Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.26429 del 19/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 976 del ruolo generale dell’anno 2014 proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

Olimpia s.r.l., in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv.ti Angela Roveda e Antonio Michele Caporeale, elettivamente domiciliata in Roma, via Sardegna n. 38, presso lo studio di quest’ultimo difensore;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche, n. 146/1/12, depositata in data 13 novembre 2012;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 luglio 2018 dal Consigliere Dott. Giancarlo Triscari;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale dott.ssa Sanlorenzo Rita, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;

udito per l’Agenzia delle entrate l’Avvocato dello Stato Eugenio De Bonis e per la società l’Avv. Angela Roveda.

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche con la quale è stato rigettato l’appello da essa proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Pesaro.

Il giudice di appello ha premesso, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle entrate aveva emesso nei confronti della società contribuente un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2005, aveva rettificato in aumento il reddito di impresa e, con separato avviso, aveva irrogato le conseguenti sanzioni; la società contribuente aveva impugnato separatamente i suddetti atti impositivi; il giudice di primo grado aveva annullato la sanzione richiamando la pronuncia di annullamento dell’avviso di accertamento; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l’Agenzia delle entrate, nel contraddittorio con la società contribuente.

La Commissione tributaria regionale delle Marche ha rigettato l’appello.

In particolare, ha ritenuto che, essendo stata annullata dal giudice di primo grado la pretesa fondata sull’avviso di accertamento ed essendo stata, la stessa, confermata dalla Commissione tributaria regionale, considerato il rapporto di pregiudizialità di questa controversia rispetto a quella dinanzi ad essa pendente, relativa alle sanzioni, era corretta la decisione del giudice di primo grado che aveva ritenuto di annullare l’avviso di pagamento delle sanzioni.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate, affidato a tre motivi di censura.

La Olimpia s.r.l., in liquidazione, si è costituita depositando controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e dell’art. 132 c.p.c., per avere il giudice di secondo grado accolto l’appello della società contribuente mediante mero richiamo alla sentenza che aveva definito il giudizio, relativo all’accertamento emesso per l’annualità 2004 nei confronti della medesima, senza riportare la motivazione e indicare, in modo autonomo, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fondava la decisione.

Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 124 disp. att. c.c., per avere annullato l’atto di contestazione nonostante che la pronuncia, da essa richiamata, di annullamento dell’atto presupposto non era ancora diventata definitiva.

Con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per omessa applicazione dell’art. 295 c.p.c., in quanto il giudice di appello avrebbe dovuto sospendere la decisione relativa alla legittimità delle sanzioni in attesa della definizione con sentenza passata in giudicato del giudizio relativo all’avviso di accertamento, stante il rapporto di pregiudizialità fra i due procedimenti.

Occorre preliminarmente esaminare, per ragioni di ordine logico, il terzo motivo di ricorso.

Il motivo è fondato.

Secondo il costante orientamento di questa Corte la sospensione necessaria del processo, di cui all’art. 295 c.p.c., è applicabile anche al processo tributario, qualora risultino pendenti, davanti a giudici diversi, procedimenti legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità, tale che la definizione dell’uno costituisca indispensabile presupposto logico giuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento dell’antecedente venga postulato con effetto di giudicato, in modo che possa astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto di giudicati (Cass. n. 21765/2017; Cass., sez. un., n. 8053/2014; Cass. n. 21396/12).

Nel caso in esame, l’atto di contestazione impugnato, con il quale erano state irrogate le sanzioni, era consequenziale all’avviso di accertamento, oggetto di altro giudizio, con il quale l’ufficio finanziario aveva contestato alla società maggiori redditi non dichiarati: sussiste, quindi, un rapporto di pregiudizialità tra la presente controversia e quella avente ad oggetto la contestazione della legittimità dell’atto di accertamento.

Ciò, anche in conformità a quanto affermato da questa Corte (Cass. n. 2901/2013), secondo cui, quando tra due o più sentenze sussista un vincolo di consequenzialità – pregiudizialità e non è possibile realizzare il simultaneus processus, ex art. 274 c.p.c., il giudice deve utilizzare l’istituto della sospensione necessaria, disciplinato dall’art. 295 c.p.c., per evitare il rischio del conflitto di giudicati; la stessa, in particolare, ha precisato che va sospesa la causa accessoria quando, come nella specie, si discuta del rapporto tra illecito e sanzioni in cui la decisione della causa accessoria (sulla irrogazione della sanzione) dipende dall’esito della causa principale (sulla sussistenza del fatto illecito), dato che l’accertamento negativo della violazione esclude la possibilità di applicare la sanzione (mentre l’accertamento positivo non comporta automaticamente la legittimità della applicazione della sanzione, che può essere esclusa per carenza di imputabilità o di colpevolezza, ovvero per la presenza di cause di non punibilità.

Non può, va precisato, seguirsi in questo contesto la linea difensiva seguita dalla controricorrente, secondo cui, ove si seguisse la pronuncia di questa Suprema Corte n. 10027/2012, dovrebbe addivenirsi alla conclusione che la previsione di cui all’art. 295 c.p.c., trovi applicazione solo nel caso in cui il giudice di primo grado, presso cui pende la causa pregiudicante, non abbia deciso sulla controversia.

La stessa non tiene conto della specificità del processo tributario e, in particolare, dell’orientamento di questa Suprema corte (Cass. n. 11441/2016; Cass. n. 16212/2018), secondo cui alla fattispecie non sono applicabili i principi statuiti dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 10027/2012, in quanto ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 49, nella formulazione anteriore al D.Lgs. n. 156 del 2015, applicabile ratione temporis, nel processo tributario non opera la sospensione ex art. 337 c.p.c., sicchè il giudizio pregiudicato, in caso di decisione non ancora passata in giudicato della causa pregiudiziale, è suscettibile di sospensione ex art. 295 c.p.c..

Ne consegue l’errore in cui è incorso il Giudice di appello nel non avere disposto la sospensione del processo malgrado la dedotta esistenza della causa pregiudicante.

I motivi primo e secondo sono assorbiti dall’accoglimento del terzo motivo di ricorso.

Va, quindi, accolto il terzo motivo di ricorso, assorbiti il primo e secondo, con cassazione della sentenza e rinvio alla Commissione tributaria regionale, anche per la liquidazione delle spese di lite di questo grado di giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbiti il primo e il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale delle Marche, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente grado di giudizio.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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