LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A. Piera – rel. Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
B.S., rappresentato e difeso dall’avv. TESAURO Francesco, con domicilio eletto in ROMA, VIA FLAMINIA, N. 785, presso lo studio dell’avv. ADORNATO Valentina;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, alla VIA PORTOGHESI N. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende come per legge;
– resistente –
avverso la sentenza n. 183/34/10 della Commissione Tributaria regionale della Lombardia depositata il 18/11/2010.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 16/1/2018 dal Consigliere Dott.ssa CONDELLO Pasqualina Anna Piera;
udito il difensore della parte ricorrente, avv. ADORNATO Valentina, per delega dell’avv. TESAURO Francesco;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VITIELLO Mauro, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Il contribuente B.S. proponeva tre ricorsi, successivamente riuniti, avverso gli avvisi di accertamento ai fini Iva, Irpef, Irap, Addizionali Provinciali e Comunali, relativi agli anni di imposta 2004, 2005 e 2006, con i quali erano stati accertati maggiori redditi derivanti da presunta attività professionale e da proventi da fabbricati, deducendo che dal contratto di lavoro concluso con la struttura di Ostetricia e Ginecologia del Presidio Ospedaliero di ***** emergeva che egli aveva optato per l’esercizio della libera professione “intra moenia”, per cui i proventi derivanti da detta attività dovevano considerarsi redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente; non contestava i maggiori redditi derivanti dalla locazione dei fabbricati.
L’Ufficio faceva presente che a seguito di accesso presso lo studio privato del contribuente era stato rilevato che la agenda degli appuntamenti rinvenuta mancava di alcune pagine, in quanto strappate, per cui erano stati acquisiti gli estratti del conto corrente ed erano state richieste giustificazioni al contribuente di tutte le movimentazioni risultanti dal conto corrente.
La Commissione Tributaria provinciale respingeva il ricorso con riferimento al maggior reddito derivante dalla locazione degli immobili e lo accoglieva per il resto, compensando le spese di lite.
Avverso la sentenza proponeva appello il contribuente relativamente alle spese del giudizio, mentre l’Ufficio proponeva appello incidentale, sostenendo che la produzione del contratto di lavoro non dimostrava che il contribuente non esercitasse la professione medica e che, a fronte della presunzione legale derivante dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, il B. non aveva giustificato parte delle movimentazioni bancarie attive e passive risultanti dai conti correnti bancari.
La Commissione Tributaria regionale accoglieva l’appello incidentale dell’Ufficio sul presupposto che il contratto di lavoro non fosse idoneo a provare che il contribuente non avesse di fatto esercitato la libera professione autonomamente ed evidenziava che correttamente l’Ufficio aveva effettuato l’accertamento in base alle movimentazioni bancarie risultanti dal conto corrente senza che il contribuente avesse offerto prove atte a vincere la presunzione legale.
Avverso la sentenza di appello B.S. propone ricorso per cassazione affidandosi a nove motivi di ricorso.
La Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione.
B.S. ha depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente va rilevato che il contribuente, con la memoria ex art. 378 cod. proc. civ., alla quale è stata allegata documentazione, ha evidenziato che la Agenzia delle Entrate, successivamente alla introduzione del presente giudizio, in data 9 luglio 2013, accogliendo parzialmente la prima istanza di annullamento in autotutela dallo stesso proposta, ha riconosciuto l’estraneità alla attività professionale di alcuni versamenti e prelievi, per un valore complessivo di Euro 218.363,54 per l’anno di imposta 2005 e di Euro 9.635,30 per l’anno di imposta 2006.
1.1. In particolare, come emerge dal provvedimento di annullamento allegato alla memoria ex art. 378 cod. proc. civ., l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto giustificati e quindi non rilevanti ai fini della determinazione del reddito i seguenti versamenti:
a) Euro 59.154,23, Euro 24.142,81 ed Euro 6000,00, avendo riconosciuto che si tratta di accrediti provenienti dal disinvestimento di prodotti finanziari;
b) Euro 15.493,00 ed Euro 10.482,45, avendo riconosciuto che si tratta di accrediti provenienti dal disinvestimento di titoli;
c) Euro 12.276,11, avendo rilevato che si tratta di “assegno Axa Assicurazioni” emesso a favore del contribuente.
Ha inoltre rilevato che altri accrediti (per l’importo di Euro 864,19, Euro 130,00 ed Euro 2.000,00) sono stati contabilizzati due volte.
1.2. In data 6.12.2013 la Agenzia delle Entrate, in accoglimento parziale di altra istanza di annullamento in autotutela, ha riconosciuto la estraneità alla attività professionale del contribuente di un prelevamento di Euro 147.000,00, in quanto riconducibile all’acquisto di un immobile sito in *****.
1.3. In data 3 dicembre 2015 l’Agenzia, in conformità alla sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 6 ottobre 2014 – con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, come modificato dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 402, lett. a), n. 1) limitatamente alle parole “compensi” – ha emesso un terzo provvedimento di annullamento in autotutela, riconoscendo che erano estranee alla attività professionale del contribuente le operazioni di prelievo, che andavano, pertanto, stralciate dalla ripresa a tassazione.
1.4. L’Agenzia delle Entrate, quindi, all’esito della adozione dei provvedimenti di autotutela, ha liquidato le imposte residue rimaste a carico del contribuente, ammontanti ad Euro 9.885,00 per l’anno di imposta 2004, ad Euro 12.840,00 per l’anno di imposta 2005 ed ad Euro 10.077,00 per l’anno di imposta 2006 (si veda prospetto riepilogativo predisposto dall’Ufficio con il provvedimento di autotutela del 3.12.05) ed ha altresì rideterminato le sanzioni irrogate per ciascun anno di imposta.
2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, dell’art. 2697 cod. civ., della L. 30 dicembre 199, n. 412, art. 4, comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.
Il ricorrente ha dedotto che, poichè nel giudizio di merito era controverso se egli avesse svolto o meno, negli anni di imposta in contestazione, attività di lavoro autonomo, il giudice di appello avrebbe dovuto verificare se l’Ufficio avesse fornito prova di tale circostanza, decisiva ai fini del decidere, derivando da essa l’applicabilità della presunzione legale relativa, prevista, a carico di imprenditori e lavoratori autonomi, dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2; ha inoltre evidenziato che la C.T.R., invertendo la regola di distribuzione dell’onere della prova, ha accolto l’appello incidentale proposto dalla Amministrazione come se fosse onere del contribuente dimostrare di non avere svolto tale attività.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. La C.T.R., riformando la sentenza di primo grado, ha accolto l’appello incidentale proposto dalla Agenzia delle Entrate, ritenendo che il contratto di lavoro prodotto non fosse idoneo a provare che il contribuente non aveva di fatto esercitato la libera professione autonomamente ed ha pure motivato che “l’ufficio peraltro ha correttamente effettuato l’accertamento in base alle movimentazioni bancarie risultanti dal conto corrente del contribuente a partire dal periodo in cui era emerso il reddito prodotto fuori dall’attività ospedaliera senza che il contribuente, per alcune operazioni, avesse dimostrato, per vincere la presunzione legale, il rapporto sottostante…”.
2.3. Con l’avviso di accertamento impugnato l’Ufficio ha provveduto a recuperare a tassazione una serie di movimenti, versamenti e prelevamenti, risultanti sul conto corrente intestato al contribuente, considerandoli “compensi” conseguiti dalla attività libero professionale, così come era previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, al momento della pronuncia della sentenza impugnata (18.11.10) che, in relazione ai rapporti ed alle operazioni bancarie, stabiliva che “sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e semprechè non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni”.
Con sentenza n. 228 del 2014 la Corte Costituzionale ha però dichiarato la illegittimità costituzionale del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 402, lett. a), n. 1), limitatamente alle parole “o compensi”, ritenendo che la presunzione prevista da tale disposizione normativa, con riferimento ai compensi percepiti dai lavoratori autonomi, fosse “lesiva del principio di ragionevolezza nonchè della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito”.
Per effetto di tale pronuncia “non è più proponibile l’equiparazione logica tra attività d’impresa e attività professionale fatta, ai fini della presunzione posta dall’art. 32, dalla giurisprudenza di legittimità per le annualità anteriori” (Cass. n. 23041 del 11/11/2015), in quanto è venuta meno la presunzione di imputazione dei prelevamenti operati sui conti correnti bancari ai ricavi conseguiti nella attività dal lavoratore autonomo o dal professionista intellettuale, che la richiamata disposizione poneva, con la conseguenza che si è spostato sulla Amministrazione finanziaria l’onere di provare che i prelevamenti ingiustificati dal conto corrente bancario e non annotati nelle scritture contabili siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi.
Con riguardo, invece, ai versamenti effettuati da lavoratori autonomi o da liberi professionisti sui propri conti correnti resta la presunzione legale posta dall’art. 32 citato a favore dell’Erario, con la conseguenza che spetta al contribuente fornire la prova contraria, ossia dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, e quindi, indicando in modo specifico in relazione ad ogni versamento bancario come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (Cass. n. 18081 del 4/8/10; n. 3628 del 10/2/17).
2.4. Nel caso di specie il giudice di appello non è incorso nelle violazioni denunciate, in quanto ha correttamente ritenuto che era onere del contribuente, in relazione ai versamenti emergenti dal conto corrente, a norma dell’art. 32 citato, fornire adeguata prova di avere tenuto conto di tali importi nella propria dichiarazione dei redditi e che la produzione del contratto di lavoro, di per sè, non costituisse elemento sufficiente a provare che il contribuente non avesse esercitato attività da libero professionista.
3. Con il secondo motivo si censura la sentenza per “insufficiente e/o contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – in subordine alla ritenuta qualifica del ricorrente quale “lavoratore autonomo” (fatto controverso decisivo per il giudizio) nei confronti del quale sarebbe inutilizzabile la presunzione legale D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, comma 1, nn. 2 e 7".
Il ricorrente lamenta che il giudice di appello, con motivazione sintetica, facendo riferimento ad un “reddito prodotto fuori dalla attività ospedaliera” e partendo dal presupposto che i versamenti ed i prelevamenti operati sul conto corrente equivalgono a compensi per effetto della presunzione legale relativa derivante dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, ha desunto dalle stesse movimentazioni bancarie lo svolgimento di attività di lavoro autonomo, senza indicare i movimenti bancari dai quali avrebbe ricavato la prova dello svolgimento di tale attività.
4. Con il terzo motivo si deduce “omessa e/o insufficiente motivazione della sentenza – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in ordine alla fondatezza dell’appello ed in ordine alla prova contraria (fatto controverso decisivo per il giudizio) offerta dal contribuente a fronte della presunzione legale relativa D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, comma 1, nn. 2 e 7 applicata dall’Ufficio impositore ai prelevamenti effettuati dal contribuente”.
Il ricorrente si duole del fatto che la C.T.R. non ha spiegato le ragioni per cui le prove dallo stesso offerte non sono state ritenute idonee a superare la presunzione legale relativa e non ha preso in esame la documentazione prodotta nel corso del giudizio.
4.1. Il secondo ed il terzo motivo che, per evidenti motivi di connessione, possono essere trattati congiuntamente, sono fondati.
4.2. La Commissione Tributaria regionale ha affermato: “L’ufficio ha correttamente effettuato l’accertamento in base alle movimentazioni bancarie risultanti dal conto corrente del contribuente a partire dal periodo in cui era emerso il reddito prodotto fuori dall’attività ospedaliera senza che il contribuente, per alcune operazioni, avesse dimostrato, per vincere la presunzione legale, il rapporto sottostante”.
La motivazione resa dai giudici di merito sul punto si appalesa insufficiente poichè non contiene alcun concreto riferimento agli elementi considerati che consenta di apprezzare la congruenza delle valutazioni espresse ed il percorso logico seguito per giungere ad esse.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte ricorre il vizio di insufficiente motivazione ove il giudice non indichi gli elementi dai quali ha tratto il proprio convincimento ovvero il criterio logico e la ratio decidendi che lo ha guidato. Il giudice deve, infatti, delineare il percorso logico seguito, individuando gli elementi determinanti che lo hanno condotto alla decisione adottata ed escludendo, attraverso adeguata critica, la rilevanza di ogni altro elemento esterno al percorso logico seguito, astrattamente idoneo a delineare conseguenze divergenti dalla adottata decisione (Cass. 12/11/1997 n. 11198).
Tale onere non risulta nella specie in alcuna misura assolto, poichè, a fronte delle contestazioni sollevate dal contribuente ed alla documentazione da questi prodotta al fine di giustificare le singole movimentazioni bancarie, la Commissione Tributaria regionale non ha spiegato nè le ragioni per cui l’appello dell’Ufficio ha meritato accoglimento, nè i motivi per cui le prove documentali offerte dal contribuente non fossero da sole sufficienti a vincere la presunzione legale relativa D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo; il giudice di appello neppure ha indicato le singole operazioni in ordine alle quali il contribuente non avrebbe assolto l’onere probatorio, omettendo in tal modo di indicare gli elementi posti a base delle conclusioni raggiunte.
5. Con il quarto motivo si denuncia “violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – omessa pronuncia in ordine alla rilevanza probatoria della documentazione, prodotta dal contribuente, relativa alle movimentazioni bancarie oggetto di contestazione”.
Il contribuente ha ribadito che sin dalla fase precontenziosa ha prodotto numerosi documenti atti a giustificare i movimenti del conto corrente bancario, idonei ad integrare la prova contraria richiesta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32,comma 1, n. 2, ed ha ritrascritto le argomentazioni svolte nel ricorso di primo grado in relazione a ciascun anno di imposta in contestazione, lamentando che la Commissione Tributaria regionale ha omesso di pronunciarsi con specifico riguardo alla prova contraria offerta.
5.1. Il motivo è infondato.
5.2. Il giudice di appello, sebbene con motivazione insufficiente, si è espresso in ordine alla prova contraria offerta dal contribuente, ritenendola inidonea a vincere la presunzione legale relativa, sicchè non è ravvisabile il dedotto vizio di omessa pronuncia.
Infatti, il vizio di omessa pronuncia ricorre ove manchi qualsivoglia statuizione su un capo della domanda o su una eccezione di parte, così dando luogo alla inesistenza di una decisione sul punto della controversia, per la mancanza di un provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto (Cass. n. 7472 del 23/03/2017).
6. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia “omessa motivazione circa la denunciata discordanza, negli avvisi di accertamento, tra i totali e le singole componenti (art. 360 c.p.c., n. 5). Omessa pronuncia (art. 112 cod. proc. civ.), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.
Il ricorrente ha dedotto che con il ricorso di primo grado aveva eccepito che gli avvisi di accertamento emessi non erano motivati, “in quanto non erano chiari i presupposti di fatto a sostegno della pretesa fiscale”, e che il giudice di appello ha omesso di esaminare tale motivo di ricorso che era stato accolto in primo grado.
6.1. Il motivo è inammissibile.
6.2. Va rilevato che il motivo è plurimo, in quanto da un lato si lamenta un error in procedendo e, dall’altro, contemporaneamente, si propone una censura per vizio motivazionale.
Come è stato osservato da questa Corte la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, è inammissibile in quanto non è consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello dell’extrapetizione e della omessa motivazione.
La extra petizione si risolve infatti nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ed integra un difetto nell’attività del giudice di secondo grado, mentre l’omessa motivazione presuppone che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa (Cass. n. 19443 del 2011).
Peraltro, il motivo in esame, così come formulato, non permette di cogliere con chiarezza le diverse doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9100 del 06/05/2015).
7. Con il sesto motivo si censura la sentenza impugnata per violazione (per extrapetizione) del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, evidenziando che nell’atto di appello l’Ufficio, facendo riferimento allo svolgimento della procedura di accertamento con adesione, avvenuta dopo l’emanazione degli avvisi di accertamento, aveva indicato i movimenti bancari per i quali aveva ritenuto validi i documenti prodotti dal contribuente e quelli non ritenuti validi e che la Commissione Tributaria regionale, confermando l’accertamento, aveva invece riconosciuto la fondatezza del maggior reddito accertato presuntivamente anche con riguardo ad importi per i quali l’Ufficio aveva ritenuto giustificate le movimentazioni bancarie.
8. Con il settimo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 perchè sono stati considerati redditi del ricorrente anche gli importi degli assegni emessi dal coniuge del ricorrente, nonchè vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” e si lamenta che la sentenza impugnata, omettendo di dare rilievo al fatto che il conto corrente esaminato era cointestato, è carente di motivazione nella parte in cui imputa al contribuente i movimenti bancari posti in essere dal coniuge.
8.1. Il sesto ed il settimo motivo, in ragione dell’accoglimento del secondo e del terzo motivo, restano assorbiti.
9. Con l’ottavo motivo il ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui è previsto che, per vincere la presunzione derivante dai prelevamenti, è sufficiente l’indicazione del beneficiario”, sottolineando che la C.T.R. ha erroneamente interpretato la disposizione normativa richiamata nella rubrica, non avendo ritenuto sufficiente, per superare la presunzione legale relativa, la produzione di assegni recanti la chiara indicazione dei beneficiari.
9.1. Il motivo è inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse del ricorrente, avendo l’Amministrazione finanziaria adottato provvedimento di annullamento in autotutela con il quale le operazioni di prelievo dal conto corrente sono state stralciate dalla ripresa a tassazione.
10. Con il nono motivo il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 12(cumulo giuridico delle sanzioni in caso di violazioni di obblighi relativi a più tributi e continuazione), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
10.1. Anche il nono motivo, in considerazione dell’accoglimento del secondo e del terzo motivo, deve ritenersi assorbito.
11. In conclusione, devono essere accolti il secondo ed il terzo motivo, assorbiti il sesto, il settimo ed il nono motivo, e vanno dichiarati inammissibili il quinto e l’ottavo motivo e rigettati il primo ed il quarto motivo; la sentenza va quindi cassata con rinvio alla Commissione Tributaria della Lombardia, in diversa composizione, per il riesame, nonchè per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo, assorbiti il sesto, il settimo ed il nono motivo, dichiara inammissibili il quinto e l’ottavo motivo e rigetta il primo ed il quarto motivo; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione Tributaria della Lombardia, in diversa composizione, anche in ordine alle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 gennaio 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018