Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.26380 del 19/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

SANT LUIS Calzature s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA SCROFA N. 64 presso lo studio dell’Avv. CELLAMARE Vincenzo e rappresentata e difesa per procura in calce al ricorso dagli Avv.ti ZUNARELLI Stefano e DEL FEDERICO Lorenzo;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI N. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione distaccata di Pescara, n. 347/10/11, depositata in data 1 giugno 2012;

Udita la relazione delle causa svolta nella Camera di consiglio del 17 gennaio 2018 dal relatore Cons. Dott.ssa CRUCITTI Roberta.

RILEVATO

che:

Sant Luis Calzature s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, impugnò il provvedimento con il quale l’Agenzia delle Entrate le aveva negato, per l’esaurimento delle risorse finanziarie disponibili, il nulla osta alla fruizione del credito d’imposta concesso ai sensi della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 280-283;

in particolare, la Società, con il ricorso, eccepì, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 185 del 2008, art. 29,convertito nella L. n. 2 del 2009 che aveva modificato, con efficacia retroattiva, la normativa di riferimento, prevedendo, per gli anni 2008-2011, uno stanziamento fisso nel bilancio dello Stato, entro il quale quei crediti avrebbero trovato copertura, stabilendo che le somme stanziate sarebbero state attribuite agli aventi diritto secondo un criterio meramente temporale, privilegiandosi coloro che per primi, a decorrere dal 6 maggio 2008, avessero inoltrato il formulario di prenotazione tramite invio telematico;

la Commissione tributaria provinciale accolse il ricorso ma la decisione, impugnata dall’Agenzia delle entrate, è stata integralmente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo che, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la legittimità del provvedimento di diniego;

avverso la sentenza la Società propone ricorso su sei motivi;

l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;

il ricorso è stato fissato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197;

il P.G. ha depositato le sue conclusioni chiedendo il rigetto del ricorso; la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 1.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si reitera l’eccezione di illegittimità costituzionale del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 29, commi 2 e 3, convertito in L. 28 gennaio 2009, n. 2, per violazione degli artt. 3,41,97 e 177 Cost.;

con il secondo motivo si denuncia la sentenza impugnata di motivazione illogica e contraddittoria laddove la C.T.R. – pur affermando che la contribuente avesse tutti i requisiti richiesti per usufruire del credito di imposta e che, pertanto, fosse titolare del relativo diritto – aveva poi ritenuto legittimo il diniego che di tale diritto negava completamente l’esercizio;

con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 3 laddove la C.T.R. aveva ritenuto che non esistesse un divieto costituzionale all’efficacia retroattiva della norma;

con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2 e dei principi comunitari in tema di legittimo affidamento laddove la C.T.R. aveva affermato che il legittimo affidamento non sarebbe invocabile con riferimento alle norme giuridiche, non potendo tale principio porre alcun vincolo alla potestà legislativa;

le censure – esaminate congiuntamente siccome vertenti sulla stessa questione, e rilevata, da subito, l’inammissibilità del secondo motivo laddove il vizio motivazionale di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve, pur sempre, attenere ad un “fatto” storico e normativo (v. tra le altre Cass. n. 2805/2011), mentre con il mezzo si censurano le valutazioni in diritto effettuate dal Giudice di appello – sono infondate;

in ordine al primo motivo, infatti, va, rilevato che, in ordine all’asserito contrasto della suddetta normativa con gli artt. 41,97, e 117 Cost., questa Corte si è già espressa con l’ordinanza n. 3576 del 2015 dichiarando la questione non manifestamente fondata, con motivazione che il Collegio condivide e alla quale si riporta integralmente; mentre in relazione al contrasto con l’art. 3 Cost. è intervenuta, di recente, a seguito di rimessione ad opera anche di questa Corte (Cass. ord. n. 3576 del 2015 cit.), la Corte Costituzionale la quale, con sentenza n. 149 del 2017, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale in merito al D.L. n. 185 del 2008, art. 29, comma 1, e inammissibile in merito al comma 2 dello stesso articolo;

in particolare, in riferimento alla prima questione, la Corte Costituzionale ha ritenuto che “la disposizione censurata abbia una “”causa” normativa adeguata” (sentenze n. 203 del 2016, n. 34 del 2015 e n. 92 del 2013), perchè trova giustificazione nei “principi, diritti e beni di rilievo costituzionale” (sentenze n. 308, n. 170 e n. 103 del 2013, n. 264 e n. 78 del 2012) tutelati dagli artt. 2,3 e 81 Cost.. Essa poi, sempre alla luce delle sue finalità e del contesto economico che ne ha visto la genesi, non viola i principi di ragionevolezza e proporzionalità” e che la mancanza di un tetto massimo per la fruibilità dei crediti di imposta giustificasse un intervento anche retroattivo per salvaguardare le finanze statali; inoltre, gli ulteriori interventi normativi, di cui alla L. n. 191 del 2009 per tutelare le posizioni dei titolari di crediti “perdenti” avevano salvaguardato il rispetto dei principi di ragionevolezza e proporzionalità dell’intera disciplina;

in merito alla seconda questione, relativa al contrasto del D.L. 185 del 2008, art. 29, comma 2, lett. a) e comma 3 con l’art. 3 Cost., la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione perchè un eventuale accoglimento della stessa determinerebbe un nuovo assetto normativo “caratterizzato da iniquità e irragionevolezza” in quanto nel frattempo il legislatore è intervenuto con la legge n.191 del 2009 per salvaguardare, almeno in parte, la posizione dei “perdenti” cosicchè la dichiarazione di illegittimità della normativa del 2008 farebbe perdere ai “vincitori” il beneficio ottenuto, senza che gli stessi possano essere recuperati ai sensi della legge n.191 del 2009, dato che i finanziamenti da essa previsti sono riservati ai soli “perdenti” della prima procedura;

alla luce dei principi espressi dalla Corte Costituzionale nella sopra citata sentenza n.149 del 2007 sono infondate anche le censura formulate con il terzo ed il quarto motivo;

con riferimento alla questione introdotta con il terzo motivo la Corte Costituzionale ha, infatti, affermato che un intervento normativo anche retroattivo, incidente su diritti perfetti, non è necessariamente incostituzionale, purchè risponda a criteri di razionalità, di salvaguardia di altri valori costituzionali, e di proporzionalità e ha rilevato che, nella specie, l’intervento era necessario per tutelare altri sopravvenuti interessi pubblici di rilievo costituzionale, quale la tutela dell’equilibrio del bilancio dello Stato, e, che nel necessario bilanciamento degli interessi in gioco quest’ultimo elemento non rende illegittima la normativa sopravvenuta nel 2008;

con riferimento, invece, alla questione introdotta con il quarto motivo la stessa Corte Costituzionale ha affermato che “il valore del legittimo affidamento non esclude che il legislatore possa assumere disposizioni che modifichino in senso sfavorevole agli interessati la disciplina dei rapporti giuridici anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, ma esige che ciò avvenga alla condizione che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica. Solo in presenza di posizioni giuridiche non adeguatamente consolidate, dunque, ovvero in seguito alla sopravvenienza di interessi pubblici che esigano interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente su di esse, ma sempre nei limiti di proporzionalità della proporzionalità dell’incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti, è consentito alla legge di intervenire in senso sfavorevole su assetti regolatori precedentemente definiti” (cfr. Corte Cost. n. 149/2017, paragrafo 9 del “considerato”);

in sintesi, la Corte costituzionale ha ritenuto che l’intervento retroattivo del legislatore possa incidere sull’affidamento dei cittadini al verificarsi di determinate condizione, nella specie tutti sussistenti in quanto l’intervento normativo in questione era giustificato per la necessità di mantenere il bilancio dello Stato nel rispetto dei parametri approvati anche in sede europea, con la possibilità, al contempo, di creare disponibilità finanziarie per rilanciare l’economia e tutelare i lavoratori e le famiglie a fronte di una situazione di eccezionale crisi internazionale generalizzata;

va, peraltro, rilevato che – per quanto possa rilevare nella misura in cui la materia sia regolata da norme eurounitarie – che anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, occupandosi del concetto di legittimo affidamento, ha affermato che lo stesso, per quanto sia un principio fondamentale dell’ordinamento dell’Unione non si traduce nella aspettativa di intangibilità di una normativa, in particolare in settori in cui è necessario, e di conseguenza ragionevolmente prevedibile, che le norme in vigore vengano continuamente adeguate alle variazioni della congiuntura economica (Corte Giust. Sentenza del 23.11.1999, in C-149/96) e che di conseguenza, gli operatori economici non possono fare legittimamente affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle istituzioni comunitarie (v. sentenza 15 luglio 1982, causa 245/81 Edekam race 1982 pag.2745, punto 27; sentenza 28 ottobre 1982, causa 52/81, Faust, race 1987, 3745, punto 27; sentenza 17 giugno 1987, cause riunite 424 e 425/85, Frico, Race, 1979, pag. 2755, punto 33) (v. Corte di Giustizia caso C-350/88);

nella specie, appare sufficiente rammentare che il D.L. n. 158 del 2008 venne dettato, come sopra già evidenziato per fronteggiare l’eccezionale situazione di crisi economica venutasi a creare a livello internazionale e per consentire allo Stato italiano di rispettare gli impegni sui parametri economici connaturati all’appartenenza all’Unione europea e che, peraltro, lo Stato con il successivo intervento della L. n. 191 del 2009 è, comunque, intervenuto a regolare le situazioni che si erano verificate a detrimento dei cosiddetti “perdenti” nella procedura di cui al D.L. 185 del 2008;

con il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, nonchè della L. n. 241 del 1990, art. 3 laddove la C.T.R. aveva ritenuto motivato il provvedimento di diniego;

la censura è infondata a fronte della motivazione fornita sul punto dal Giudice di appello (ovvero che il diniego illustrava le ragioni per cui il credito di imposta non veniva concesso e cioè l’esaurimento delle risorse mentre era chiaro che il diniego si riferiva a tutte le somme stanziate fino al 2011) in adesione all’orientamento di questa Corte la quale ha ritenuto, in tema di motivazione degli atti, che è sufficiente l’indicazione degli elementi che permettano di controllare la legittimità della procedura cui esso si riferisce (v. tra le altre Cass. 11466/2011 con riferimento al ruolo ed alla cartella);

infine, con il sesto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2 nonchè della L. n. 2417 del 1990, art. 21 octies laddove la C.T.R. aveva ritenuto che il provvedimento impugnato non necessitava dell’indicazione del responsabile del procedimento;

la censura è infondata avendo il Giudice di appello, anche su tale questione, correttamente applicato la normativa di riferimento come interpretata da questa Corte;

nella materia, infatti, le Sezioni unite di questa Corte, con sentenza n. 11722 del 14/05/2010 hanno affermato il principio (costantemente seguito, anche di recente, v. ord. n. 11856 del 12/05/2017) secondo cui “l’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell’Amministrazione finanziaria non è richiesta, dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 (c.d. Statuto del contribuente), a pena di nullità, in quanto tale sanzione è stata introdotta per le sole cartelle di pagamento dal D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 4-ter, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2008, n. 31, applicabile soltanto alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008”;

mentre, con riferimento all’asserita violazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 octies, introdotto con la L. 11 febbraio 2005, n. 15, art. 14, comma) va ribadito il principio già espresso (Sez. 5, Sentenza n. 3754 del 2013), secondo cui in base a tale norma, la cui ratio va ravvisata nell’intento di sanare, con efficacia retroattiva, tutti gli eventuali vizi procedimentali non influenti sul diritto di difesa, va esclusa l’annullabilità di un provvedimento di natura vincolata, per la violazione delle norme del procedimento, in ragione dell’inidoneità dell’intervento dei soggetti, ai quali è riconosciuto un interesse, ad interferire sul suo contenuto (cfr. Cass. SU 14878 del 2009);

conclusivamente, il ricorso va rigettato con compensazione integrale tra le parti delle spese processuali, attesa la novità, rispetto alla proposizione del ricorso, dell’intervento della Corte Costituzionale.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Compensa integralmente tra le parti le spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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