Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.26400 del 19/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. Piera – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

P.G., C.F., elettivamente domiciliati in ROMA, presso lo studio dell’Avv.to SCARTOZZI Gino, che li rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 102/11/2010 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 13.9.2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16.1.2018 dal Consigliere Dott.ssa DELL’ORFANO ANTONELLA;

uditi per la ricorrente l’Avvocato SCARTOZZI Gino e l’Avvocato dello Stato DETTORI Bruno per la controricorrente;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VITIELLO Mauro che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso principale.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 13.9.2010 la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di C.F. e P.G. avverso la sentenza n. 79/09/2008 della Commissione Tributaria Provinciale di Varese, che aveva accolto il ricorso proposto da questi ultimi avverso il diniego di autotutela, emesso il 31.10.2006, con riguardo a richiesta di annullamento di avvisi di accertamento IRPEF ed ILOR, annualità 1988 e 1991, e conseguenti iscrizioni a ruolo ed ipotecarie, già oggetto di ricorso respinto dalla Commissione Tributaria Provinciale di Varese con sentenza, definitiva, n. 229/13/01.

Avverso la sentenza della CTR hanno proposto ricorso per cassazione C.F. e P.G., affidato ad otto motivi.

Con un primo motivo hanno denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo, atteso che nella prima veniva accolto l’appello e confermata la sentenza impugnata, nel secondo veniva unicamente accolto l’appello.

Con un secondo ed un terzo motivo hanno denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.M. n. 37 del 1997, art. 2, comma 2, degli artt. 23,53,97 Cost., e della L. n. 212 del 2000, art. 10, avendo la CTR erroneamente ritenuto che non fosse possibile impugnare il rifiuto dell’amministrazione finanziaria dell’istanza di autotutela, ritirando un atto impositivo divenuto definitivo.

Con un quarto motivo hanno denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 e della L. n. 448 del 2001, art. 12, comma 2, per avere la CTR erroneamente affermato che il rifiuto della richiesta di autotutela non poteva essere oggetto di ricorso perchè non compreso tra gli atti previsti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19.

Con un quinto motivo hanno denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la “contraddittoria e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, laddove la CTR aveva confermato la sentenza impugnata accogliendo, tuttavia, al contempo l’appello.

Con un sesto motivo hanno denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la “contraddittoria e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, laddove la CTR aveva affermato da una parte che al contribuente non era consentito impugnare il rifiuto dell’Amministrazione Finanziaria di istanza dell’autotutela, ritirando un atto impositivo divenuto definitivo, e dall’altro che il ricorso all’autotutela era previsto dalla normativa, che consentiva all’Amministrazione Finanziaria di annullare un atto impositivo divenuto definitivo.

Con un settimo motivo hanno denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la “contraddittoria e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, per avere la CTR erroneamente affermato da una parte che al contribuente non era consentito impugnare il rifiuto dell’Amministrazione Finanziaria di istanza dell’autotutela, ritirando un atto impositivo divenuto definitivo, e dall’altra che il rifiuto della richiesta di autotutela non poteva essere oggetto di ricorso perchè non compreso tra gli atti previsti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19.

Con un ottavo motivo hanno denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa o insufficiente motivazione da parte della CTR circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (l'”annullamento dell’atto presupposto rispetto agli atti consequenziali”).

L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso, deducendo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso principale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo ed il quinto motivo di ricorso, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono infondati.

2. Deve, infatti, qualificarsi come errore materiale che non dà luogo a nullità della sentenza, ma trova rimedio nel procedimento di correzione al di fuori del sistema delle impugnazioni – e come tale si distingue sia dall’error in iudicando deducibile ex art. 360 c.p.c. sia dall’errore di fatto revocatorio ex art. 395 c.p.c., n. 4 – quello che si risolve in una fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale cagionata da mera svista o disattenzione nelle redazione della sentenza e come tale percepibile e rilevabile ictu oculi, senza bisogno di alcuna attività ricostruttiva del pensiero del Giudice il cui contenuto resta individuabile ed individuato senza incertezza (cfr. ex plurimis Cass. n. 24841/2014, 10129/1999).

2.1. In applicazione di tale principio deve ritenersi pertanto integrare, nel caso di specie, un mero errore materiale il contrasto tra motivazione e dispositivo della sentenza impugnata laddove la censura si riferisce all’incongruenza tra la motivazione della sentenza impugnata, nella quale la CTR afferma di accogliere l’appello dell’Ufficio “confermando la decisione impugnata”, e la statuizione del dispositivo, che si limita ad accogliere l’appello dell’Ufficio; contrariamente a quanto mostra di ritenere il ricorrente, nella specie non sussiste, invero, contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo, entrambi tesi ad accogliere il gravame, sussistendo unicamente un’anomalia nella motivazione relativa all’aggiunta dell’inciso “confermando la sentenza impugnata”, palesemente riconducibile a mero lapsus calami.

3. I rimanenti motivi, il cui esame può essere effettuato unitariamente in quanto strettamente connessi, sono infondati.

4. Come illustrato in premessa, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (Ctr) ha riformato la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso dei contribuenti avverso il rigetto dell’istanza di autotutela volta a ottenere l’annullamento di avvisi di accertamento per IRPEF ed ILOR sul presupposto dell’intervenuto annullamento degli atti che avevano dato origine agli avvisi di accertamento; la CTR, andando di contrario avviso, ha ritenuto che ai contribuenti non fosse consentito impugnare il rifiuto dell’Amministrazione Finanziaria dell’istanza di autotutela, ritirando un atto impositivo divenuto definitivo per mancata impugnazione della sentenza emessa con riguardo agli avvisi di accertamento.

4.1. Orbene, secondo la giurisprudenza della Corte (cfr. Cass. S.U. 3698/2009; conf. Cass. n. 3442/2015; n. 25524/2014; 1457/2010) il ricorso avverso il diniego di autotutela opposto dal Fisco è certamente ammissibile, ma il sindacato sullo stesso può esercitarsi, nelle forme ammesse sugli atti discrezionali, soltanto sulla legittimità del rifiuto e non sulla fondatezza della pretesa tributaria.

4.2. Il contribuente, pertanto, non può limitarsi a dedurre eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa a seguito della sua intervenuta definitività, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto; ciò in quanto non è dato al Giudice tributario di invadere la sfera discrezionale collegata ed esercitata dalla Pubblica amministrazione nell’esercizio del potere di annullamento dell’atto amministrativo in autotutela, pena il superamento dei limiti esterni della giurisdizione medesima.

4.3. Ne consegue che non possa ritenersi che tale potere di annullamento dell’atto in autotutela costituisca un mezzo di tutela del contribuente, sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non siano stati esperiti, poichè nel giudizio instaurato contro il rifiuto di esercizio di autotutela può esercitarsi, invero, un sindacato solo sulla legittimità di rifiuto e non sulla fondatezza della pretesa tributaria.

4.4. Stando a questo quadro di indirizzo va pertanto esente da censure la sentenza impugnata, avendo la CTR ritenuto che il diniego di autotutela opposto dall’amministrazione al ricorrente non fosse da essa sindacabile, presupponendo, la valutazione della legittimità del rifiuto opposto dall’Ufficio dell’esercizio del potere di autotutela tributaria, la mancata formazione di un giudicato (circostanza che non ricorre nel presente caso), non potendo, invece, quel potere tradursi nell’elusione o nella violazione del giudicato eventualmente formatosi sull’atto viziato.

5. Non può trovare, infine, accoglimento l’eccezione di inammissibilità del motivo, ex art. 360 bis c.p.c., sollevata dalla controricorrente Agenzia, in considerazione dell’epoca in cui si è consolidata la giurisprudenza, successiva alla notifica del ricorso in esame.

6. In conclusione, il ricorso va rigettato.

7. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo sulla base dei parametri contemplati dal D.M. n. 55 del 2014, tenendo conto della natura e del valore della controversia, della qualità e quantità delle questioni trattate e dell’attività complessivamente svolta dai difensori.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso proposto da P.G. e C.F. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate; condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore dell’Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, in data 16 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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