LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. BERNAZZANI Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI N. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
DISAMA di R.B. e C. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, R.B. e F.K.M., tutte rappresentate e difese, per procura in calce al controricorso, dagli Avv.ti LENZETTI Carlo, MARCUCCETTI Nicola e ANTONINI Claudio ed elettivamente domiciliate presso lo studio di quest’ultimo in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI N. 57;
– controricorrenti –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana n. 85/9/10, depositata il 12.11.2010.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17 gennaio 2018 dal relatore Cons. Dott.ssa CRUCITTI Roberta.
RILEVATO
che:
nella controversia originata dall’impugnazione da parte della Disama di R.B. & C. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, di avviso di accertamento relativo ad iva e irap anno 2003 e da parte delle socie R.B. e F.K.M. dei conseguenziali avvisi di accertamento relativi ad irpef stessa annualità, l’Agenzia delle entrate propone ricorso, su due motivi, avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Toscana (d’ora in poi C.T.R.), rigettandone l’appello, aveva confermato la decisione di primo grado che, riuniti i ricorsi, li aveva accolti, annullando gli atti impositivi;
il Giudice di appello così argomentava la decisione: la Commissione… rilevato che la contabilità dell’azienda in esame era regolarmente tenuta, vista la prova dell’atto di affitto, ritiene che l’ufficio affidando l’accertamento alla sola valutazione del ricarico accertato per l’anno 2005, non abbia adempiuto al compito affidato dalla legge, aggravato dal fatto che vi è stata mera trasposizione delle risultanze, peraltro coerenti con lo studio di settore, all’anno 2003, senza operare alcun ulteriore riscontro a supporto del proprio operato e in presenza di una categoria merceologica (saponeria) diversa da quella presa a riferimento;
le contribuenti resistono con controricorso con il quale, preliminarmente, eccepiscono la carenza di interesse dell’Agenzia delle entrate al ricorso proposto nei confronti della Società e della socia F., per essersi le stesse avvalse della procedura di sanatoria fiscale offerta dal D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12 convertito nella L. n. 111 del 2011 con pagamento delle somme dovute;
il ricorso è stato fissato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.
il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto Dott. Basile Tommaso, ha depositato le sue conclusioni chiedendo l’inammissibilità e, in subordine, il rigetto del ricorso;
le controricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO
che:
preliminarmente vanno rigettate le preliminari eccezioni sollevate dalle controricorrenti;
il ricorso, invero, non va incontro alla sanzione di inammissibilità alla luce dei principi sanciti da questa Corte (cfr. Cass. n. 18363 del 18/09/2015) secondo cui “in tema di ricorso per cassazione, la tecnica di redazione mediante integrale riproduzione di una serie di documenti si traduce in un’esposizione dei fatti non sommaria, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, e comporta un mascheramento dei dati effettivamente rilevanti, tanto da risolversi in un difetto di autosufficienza, sicchè è sanzionabile con l’inammissibilità, a meno che il coacervo dei documenti integralmente riprodotti, essendo facilmente individuabile ed isolabile, possa essere separato ed espunto dall’atto processuale, la cui autosufficienza, una volta resi conformi al principio di sinteticità il contenuto e le dimensioni globali, dovrà essere valutata in base agli ordinari criteri ed in relazione ai singoli motivi”;
nel caso in esame, invero, la redazione del ricorso mediante la tecnica di assemblaggio di una serie di documenti è limitata alla sola parte relativa all’illustrazione dei fatti processuali mentre i singoli motivi di impugnazione appaiono sufficientemente specifici;
non appare meritevole di accoglimento neppure l’altra preliminare eccezione, svolta in controricorso, secondo cui il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della Società e della socia F.K.M. andrebbe dichiarato inammissibile per difetto di interesse, per essersi le suddette contribuenti avvalse della procedura di definizione delle liti pendenti di cui al D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, convertito nella L. n. 111 del 2011;
l’eccezione è, invero, carente in autosufficienza laddove, pur dandosi atto della proposizione dell’istanza e del pagamento di quanto dovuto, nulla si specifica (neppure nella successiva memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1) in ordine all’esito della richiesta di adesione alla procedura di definizione;
rigettate, pertanto, le eccezioni preliminari i due motivi di ricorso (prospettanti il primo il vizio di motivazione insufficiente ed il secondo violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54,artt. 2697 e 2729 cod. civ.) sono fondati;
la C.T.R., infatti, non ha fatto corretta applicazione della normativa di riferimento come interpretata da questa Corte la quale ha, costantemente, affermato il principio per cui (Sentenza n. 15038 del 02/07/2014) “la prova presuntiva dei maggiori ricavi, idonea a fondare l’accertamento con il metodo analitico-induttivo di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), può essere desunta da una condotta commerciale anomala (nella specie, ravvisata nella drastica riduzione della percentuale di ricarico normalmente applicata nell’anno precedente e in quello successivo, senza che tale anomalia gestionale fosse giustificata da fenomeni di contingenza economica, determinati da calo della domanda, difficoltà negli approvvigionamenti od esigenze di smaltimento di magazzino) del contribuente” (v. Cass. n. 15038 del 02/07/2014);
detti principi risultano, anche di recente, ribaditi, specificandosi che “in tema di accertamento analitico induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), le percentuali di ricarico, accertate con riferimento ad un determinato anno fiscale, costituiscono validi elementi indiziari, da utilizzare secondo i criteri di razionalità e prudenza, per ricostruire i dati corrispondenti relativi ad anni precedenti o successivi, atteso che, in base all’esperienza, non si tratta di una variabile occasionale, per cui incombe sul contribuente, anche in virtù del principio di vicinanza della prova, l’onere di dimostrare i mutamenti del mercato o della propria attività che possano giustificare in altri periodi l’applicazione di percentuali diverse” (Cass. n. 27330 del 29/12/2016) e, con specifico riguardo all’IVA che “la circostanza che un’impresa commerciale dichiari, per più annualità, un volume di affari sensibilmente inferiore agli acquisti ed applichi modestissime percentuali di ricarico sulla merce venduta costituisce una condotta anomala, di per sè sufficiente a giustificare, da parte dell’Amministrazione, una rettifica della dichiarazione, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, sicchè il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve spiegare le ragioni che giustifichino il comportamento del contribuente con validi argomenti, che non possono esaurirsi nella mera libertà di impresa riguardo alla propria politica commerciale”(Cass. n. 14370 del 09/06/2017);
nel caso in esame, il Giudice di appello ha errato in diritto, laddove non tenendo conto di tutte le circostanze, in fatto, esposte dalla parte pubblica (quali, tra le altre, le irregolarità nella contabilità di magazzino e il procedimento ricostruttivo dei ricavi come effettuato dai verificatori) e rendendo, conseguenzialmente, una motivazione insufficiente (onde la fondatezza del primo motivo) ha poi, discostandosi dai principi sopra illustrati, ritenuto che fosse onere dell’Ufficio trovare riscontri al proprio operato;
in conclusione, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al Giudice di merito il quale provvederà al riesame (ivi compreso l’accertamento in ordine all’avvenuta eventuale definizione della lite da parte della Società e di F.K.M.), adeguandosi ai principi sopra illustrati, e regolerà le spese di questo giudizio.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 gennaio 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018