Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.26408 del 19/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n.7584/2012 R.G. proposto da:

Induplast S.p.A., in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dall’avv. Stefano Zunarelli e dall’avv. Lorenzo del Federico, con domicilio eletto in Roma, via della Scrofa n. 64, presso lo studio dell’avv. Vincenzo Cellamare – Studio Legale Zunarelli e Associati;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

Agenzia delle Entrate, Centro Operativo di Pescara, in persona del direttore pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, n.832/10/11, pronunciata il 25/05/2011, depositata il 29/08/2011 e non notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/2/2018 dal Consigliere Dott. Andreina Giudicepietro.

RILEVATO IN FATTO

1. la Induplast S.p.A. ricorre con sei motivi contro l’Agenzia delle Entrate ed il Centro Operativo di Pescara della Agenzia delle Entrate, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe emessa dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, n. 832/10/11, pronunciata il 25/05/2011, depositata il 29/08/2011 e non notificata, concernente l’impugnativa del diniego di nulla-osta alla fruizione del credito di imposta per spese di ricerca e sviluppo previsto dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 281 e 284, successivamente modificato dal D.L. n. 185 del 2008, art. 29 convertito nella L. n. 2 del 2009;

2. con la suddetta impugnativa la società odierna ricorrente ha dedotto l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 185 del 2008, art. 29 convertito nella L. n. 2 del 2009, e la conseguente violazione degli artt. 3,41,97 e 117 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè la contraddittorietà ed illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 3, commi 1 e 2, art. 7, commi 1 e 2 (Statuto del contribuente), oltre alla nullità dell’atto di diniego del nulla osta per vizi suoi propri;

3. la presente fattispecie trae origine dalla disposizione della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 281-284, che ha previsto la possibilità per le imprese di ottenere un credito di imposta, a fronte del sostenimento di spese per attività di ricerca e sviluppo, volte alla innovazione del prodotto;

4. tale credito di imposta doveva essere indicato nella dichiarazione dei redditi ed era fruibile in relazione al periodo di imposta in cui le spese di attività di ricerca e sviluppo erano state sostenute, senza alcun limite di importo;

5. successivamente il D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 29 ha stabilito dei limiti finanziari al credito di imposta per gli anni 2008, 2009, 2010 e 2011 e, per i soggetti che avevano avviato attività di ricerca prima del 29-11-2008, ha introdotto un meccanismo di “prenotazione” per la fruizione del credito di imposta per via telematica, mediante l’invio di un formulario contenente la pianificazione scelta e l’importo delle spese agevolabili da sostenere;

6. in attuazione della normativa sopra citata, la Induplast S.p.A., avendo sopportato costi per un credito di imposta pari ad Euro 44.257,00 per il 2008 e di Euro 22.800,00 per il 2009, il 6-5-2009 ha inviato il formulario ed il 15-6-2009 ha ricevuto la comunicazione del Centro Operativo di Pescara relativa al “diniego del nulla osta alla fruizione del credito di ricerca e sviluppo”;

7. contro tale provvedimento di diniego, la Induplast S.p.A. ha proposto ricorso presso la C.T.P. di Pescara, che lo ha rigettato;

6. la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, sezione distaccata di Pescara, con la sentenza oggetto della presente impugnazione, a sua volta ha rigettato l’appello della società contribuente;

7. a seguito del ricorso della Induplast S.p.A., l’Agenzia delle Entrate, si costituisce con controricorso, replicando al ricorso;

8. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 15 febbraio 2018, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;

9. la società ricorrente ha depositato memorie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Il primo motivo di ricorso, col quale la ricorrente si duole dell’illegittimità costituzionale del D.L. n. 185 del 2008, art. 1, commi 281-284, convertito nella L. n. 2 del 2009, e della conseguente violazione degli artt. 3,41,97 e 117 Cost.ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è infondato.

Con tale motivo la ricorrente deduce la violazione del principio di uguaglianza (poichè imprese in situazione identiche erano state trattate irragionevolmente in maniera diversa, attraverso il meccanismo della “corsa” alla prenotazione, senza rispetto dei “diritti quesiti” di coloro che avevano iniziato le attività prima del 29-11-2008, data di entrata in vigore del decreto legge), nonchè la violazione della libertà dell’iniziativa economica di impresa e della libera concorrenza ai sensi degli artt. 41,97 e 117 Cost.

1.2. Di recente la Corte Costituzionale, investita dell’identica questione su fattispecie analoga, con sentenza n.149/2017 ha dichiarato inammissibile, in relazione al parametro di cui all’art. 3 Cost., la questione relativa alla peculiare modalità telematica per la fruibilità del credito di imposta ed infondata quella relativa alla tutela dell’affidamento. In particolare, la Corte Costituzionale ha ribadito, in conformità con il suo precedente orientamento (C.Cost. sent. n. 236/2014), che non è ravvisabile la violazione del principio dell’affidamento, tutelato dall’art. 3 Cost., quando l’intervento retroattivo del legislatore, che incide sull’affidamento dei cittadini, trovi giustificazione in principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, dunque abbia una causa normativa adeguata, e sia comunque rispettoso del principio di ragionevolezza inteso, anche, come proporzionalità. In altri termini, il principio dell’affidamento è sottoposto al normale bilanciamento proprio di tutti i diritti e valori costituzionali. E proprio attraverso il bilanciamento dei diversi valori, la Corte Costituzionale perviene alla conclusione che la disposizione censurata ha una “causa normativa adeguata” e non viola i principi di ragionevolezza e proporzionalità. Ed invero, la disposizione censurata viene ad introdurre un tetto massimo di spesa per le agevolazioni previste dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 281 – 284, del tutto in linea con la previsione dell’art. 81 Cost. Inoltre, la norma è introdotta con il “decreto anticrisi”, intitolato “Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale”, volto a “fronteggiare l’eccezionale situazione di crisi internazionale” e “potenziare le misure fiscali e finanziarie occorrenti per garantire il rispetto degli obiettivi fissati dal programma di stabilità e crescita approvato in sede Europea” (così il preambolo al D.L. n. 185 del 2008). Infine, a ciò si aggiunga che, a seguito dei successivi interventi normativi, gli stanziamenti previsti hanno permesso la copertura di circa metà (47,53 per cento) dell’importo complessivo dei crediti insoddisfatti, in tal modo mitigando il pregiudizio del contribuente. Tali considerazioni, ampiamente esplicitate nella sentenza della Corte Costituzionale e già contenute “in nuce” nella motivazione della sentenza del giudice di appello, consentono di superare la questione della pretesa illegittimità costituzionale D.L. n. 185 del 2008, art. 29 in relazione all’art. 3 Cost. e valgono a giustificare la compressione della tutela dell’affidamento al fine di garantire, con il rispetto del principio di copertura della spesa pubblica, una maggiore stabilità economica in tempo di crisi.

1.3. Alla luce della sentenza della Corte Costituzionale, appare infondata anche la censura del D.L. n. 185 del 2008, art. 29, comma 2, lett. a) e comma 3, per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui, anche per i crediti d’imposta relativi ad attività di ricerca avviate prima del 29 novembre 2008, la norma prevede una procedura di ammissione al beneficio basata sul criterio cronologico di ricezione delle domande telematiche dei contribuenti. La Corte Costituzionale sul punto ha ritenuto l’inammissibilità della censura, evidenziando che un eventuale suo accoglimento determinerebbe un assetto normativo caratterizzato da iniquità e irragionevolezza, poichè coloro che sono risultati vincitori nella procedura telematica, non solo perderebbero il beneficio ottenuto, ma non potrebbero neanche concorrere alla distribuzione del successivo finanziamento previsto dalla L. n. 191 del 2009, art. 2, comma 236, finanziamento che è riservato ai “perdenti”. A ciò si aggiunga che un criterio di priorità temporale delle domande di ammissione al credito, nonostante l’elevato numero dei concorrenti e la velocità dei meccanismi di trasmissione informatica, non appare di per sè irrazionale ed ingiustificato (anzi, la scelta dello strumento informatico si rende necessaria proprio per garantire un parametro oggettivo di priorità, in considerazione dell’elevato numero delle domande).

1.4. Quanto alla denunciata violazione degli artt. 97 e 117 Cost., questa Corte ritiene di poter condividere quanto già espresso nell’ordinanza n. 3576/2015 dalla 6^ sezione civile della Cassazione, che ha ritenuto inammissibile per manifesta infondatezza la relativa questione, poichè “la disposizione in esame non impinge in alcun modo sull’imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione”. In particolare, non appare convincente la censura della ricorrente in relazione all’art. 117 Cost., evocato nella parte in cui assoggetta la potestà legislativa statale ai “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”, tra i quali il vincolo di tutela della concorrenza, poichè la disposizione in esame non pregiudica in alcun modo la libertà di concorrenza. Anche con riferimento al parametro dell’art. 117 Cost., quindi, il sospetto di illegittimità costituzionale sollevato dalla ricorrente appare manifestamente infondato.

1.5. Nè, secondo quanto già rilevato dalla Corte nella ordinanza citata, si ravvisa la violazione dell’art. 41 Cost. Va ricordato che i crediti d’imposta originariamente riconosciuti andavano a coprire il 10 per cento dei costi delle attività di ricerca, cosicchè l’ablazione retroattiva nei confronti dei soggetti non ammessi al beneficio fiscale è stata del solo 5 per cento circa dei costi sostenuti: il venir meno di tale posta non può, dunque, aver avuto una incidenza decisiva sul complessivo andamento economico delle imprese e non costituisce un’illegittima compressione della libertà di iniziativa economica privata, come correttamente ritenuto dal giudice di appello.

2.1. Il secondo motivo di ricorso, relativo alla contraddittorietà della motivazione del provvedimento impugnato, che, pur riconoscendo un vero e proprio diritto soggettivo in capo alla ricorrente, ne ammette la soppressione, sia pure parziale, da parte delle leggi posteriori al suo sorgere, è infondato per le stesse motivazioni che hanno portato al rigetto del motivo di ricorso precedente.

2.2. E’ il caso di rilevare che il motivo è al limite dell’ammissibilità, poichè, essendo stata depositata la sentenza della C.T.R. in data 29/8/2011, alla fattispecie in esame si applica l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella versione ante 2012, secondo cui per “fatto decisivo e controverso” deve intendersi un fatto storico, e non una valutazione giuridica, cui sembra rivolta la censura in esame.

Comunque, la doglianza è infondata, poichè la sentenza del giudice di appello motiva in maniera chiara ed esauriente, sia sulla legittimità costituzionale della disciplina introdotta con il D.L. n. 185 del 2008, art. 29 sia sul bilanciamento dei diversi interessi costituzionalmente protetti, che è alla base del ridimensionamento dell’agevolazione riconosciuta con la L. n. 296 del 2006 entro un tetto massimo di spesa. Deve, quindi, ritenersi che la motivazione della C.T.R. dell’Abruzzo sia in sè coerente ed in linea con quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza.

3.1. Il terzo motivo (violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 3 che esclude l’efficacia retroattiva delle norme tributarie) involge la questione della valenza delle norme contenute nella L. n. 212 del 2000 (cd. Statuto del contribuente).

3.2. Il motivo è infondato.

3.3. Ed invero, “le disposizioni dello statuto del contribuente, che costituiscono meri criteri guida per il giudice, in sede di applicazione ed interpretazione delle norme tributarie, anche anteriormente vigenti, per risolvere eventuali dubbi ermeneutici, non hanno, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria, con la conseguenza che esse non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, nè consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse” (da ultimo Cass. ord. n. 20812/17). Deve, quindi, riconoscersi che una legge ordinaria, come quella in esame, possa derogare ai principi espressi nello Statuto del contribuente, a meno che essi non coincidano con principi costituzionali, la cui tutela non si sottrae, come già detto, al bilanciamento tra i diversi valori tutelati dalla Costituzione e tra loro confliggenti.

Sul punto è sufficiente riportarsi a quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella sopra citata sentenza n. 149 del 2017, laddove il giudice delle leggi ha affermato che un intervento normativo, anche retroattivo, incidente su diritti perfetti, non è necessariamente incostituzionale, se trova giustificazione nella sopravvenuta esigenza di tutela di altri interessi pubblici di rilievo costituzionale.

Per quanto fin qui detto, deve riconoscersi al legislatore la possibilità di intervenire con una legge successiva, limitando i diritti riconosciuti in precedenza, qualora ciò sia necessario per un equo bilanciamento dei diversi valori costituzionalmente protetti.

4.1. Con il quarto motivo, la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10,comma 2, e dei principi comunitari in tema di legittimo affidamento, principio riferibile, non solo all’attività amministrativa, ma anche a quella legislativa.

4.2. Il motivo è infondato.

4.3. La Corte Costituzionale, infatti, nella citata sentenza n. 149/2017, ha riconosciuto che nel caso in esame l’intervento normativo, che aveva inciso sui diritti precedentemente riconosciuti, era giustificato dalla necessità di mantenere il bilancio dello stato nel rispetto dei parametri Europei ed era finalizzato al rilancio dell’economia a fronte di una situazione eccezionale di crisi.

Per quanto la CTR abbia fornito un’interpretazione del principio di legittimo affidamento più restrittiva di quella ammessa dalla stessa Corte Costituzionale e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea interpretazione secondo la quale il principio non opera in relazione agli atti del legislatore, ma solo riguardo all’amministrazione, mentre, al contrario, il giudice delle leggi nazionale e la Corte di Giustizia ritengono che il principio coinvolga anche l’esercizio della funzione legislativa – tuttavia l’imprecisione diventa irrilevante nell’economia complessiva del giudizio, in quanto non solo la Corte Costituzionale, come sopra evidenziato, ma anche la stessa Corte di Giustizia, in qualche occasione, ha ammesso che l’applicazione del principio possa flettersi di fronte ad interventi legislativi in presenza situazioni particolari e a determinate condizioni.

Quest’ultima, in particolare, si è già occupata della definizione del concetto di legittimo affidamento, ed ha affermato che, per quanto lo stesso sia un principio fondamentale dell’ordinamento dell’Unione, non si traduce nella aspettativa di intangibilità di una normativa, in particolare in settori in cui è necessario, e di conseguenza ragionevolmente prevedibile, che le norme in vigore vengano continuamente adeguate alle variazioni della congiuntura economica. (Corte Giust., sentenza del 23.11.1999 nella causa C-149/96).

5.1. Anche il quinto motivo (violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1 e L. n. 241 del 1990, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), relativo alla pretesa nullità del diniego del nulla osta per la carenza di motivazione, è infondato.

5.2. Invero, il diniego di nulla osta, che non si basi sulla negazione del diritto all’agevolazione, non ha sostanzialmente la natura di avviso di accertamento, sicchè l’atto non deve avere una motivazione simile a quella prevista da specifiche disposizioni di legge per gli atti costituenti esercizio della potestà impositiva (Cass. n. 8998/14). Nel caso di specie, come già rilevato dal giudice di appello, il provvedimento di diniego era idoneo a fornire tutte le indicazioni necessarie a chiarire i motivi per cui non veniva concessa l’autorizzazione alla fruizione del credito di imposta. In particolare, il provvedimento spiegava che il nulla osta alla fruizione del credito di imposta veniva negato per l’esaurimento delle risorse finanziarie; inoltre recava l’indicazione del giorno e dell’ora di ricezione del formulario al COP, che consentiva all’interessato il controllo sull’ordine di arrivo della domanda, quale condizione di accoglimento della stessa.

6.1. Infine è infondato il sesto motivo di impugnazione, con cui la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2 nonchè della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto non è indicato il responsabile del procedimento.

6.2. Invero, la L. n. 241, art. 21 octies del dapprima introduce il principio generale della sanzione della nullità in ogni caso di violazione di legge, eccesso di potere o incompetenza; successivamente introduce il temperamento alla regola generale, ossia il principio che consente di non ritenere più annullabile l’atto che abbia raggiunto il suo scopo, nonostante il vizio formale.

Nella recente giurisprudenza di questa Corte sembra predominante il principio volto a sostenere che in presenza di un vizio formale o procedimentale, il giudice tributario debba pronunciare l’annullamento dell’atto, senza poter proseguire nell’esame del merito, ma solo ed unicamente se alla violazione della norma, procedimentale o sostanziale tributaria, sia ricollegata specificamente dal legislatore la nullità (Cass. sent. n. 18448/2015).

Quindi non si applica L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, comma 1 ad ogni vizio dell’atto tributario ma, solo ed esclusivamente, nel caso in cui sia espressamente prevista la nullità quale conseguenza della violazione.

Sul punto, la C.T.R. correttamente rileva che la L. n. 212 del 2000, art. 7 prevede la sanzione della nullità in relazione alle sole cartelle di pagamento, riferite a ruoli consegnati agli agenti della riscossione a partire dal 1 giugno 2008.

Inoltre, anche a voler ritenere applicabile la L. n. 241 del 1990, art. 21 octies al caso di specie, correttamente la Commissione Regionale ha rilevato che la procedura è stata gestita da un elaboratore elettronico, sicchè non esisteva alcun procedimento nel cui ambito il contribuente avrebbe potuto interloquire. Come evidenziato dal giudice di appello, nel caso in esame il diniego di nulla osta, dipendendo unicamente dalla mancanza di risorse finanziarie e dall’ordine cronologico di arrivo della domanda, assume la natura di un provvedimento vincolato, per il quale è esclusa la possibilità di annullamento ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies in assenza di discrezionalità della pubblica amministrazione.

7.1. Sussistono giusti motivi, in relazione alla complessità delle questioni trattate, che hanno dato origine ai riportati contrasti giurisprudenziali, per compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese tra le parti.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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