92 c.p.c., in quanto la compensazione delle spese sarebbe stata disposta malgrado la soccombenza virtuale dell’amministrazione, determinata dalla ritenuta abusiva reiterazione.
5. Il ricorso è inammissibile nei suoi primi tre motivi, che difettano di pertinenza rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata: la Corte d’appello ha infatti ritenuto che nel caso non fosse sussistente l’abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato, mentre le censure attengono solo alla questione delle conseguenze dell’abusiva reiterazione, non oggetto della sentenza gravata.
6. L’inammissibilità riguarda anche il quarto motivo, che muove anch’esso dall’errato presupposto che il giudice di merito abbia ritenuto abusiva la reiterazione dei contratti a tempo determinato.
7. Il Collegio, condividendo la proposta del relatore, ritiene quindi che il ricorso risulti inammissibile ex art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1, e debba in tal senso essere deciso con ordinanza in camera di consiglio.
8. La regolamentazione delle spese processuali segue la soccombenza.
9. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018