Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.26399 del 19/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. Piera – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.

– ricorrente –

contro

H.C.Z., rappresentata e difesa dall’avv. CASTELLANI Ilaria, con domicilio eletto in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II, presso lo studio legale Grez & Associati Srl.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 20382/2015 della Corte Suprema di Cassazione di Roma, depositata il 9/10/2015.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 16 gennaio 2018 dal Consigliere Dott. GUIDA Riccardo;

udito l’Avvocato dello Stato Dott. DETTORI Bruno;

udito l’Avvocato CASTELLANI Ilaria;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VITIELLO Mauro, che ha concluso chiedendo la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, con un unico motivo, cui resiste, con controricorso, la contribuente, per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione indicata in epigrafe, che ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’Ufficio avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana n. 89/24/2013.

Quest’ultima, confermando la sentenza di primo grado, aveva annullato un avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2005, emesso prima del decorso del termine dilatorio di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, di 60 giorni dalla consegna al contribuente del verbale di chiusura delle operazioni di verifica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La ricorrente si duole che questa Corte, nella sentenza impugnata, sia incorsa in un errore di fatto, rientrante nella previsione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, per avere fondato il proprio convincimento supponendo l’inesistenza di un fatto – ossia l’omessa precisazione, da parte dell’Ufficio, nel ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello, circa il se ed in quali termini fosse stato dedotto, da un lato, che l’avviso di accertamento per il 2005 si basava sui medesimi elementi indicativi di reddito su cui poggiavano gli accertamenti per i due anni precedenti, e, dall’altro, che i dati comunicati dalla Guardia di Finanza erano richiamati solo a ulteriore sostegno del medesimo avviso (aspetti che, nella sentenza revocanda, sono elencati, rispettivamente, con le lett. e), f) – la cui esistenza risultava dagli atti e, segnatamente, dal ricorso per cassazione dell’amministrazione finanziaria.

1.1. Il motivo è inammissibile.

E’ il caso di rammentare che, secondo il consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte, in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, l’errore revocatorio è configurabile nelle ipotesi in cui il giudice di legittimità sia incorso in un errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti – con i caratteri dell’evidenza e dell’obiettività, sì da non richiedere lo sviluppo di argomentazioni induttive o di indagini – e tale da avere condotto il giudice a fondare la valutazione della vicenda sostanziale sulla supposta inesistenza (o esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (o escluso) nella realtà del processo, che, se invece fosse stato esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente percepiti, risolvendosi questa ben diversamente in preteso errore di giudizio della Corte, insuscettibile di formare oggetto di ricorso per revocazione (cfr., ex multis, Cass. 6/07/2016, n. 13756).

Costituisce ius receptum che: “In tema di revocazione della sentenza della Corte di cassazione, la configurabilità dell’errore revocatorio presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità degli errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione. Ne consegue l’impossibilità di configurare errore revocatorio nel giudizio espresso dalla sentenza di legittimità impugnata sulla violazione del principio di autosufficienza in ordine ad uno dei motivi di ricorso, per omessa indicazione e trascrizione dei documenti non ammessi dal giudice d’appello.” (Cass. 31/08/2017, n. 20635).

Riportando al caso in esame il principio appena richiamato, è chiaro che, in realtà, seguendo la prospettazione dell’Agenzia ricorrente, la sentenza revocanda sarebbe viziata da un errore di diritto, e non da un errore percettivo circa l’esistenza o inesistenza di un fatto – accertato o escluso nella realtà processuale -, avendo essa dichiarato l’inammissibilità dell’unico motivo di ricorso (concernente la violazione di legge), per carenza di autosufficienza.

Testualmente la sentenza afferma che: “Il motivo del ricorso è inammissibile perchè la denuncia di violazione di legge ivi formulata presuppone l’accertamento di circostanze di fatto, indicate nei punti e) ed f) della narrativa che precede, le quali non emergono dalla sentenza gravata e che la ricorrente non precisa – come necessario per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – se, e in quali termini fossero state dedotte nel giudizio di merito” (p. pag. 3 della sentenza della Cassazione).

In definitiva, si è fatto valere, in modo inammissibile, un errore di diritto in relazione all’apprezzamento, da parte della sentenza revocanda, della carenza del requisito dell’autosufficienza dell’unico motivo di ricorso per cassazione che, per quanto sopra stabilito, è estraneo all’area dell’errore revocatorio.

2. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

3. Le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso;

Condanna la ricorrente a pagare alla controricorrente le spese processuali che liquida in Euro 4.000,00 a titolo di compenso, oltre al 15% a titolo di rimborso forfetario delle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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