LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M. G – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici in Roma, VIA DEI PORTOGHESI N. 12, è domiciliata;
– ricorrente –
contro
Olimpia s.r.l., in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv.ti ROVEDA Angela e CAPOREALE Antonio Michele, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SARDEGNA N. 38, presso lo studio di quest’ultimo difensore;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche, n. 9/1/12, depositata in data 24 gennaio 2012;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 luglio 2018 dal Consigliere Dott. TRISCARI Giancarlo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa SANLONRENZO Rita, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito per l’Agenzia delle entrate l’Avvocato dello Stato Dott. DE BONIS Eugenio e per la società l’Avv. ROVEDA Angela.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche con la quale è stato rigettato l’appello da essa proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Pesaro.
Il giudice di appello ha premesso, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle entrate aveva emesso nei confronti della società contribuente un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2004, aveva contestato la indebita deduzione di costi relativi alla fornitura di depliant e materiale pubblicitario da parte della società Promo.Graf. s.r.l. nonchè per prestazioni ricevute dalla Tecnotex di V. M. per l’attività di assistenza e allestimento mostre e per l’acquisto di “listelli di faggio” dalla V. & C. s.a.s.; il suddetto atto impositivo era stato impugnato dalla società contribuente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pesaro che accoglieva il ricorso; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l’Agenzia delle entrate, nel contraddittorio con la contribuente.
La Commissione tributaria regionale delle Marche ha rigettato l’appello.
In particolare, ha ritenuto che: l’atto impositivo era viziato da difetto di motivazione, non essendo in esso indicati gli elementi contestati nè riprodotto il contenuto essenziale degli atti richiamati per relationem consistenti nel p.v.c. redatto a carico di un soggetto diverso e non reso noto alla contribuente; per quanto riguarda la contestazione relativa alla deduzione di costi non deducibili per operazioni inesistenti, gli stessi (sostenuti a favore della ditta Tecnotex di V. a titolo di servizio di manutenzione e assistenza alle mostre cui la contribuente partecipava in varie parti d’Italia) erano inerenti all’attività svolta; sussistevano elementi di prova che la Tecnotex di V. fosse un soggetto esistente, tenuto conto della iscrizione alla Camera di Commercio, dell’inerenza all’oggetto sociale, della presenza di collaboratori esterni e di banche presso cui appoggiare il consistente volume di affari; non risultava, inoltre, allegato il p.v.c. redatto nei confronti della suddetta ditta Tecnotex; circa le fatture di acquisto di listelli di faggio dalla V. s.a.s., le stesse erano regolari e relative a operazioni effettivamente esistenti e inerenti; per quanto riguardava, infine, la contestazione relativa all’acquisto della merce dalla Promo.Graf. s.r.l., era stato accertato, in altro giudizio tra la Promo.Graf. s.r.l. e terza società che aveva con questa avuto rapporti commerciali, che non sussistevano prove sufficienti che la Promo.Graf. s.r.l. fosse una società fittizia; la Promo.Graf. s.r.l. aveva assunto un ruolo di mero tramite con la ditta che aveva effettivamente realizzato il lavoro tipografico e i rapporti commerciali tra la contribuente e la Promo.Graf s.r.l. si erano effettivamente svolti; il mero ruolo di intermediazione non poteva essere noto alla società contribuente che, nella fattispecie, aveva operato in buona fede; non poteva ritenersi eccessivo il numero di cataloghi acquistati dalla società contribuente, tenuto conto del cospicuo impegno economico e della numerosa clientela sia in Italia che all’estero; assumeva rilevanza la sentenza del Tribunale di Pesaro che aveva escluso la responsabilità della legale rappresentante della contribuente nell’utilizzazione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti.
Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate, affidato a tre motivi di censura.
La Olimpia s.r.l., in liquidazione, si è costituita depositando controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio.
In particolare, la ricorrente lamenta che il giudice di appello, pronunciandosi sulla questione del difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, non ha esplicitato l’iter logico seguito al fine di pervenire alla considerazione che lo stesso non riproduceva il contenuto essenziale degli atti in esso richiamati e, inoltre, non ha tenuto conto che nel suddetto atto impositivo erano stati specificamente indicati, per ciascuna delle riprese a tassazione, gli elementi di fatto e di diritto su cui le stesse si fondavano.
In particolare, con riferimento ai costi fittizi relativi a prestazioni ricevute dalla Tecnotex di V., l’avviso di accertamento precisava che la pretesa era da riferirsi a prestazioni inesistenti e con riferimento alle operazioni di acquisto dalla Promo.Graf s.r.l. erano stati specificamente indicati gli elementi di prova emergenti dalla verifica compiuta dall’Ufficio di Roma e trasfusa nella nota del 18 ottobre 2007.
Il motivo è fondato.
Il giudice di appello, nel definire la questione relativa alla motivazione dell’atto di accertamento, ha precisato che doveva rilevarsi, nella fattispecie, che in esso non erano indicati gli elementi contestati nè risultava indicato il contenuto essenziale degli atti, richiamati per relationem, sconosciuti alla contribuente e redatti a carico di terzi soggetti.
Il suddetto percorso argomentativo, tuttavia, è insufficiente, in quanto si limita, genericamente, a dare atto della mancata indicazione dei suddetti elementi essenziali, senza tuttavia dar conto della non rilevanza dei diversi elementi che risultano espressamente indicati nell’avviso di accertamento.
Dall’esame, in particolare, del suddetto atto si evince che: per quanto riguarda la contestazione relativa ai costi relativi alle prestazioni ricevute dalla Tecnotex di V., erano state specificamente indicate sia la misura dell’importo ripreso a tassazione che la contestazione della inesistenza delle operazioni e che, con riferimento alle prestazioni ricevute dalla V. & C. s.a.s., era stata contestata l’inesistenza della società, in quanto cessata in data 5 marzo 1987; per quanto riguarda, poi, gli acquisti dei prodotti pubblicitari dalla Promo.Graf. s.r.l., risulta specificamente indicato che la suddetta società non risultava disporre di personale dipendente nè di impianti in grado di produrre direttamente il materiale pubblicitario ovvero di provvedere mediante processi di outsourcing, ed erano stati specificamente evidenziati la limitata durata della suddetta società, il mancato versamento delle imposte, la circostanza che le fatture di acquisto contabilizzate dalla Promo.Graf. s.r.l. erano state emesse principalmente dalla società Poligrafica s.r.l. che era da considerarsi soggetto “vuoto”, con profilo strutturale e operativo perfettamente rispondente alla realizzazione di operazioni fraudolente, descrivendone specificamente le ragioni di fatto.
Va precisato, a tal proposito, che secondo questa Corte, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (ex plurimis, da ult. Cass. nn. 27162 del 2009, 6288 del 2011).
Nella fattispecie, risulta che la sentenza del giudice di appello si è limitata a negare la sufficienza della motivazione dell’avviso di accertamento, senza tuttavia indicare su quali presupposti si è fondato il proprio convincimento e, in particolare, senza tenere conto dei diversi rilievi contenuti nel suddetto atto, sopra descritti, particolarmente significativi ai fini della corretta valutazione della esistenza della motivazione.
L’affermazione, contenuta nella sentenza, del difetto di motivazione dell’atto impugnato in quanto mancante degli elementi essenziali, senza alcuna ulteriore specificazione e riferimento ai suddetti rilievi non consente di ritenere chiarito il percorso logico seguito ai fini della valutazione operata.
Sotto tale profilo, la pronuncia risulta viziata per insufficiente motivazione sul punto in esame.
Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio.
In particolare, la ricorrente lamenta che il giudice di appello non ha tenuto conto che il fatto decisivo e controverso per il giudizio risiedeva nella sussistenza di elementi di prova sufficienti al fine di accertare che l’operazione asseritamente intercorsa tra la società contribuente e la Promo.Graf. s.r.l. fosse oggettivamente inesistente e, correlativamente, se la medesima società avesse fornito prova dell’esistenza delle operazioni. Sotto tale profilo, la motivazione della sentenza censurata sarebbe insufficiente, in quanto non ha tenuto conto dei diversi rilievi prospettati dall’Ufficio finanziario, in particolare che: la società era stata costituita solo nel 2002 e già nel 2004 era stata posta in liquidazione, era priva di idonea struttura produttiva e commerciale, non si avvaleva di processi di outsourcing tali da consentire lo svolgimento dell’attività, non aveva la disponibilità di magazzini o di strutture idonee a contenere la merce eventualmente acquistata. Inoltre, secondo la ricorrente, la sentenza ha svalutato il dato oggettivo costituito dall’esorbitanza del numero di cataloghi ordinati, non considerando, peraltro, il dato dell’aumento dell’incidenza delle spese pubblicitarie rispetto al fatturato. Infine, la sentenza sarebbe contraddittoria, per avere ritenuto, da un lato, che la società contribuente aveva fornito elementi più che idonei a dimostrare l’effettiva esistenza dell’attività commerciale intrattenuta con la Promo.Graf. s.r.l. e, dall’altro, che la Promo.Graf. s.r.l. aveva svolto un ruolo di mero tramite con la ditta che aveva effettivamente realizzato il lavoro tipografico.
La ricorrente, infine, lamenta che il giudice di appello ha dato rilevanza alla sentenza del Tribunale di Pesaro che aveva assolto l’amministratrice della società contribuente dai reati fiscali alla stessa ascritti.
Il motivo è fondato.
Il punto centrale della decisione del giudice di appello risiede nell’avere ritenuto che, nella fattispecie, non poteva attribuirsi alla Promo.Graf. s.r.l. il ruolo di società fittizia e che la stessa, invero, aveva assunto il ruolo di intermediaria nella vendita, effettivamente avvenuta, del materiale tipografico da parte di altra ditta. Sotto il profilo soggettivo, il giudice di appello ha ritenuto che la società contribuente non poteva essere a conoscenza che il materiale acquistato non provenisse direttamente dalla Promo.Graf. s.r.l., ma da un terzo e, che, quindi, la stessa era in buona fede. Ha, inoltre, dato rilevanza alla sentenza del Tribunale di Pesaro che aveva assolto l’amministratrice della società contribuente dai reati fiscali alla stessa ascritti.
Dall’esame dell’atto di accertamento, riprodotto nell’atto introduttivo di questo giudizio, si evince che la ripresa nei confronti della contribuente aveva a fondamento la ritenuta inesistenza oggettiva delle prestazioni di cui alle fatture di acquisto della società contribuente, sulla base di elementi indiziari che portavano a ritenere che non solo la società cedente non aveva una propria struttura organizzativa idonea alla produzione del materiale venduto, ma neppure risorse adeguate per procedere, eventualmente, ad operazioni di rivendita di beni acquistati da terzi. Nell’avviso, in particolare, si segnala che anche la società eventualmente cedente, la Poligrafica s.r.l. era, a sua volta, un soggetto “vuoto”, con profilo strutturale e operativo rispondente alla realizzazione di operazioni inesistenti.
Il fulcro centrale della pronuncia del giudice di appella poggia sulla rilevanza attribuita alla sentenza del 9 aprile 2010, che aveva accertato che non sussistevano prove sufficienti per ritenere che la Promo.Graf s.r.l. avesse assunto il ruolo di società cartiera e che la società acquirente non fosse, comunque, a conoscenza della sua natura fittizia, nonchè alla sentenza del Tribunale di Pesaro, che aveva assolto l’amministratrice della società contribuente dai reati fiscali alla stessa ascritti.
E’ da queste considerazioni di fondo che la pronuncia censurata ha fatto derivare le proprie successive considerazioni argomentative, ritenendo, in primo luogo, che quanto accertato in quel diverso giudizio tributario, ritenuto di contenuto analogo a quello posto al suo esame, dovesse comportare la valutazione di un ruolo di mero tramite della Promo.Graf s.r.l. rispetto alla vendita di beni effettivamente realizzati.
Questo passaggio motivazionale della sentenza impugnata, tuttavia, risulta viziato in quanto si fonda su di un presupposto di fatto, l’assimilabilità della questione risolta in altro giudizio a quella posta alla sua attenzione, non corretto.
In realtà, si evince dal passaggio motivazionale della sentenza resa nell’altro giudizio, riportato nel ricorso, che la questione da esaminare riguardava una diversa contestazione fondata sulla ritenuta inesistenza soggettiva delle prestazioni risultanti dalle fatture, in particolare sulla circostanza che la società ricorrente in quel giudizio non avesse intrattenuto rapporti con la Promo.Graf. s.r.l. ma direttamente con altra società, cioè la Rotoeffe s.r.l., sicchè, in quel giudizio, non era in contestazione l’effettività delle operazioni, ma la natura di mera società fittizia della Promo.Graf. s.r.l. ed il ruolo di effettivo cedente della Rotoeffe s.r.l..
Nella fattispecie, invece, la ragione della pretesa di cui all’avviso di accertamento riguardava la ritenuta inesistenza oggettiva delle operazioni in quanto non solo la Promo.Graf. s.r.l. non aveva provveduto a produrre la merce venduta, ma anche il soggetto terzo (la Poligrafica s.r.l.) che risultava avere ceduto la merce era, a propria volta, un soggetto “vuoto”, cioè fittizio.
Questa diversificazione di ragioni di contestazione trova fondamento nella diversa impostazione seguita nell’atto di accertamento in relazione ai motivi di ripresa nei confronti di diverse società che avevano intrattenuto rapporti con la Promo.Graf. s.r.l..
Nell’avviso di accertamento, in particolare, si evidenziano due diverse ragioni di contestazione, distinte in ipotesi A) e ipotesi B): nella prima, fra cui rientrano l’annualità in esame e le operazioni di acquisto compiute dalla società contribuente per la pretesa in esame, si ipotizza che le operazioni erano da ritenersi non solo soggettivamente ma anche oggettivamente inesistenti; nella seconda, si ipotizza che la Promo.Graf. s.r.l. avesse rivestito il ruolo di mero interposto al fine di simulare una fittizia intermediazione, posto che le operazioni di acquisto riguardavano, invece, altro soggetto (Rotoeffe s.r.l.) che effettivamente aveva proceduto alla produzione della merce.
La pronuncia impugnata, nell’avere dato rilevanza alla pronuncia resa in altro giudizio, si è fondata su un non corretto accertamento di fatto, non tenendo conto, invece, della circostanza che la fattispecie era diversa da quella oggetto della controversia da esaminare ove, come detto, la questione da accertare, dunque il fatto decisivo e controverso, era se gli elementi posti a fondamento della pretesa della natura oggettivamente inesistente delle operazioni di acquisto della società contribuente fossero o meno idonei a tal fine.
Nell’affrontare la questione sulla base degli accertamenti compiuti nel diverso giudizio, facendo da questo, conseguenzialmente, discendere le considerazioni in ordine alla effettiva esistenza delle operazioni, il giudice di appello non ha, invece, tenuto conto di una serie di elementi indiziari, prospettati dall’Agenzia delle entrate, da collocarsi nella linea seguito nell’avviso di accertamento impugnato e finalizzati a far emergere la assoluta fittizietà della società Promo.Graf. s.r.l. e dell’altra società dalla quale la stesse avrebbe, a propria volta, acquistato il materiale pubblicitario, in particolare: la mancanza della Promo.Graf s.r.l. di struttura aziendale tale da consentire di svolgere un’attività di stampa; il fatto che questa società non risultava avvalersi di processi di outsourcing tali da consentire di svolgere comunque l’attività; la mancanza della medesima di disponibilità di magazzini o strutture idonee a contenere la merce acquistata; la circostanza che la suddetta società, nata nel 2002, aveva incrementato il volume di affari dal 2002 al 2004, ma negli stessi anni non ha versato alcuna imposta non ha dipendenti e, nel 2005, è stata posta in liquidazione; la esistenza di elementi idonei a ritenere che anche la Poligrafica s.r.l. era stata costituita nel 2002, aveva incrementato il volume di affari nell’anno 2003 ed era stata posta in liquidazione nel 2004; la stessa non aveva una propria sede, un magazzino, una struttura operativa nè dipendenti.
D’altro lato, come detto, la motivazione del giudice di appello poggia, altresì, sugli esiti del processo penale attivato nei confronti della legale rappresentante della società contribuente e conclusosi con una pronuncia di assoluzione per i reati contestati, in quanto da essa si fa discendere la conseguenza della effettiva esistenza dell’attività commerciale intrattenuta con la Promo.Graf. s.r.l..
A tal proposito va precisato che nel processo tributario, l’efficacia vincolante del giudicato penale di assoluzione del legale rappresentante della società contribuente per insussistenza del reato di esposizione di elementi passivi fittizi mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, non opera automaticamente per i fatti relativi alla correlata azione di accertamento fiscale nei confronti della società, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto di quella testimoniale del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a fondare una pronuncia penale di condanna. Pertanto, stante l’evidenziata autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio” (Cass. n. 19786 del 27/09/2011; si veda, altresì, Cass. n. 2938 del 13/02/2015, per la quale la sentenza penale irrevocabile rappresenta un semplice elemento di prova, liberamente valutabile in rapporto alle ulteriori risultanze istruttorie, anche di natura presuntiva).
Nella fattispecie, non solo il giudice di appello ha dato rilevanza ad una sentenza penale di cui non è riportato il passaggio in giudicato, ma non risulta che, rispetto alle ragioni fondanti la decisione, lo stesso abbia proceduto ad una autonoma valutazione circa il contenuto della medesima.
Per quanto sopra esposto, la sentenza impugnata è viziata per insufficiente motivazione, avendo fatto riferimento a presupposti di fatto non corretti o su cui non ha espresso alcuna autonoma valutazione, e non avendo, correlativamente, tenuto conto di una serie di elementi, sopra indicati, che avrebbero potuto condurre a una diversa valutazione.
Con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio.
In particolare, la ricorrente lamenta che il giudice di appello non ha tenuto conto che il fatto decisivo e controverso per il giudizio risiedeva nella sussistenza di elementi di prova sufficienti per accertare l’inesistenza delle operazioni intercorse tra la contribuente e la ditta individuale Tecnotex di V. M. e la V. & C. s.a.s., e che i suddetti elementi di prova erano stati del tutto pretermessi dal giudice di appello, che si era limitato a valorizzare circostanze del tutto irrilevanti, quali l’inerenza dei costi e l’avere la Tecnotex di V. M. una struttura in astratto idonea a svolgere le attività di cui alle fatture.
Il motivo è fondato.
Va premesso che, secondo il consolidato orientamento di questa Suprema Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 1006, n. 40, prevede l'”omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, comporta che la motivazione omessa o insufficiente è configurabile qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento (Cass. civ. Sez. 5^, 11 aprile 2018, n. 8913).
Si è, in particolare, precisato che per fatto decisivo e controverso deve intendersi un vero e proprio fatto, non una “questione” o un “punto”, posto che l’art. 360 cod. proc. civ. (nella parte in cui prevedeva l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia) è stato modificato dal suddetto decreto legislativo nel senso, appunto, che l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve riguardare un fatto controverso e decisivo. La modifica non può essere ritenuta puramente formale e priva di effetti: il fatto di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è perciò un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., (cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo) o anche, secondo parte della dottrina e giurisprudenza, un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo.
Ciò premesso, la questione di fondo di questa controversia, in relazione al profilo in esame, atteneva alla verifica della legittimità della pretesa in relazione a costi dedotti per operazioni inesistenti. La pronuncia oggetto di censura, pur motivando sul punto, ha ritenuto infondata la ripresa ragionando sulla sola base della inerenza dei costi nonchè sulla effettiva esecuzione delle prestazioni e sulla ritenuta esistenza della ditta Tecnotex di V. e della V. & C. s.a.s..
Sotto tale profilo, se, da un lato, la questione dell’inerenza dei costi non costituisce aspetto conferente alla verifica da compiere ai fini della decisione della controversia, d’altro lato, proprio con riferimento all’accertamento dell’effettiva esecuzione delle prestazioni rese dalla ditta Tecnotex di V. con cui la contribuente ha avuto rapporti commerciali, non risulta che il giudice di appello abbia tenuto conto di elementi, pur prospettati dall’Ufficio finanziario, che avrebbero potuto assumere rilevanza, quali: le condizioni di salute del titolare della ditta V.; il mancato ritrovamento di beni strumentali dell’impresa; la mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi e Iva per l’anno 2003; la dichiarazione del V. della diversità dell’attività effettivamente svolta rispetto a quello oggetto del contratto stipulato; la condanna penale del V. per emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Per quanto riguarda, poi, le operazioni rese dalla V. s.a.s., nessuna specifica considerazione di diversi elementi prospettati dall’Agenzia delle entrate risulta compiuta dal giudice di appello, quali: la circostanza che la V. & C. s.a.s. era cessata sin dal 1987 e la circostanza che le targhe utilizzate dai presunti vettori delle merci erano risultate inesistenti.
Si tratta, a ben vedere, di un complesso di elementi non presi in considerazione dal giudice di appello che, ove adeguatamente valutati dal giudice del merito, assumono rilevanza ai fini della verifica della legittimità della pretesa dell’Ufficio finanziario, in quanto introducono la necessità di verificare se la ditta V. s.a.s. fosse nelle condizioni, strutturali e organizzative, di eseguire le prestazioni e se la V. & C. s.a.s. fosse un soggetto effettivamente esistente, al di là di profili meramente formali, considerati dal giudice di appello, quale l’iscrizione alla Camera di commercio ovvero la esistenza delle fatture.
Non si tratta, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa della controricorrente, di procedere ad un ulteriore esame nel merito degli stessi elementi valutati dal giudice di appello, ma di una non sufficiente motivazione, non avendo la sentenza tenuto conto di fatti decisivi per il giudizio, secondo quanto sopra evidenziato, avendo fatto unicamente riferimento alla contestazione della non regolare tenuta della contabilità o all’equivoco comportamento fiscale del V..
In realtà, sul punto in esame il giudice di appello si è limitato a motivare sulla questione della effettiva esistenza delle operazioni svolte dalla Tecnotex di V. nonchè della esistenza della V. s.a.s. sulla base di profili meramente formali, senza pronunciarsi sui diversi elementi dedotti dall’Agenzia delle entrate, sopra indicati, decisivi ai fini del giudizio.
Per quanto sopra esposto, il ricorso è fondato, con cassazione della sentenza e rinvio alla Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
Preme evidenziare, inoltre, che al caso di specie (attinente come si è detto ad accertamento di operazioni soggettivamente e oggettivamente inesistenti), ricorrendone le condizioni, va applicato d’ufficio, limitatamente all’accertamento delle imposte sui redditi, lo ius superveniens di cui al D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1 e 2,(convertito dalla L. 26 aprile 2012, n. 44) (cfr. Cass. n. 2064 del 2016), sicchè il giudice del rinvio dovrà procedere, nell’esaminare la questione di merito conseguente all’accoglimento del ricorso, anche al suddetto accertamento.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale delle Marche, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 13 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018