Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.26415 del 19/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B.T., rappresentato e difeso, per procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. BRIGUGLIO Eugenio, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO, N. 146, presso lo studio dell’Avv. MOCCI Ernesto;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui uffici in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI, N. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria di secondo grado di Bolzano n. 23/01/2010, depositata in data 15 febbraio 2010;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 aprile 2018 dal Consigliere Dott. TRISCARI Giancarlo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

B.T. ricorre con otto motivi per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria di secondo grado di Bolzano con la quale è stato rigettato l’appello proposto dal medesimo contribuente avverso la sentenza della Commissione tributaria di primo grado di Bolzano.

Il giudice di appello ha premesso, in punto di fatto, che: il contribuente aveva impugnato l’avviso di accertamento con il quale, sulla base della verifica fiscale compiuta dalla Guardia di Finanza, era stato contestato, per l’anno di imposta 2004, l’omessa presentazione del modello Unico persone fisiche e l’omesso versamento di imposte Iva, Irpef, Irap, addizionale regionale e comunale e contributi Inps, in relazione all’attività svolta dalla ditta Internetpoint, di cui il contribuente era risultato mero prestanome di Ba.Ar.; l’impugnazione era stata proposta sostenendo l’illegittimità dell’atto impugnato e la propria non responsabilità come interposto fittizio; l’ufficio aveva eccepito la fondatezza della pretesa, precisando di avere proceduto alla contestazione in base al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, commi 3 e 4; la Commissione tributaria provinciale di Bolzano aveva rigettato il ricorso, avendo ritenuto non fittizia ma reale l’interposizione; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello il contribuente, nel contraddittorio con l’Agenzia delle entrate, per vizio di ultrapetizione e, in subordine, in considerazione della sussistenza di una situazione di interposizione fittizia da cui derivava l’illegittimità dell’atto impugnato.

La Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano ha rigettato l’appello della società contribuente.

In particolare, in punto di diritto, ha ritenuto che: non sussisteva il contestato vizio di ultrapetizione, avendo il giudice pronunciato nei limiti del thema decidendum delineato dagli atti difensivi delle parti; era stata correttamente applicata, al caso di specie, la previsione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, commi 3 e 4, posto che essa non escludeva la responsabilità dell’interposto nel pagamento delle imposte non pagate da questi ovvero dall’interponente; nel merito, ha ritenuto che sussistevano fatti idonei a ritenere che il contribuente avesse partecipato attivamente all’evasione fiscale, in quanto solo apparentemente interposto; ha precisato che, pur non essendo ravvisabile una situazione di interposizione fittizia, in ogni caso una corretta interpretazione delle previsioni normative sopra indicate non poteva comportare una esenzione da responsabilità del contribuente; non era ravvisabile, inoltre, una dichiarazione dei redditi fatta formalmente da un soggetto al posto di un altro, ma un’evasione totale in presenza di un reddito mai dichiarato da alcuno dei soggetti.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso B.T. affidato a otto motivi di censura.

L’Agenzia delle entrate si è costituita depositando controricorso. Parte ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va esaminata l’eccezione di parte ricorrente, sollevata con la memoria, di inammissibilità del controricorso dell’Agenzia delle entrate per mancata notifica, risultando depositato in cancelleria un atto di controricorso non attinente al presente giudizio.

L’eccezione è fondata.

Si evince dal controricorso che lo stesso è stato proposto al fine di contestare il ricorso notificato in data 7 marzo 2011 avverso la sentenza n. 46/02/2010, resa in data 20 luglio 2010 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano.

In realtà, il ricorso in esame risulta notificato in data 21 marzo 2011 ed ha riguardo alla sentenza n. 23/01/2010, resa in data 15 febbraio 2010, sicchè deve rilevarsi che il controricorso non attiene alla presente controversia, con conseguente inammissibilità del medesimo.

Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per vizio di ultrapetizione, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., in quanto non ha tenuto conto che la contestazione di cui all’avviso di accertamento notificato al ricorrente aveva a suo fondamento unicamente la circostanza che questi era soggetto interposto e che, quindi, nei suoi confronti poteva ritenersi sussistente una responsabilità sussidiaria ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, commi 3 e 4.

Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per vizio di ultrapetizione, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., per le stesse ragioni indicate al superiore motivo.

I motivi sono fondati.

Va osservato, in primo luogo, che la pronuncia censurata ha espressamente rilevato che nel proporre appello, il contribuente aveva sollevato, in via principale, il vizio di ultrapetizione della pronuncia di primo grado, sicchè è certo che la questione era stata debitamente prospettata dinanzi al giudice del gravame.

Ciò posto, la pronuncia di secondo grado, così come quella di primo grado, hanno ritenuto sussistente la responsabilità del ricorrente non tanto in applicazione della previsione di cui al D.P.R. n. 600 del 1971, art. 37, commi 3 e 4, ma sulla base di una sua ritenuta consapevolezza dell’evasione fiscale operata dal Ba., soggetto interponente.

In realtà, l’avviso di accertamento (riprodotto testualmente dal ricorrente) che costituisce l’atto con il quale viene fatta valere la pretesa da parte dell’amministrazione, ed in relazione al quale deve essere limitato l’oggetto del giudizio, aveva evidenziato che il B. era semplice prestanome, mentre l’attività della ditta era svolta unicamente dal mai, il quale contattava i terzi e aveva la gestione del conto corrente.

Con il ricorso di primo grado, il B. aveva contestato l’applicabilità della previsione di cui all’art. 37, commi 3 e 4, nei suoi confronti, in quanto la norma non fonda la responsabilità del soggetto interposto, ma ha la finalità di configurare la responsabilità nei confronti del soggetto interponente, e questo era stato il thema decidendum relativo alla controversia in esame.

Sia il giudice di primo grado che quello di secondo grado sono andati oltre tale limite del giudizio, fondando la responsabilità del ricorrente sulla base di fatti non oggetto di contestazione nell’atto di accertamento impugnato, configurando in modo autonomo la responsabilità del B. per una ragione diversa, quella, cioè, della sua consapevolezza e, quindi, della sua partecipazione all’evasione, con conseguente vizio di ultrapetizione, censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

Con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, per avere risolta la questione del vizio di ultrapetizione con una motivazione meramente apparente.

Le considerazioni espresse con riferimento al primo e secondo motivo di ricorso hanno valore assorbente sul presente motivo.

Con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, commi 3 e 4, in quanto la norma in esame non può essere interpretata nel senso che configura una responsabilità sussidiaria nei confronti dell’interposto.

Il motivo è fondato.

La norma in esame ha la finalità di fondare la pretesa nei confronti dell’interponente, ma non dispone in ordine alla correlativa pretesa nei confronti dell’interposto. La norma è coerente con il sistema, in quanto ha la funzione di attribuire l’onere del pagamento delle imposte nei confronti di chi è l’effettivo titolare dei redditi. L’interposto non è soggetto passivo di imposta, in quanto non ha il possesso dei redditi, e ciò è il precipitato del principio di capacità contributiva, oltre che di quanto previsto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 1 (secondo cui il presupposto dell’imposta sui redditi delle persone fisiche è il possesso del reddito). Una previsione normativa che avesse avuto l’intento di aggiungere alla responsabilità dell’interponente anche quella dell’interposto avrebbe dovuto chiaramente esprimere tale volontà legislativa (vedi, ad esempio, in materia di Iva il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60 bis, che aggiunge all’obbligo del cedente anche quello del cessionario).

D’altro lato, il comma 4 ha una funzione di favore nei confronti dell’interposto, nel senso che questi può chiedere il rimborso di quanto versato, pur non essendo tenuto, anche se nei limiti di quanto accertato e recuperato nei confronti dell’interponente.

Sotto tale profilo, la pronuncia in esame, laddove ha ritenuto che l’art. 37 sopra citato non conduce ad escludere la responsabilità dell’interposto non è conforme alla interpretazione della previsione sopra precisata, con conseguente vizio per violazione di legge.

Con il quinto motivo si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per difetto di motivazione, per non avere chiaramente motivazione sulla interpretazione dell’art. 37 in senso sfavorevole al ricorrente.

Con il sesto motivo, si censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non avere indicato sulla base di quali elementi ha ritenuto che nella fattispecie non sussisterebbe una situazione di interposizione fittizia.

Con il settimo motivo si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, commi 1 e 3, in quanto, avendo la pronuncia ritenuto esistente una società di fatto, ha erroneamente assoggettato ad imposizione l’intero reddito, piuttosto che in proporzione alla quota di partecipazione degli utili. Con l’ottavo motivo si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non avere motivato sulle ragioni per le quali ha ritenuto che al ricorrente dovesse essere attribuita utili pari al 100%, avendo nei suoi confronti fatta valere la pretesa per la totalità di quanto accertato. I motivi sopra indicati sono assorbiti per le considerazioni espresse con riferimento al primo, secondo e quarto motivo di ricorso.

In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità del controricorso dell’Agenzia delle entrate, e, nel merito, vanno accolti il primo, secondo e quarto motivo di ricorso, assorbiti gli altri motivi, con conseguente cassazione della sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può decidersi nel merito, con accoglimento dell’originario ricorso di primo grado.

Sussistono giusti motivi per la compensazione dei gradi di merito. Parte controricorrente va condannata al pagamento in favore del ricorrente delle spese di lite del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

Dichiara inammissibile il controricorso.

Accoglie il primo, secondo e quarto motivo di ricorso, assorbiti i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo proposto dal contribuente. Compensa interamente le spese di lite dei giudizi di merito. Condanna parte intimata al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio in favore del ricorrente che si liquidano in Euro 4.000,00 oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Così deciso in Roma, il 23 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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