Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.26435 del 19/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, con domicilio eletto in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI, N. 12;

– ricorrente –

contro

A.G.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Roma –

Sezione staccata di Latina n. 318/40/10 depositata in data 28/06/2010 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 27 giugno 2018 dal Consigliere Dott. FRACANZANI Marcello M..

RILEVATO

che il contribuente è stato accertato per maggior reddito a seguito di scostamento dai parametri degli studi di settore per l’attività di agente di assicurazione nell’anno 2002, dopo essere stato ritualmente invitato a presentare le proprie deduzioni;

che l’impugnazione del contribuente avverso il provvedimento di ripresa a tassazione avanti la competente CTP aveva esito a lui sfavorevole;

che il contribuente interponeva appello alla CTR, trovando riscontro alle sue doglianze, segnatamente alla mancata prova ulteriore al semplice scostamento dallo studio di settore – che grava in capo all’Ufficio per dimostrare l’effettivo maggior reddito conseguito;

che avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per cassazione l’Ufficio, mentre è rimasto intimato contumace il contribuente, ritualmente destinatario di notificazione presso il domicilio del difensore dei gradi di merito.

CONSIDERATO

che con unico motivo di gravame l’Avvocatura dello Stato lamenta la violazione e falsa applicazione della L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, commi 179-189 nonchè D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies entrambi in relazione al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3;

che, in particolare, la difesa erariale lamenta non essersi considerata la pacifica e non contestata circostanza per cui il contribuente regolarmente invitato al contraddittorio non si è presentato, nè ha chiesto il differimento;

che da tale circostanza ne deriva l’elevazione dello studio di settore da semplice presunzione in indizio grave, preciso e concordate, tale da costituire prova che – a questo punto – è onere del contribuente confutare in sede di processo tributario, senza potersi limitare ad eccepire l’insufficienza probatoria dello strumento statistico;

che questa Corte ha più volte affermato la valenza meramente presuntiva dei c.d. studi di settore o analoghi strumenti di elaborazione statistica, all’esito dei quali l’Amministrazione finanziaria è tenuta a dare prova dell’effettivo maggior reddito, in contraddittorio con il contribuente;

che, non di meno, il contraddittorio procedimentale si ritiene costituito anche quando il contribuente ritualmente invitato siasi rifiutato di comparire o non abbia chiesto differimento, poichè diversamente opinando sarebbe nella sua disponibilità di inibire il proseguo dell’iter amministrativo la cui disponibilità non è nelle sue mani, attenendo ad un superiore interesse pubblico (cfr. Cass. S.U. 26635/2009; Cass. 5^, 13/07/2016, n. 14288; 5^, 30/06/2011, n. 14365);

che la sentenza impugnata ha mal governato i predetti principi, affermando erroneamente non esser stata data prova dall’Ufficio del maggior reddito percepito dal contribuente, in quanto disertando l’invito al contraddittorio egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, legittimando l’Ufficio a motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli studi di settore, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, non ostante il rituale invito;

che pertanto la sentenza merita di essere cassata e non essendovi altro da accertare in fatto, il ricorso originario del contribuente va rigettato;

che le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario del contribuente.

Condanna alla rifusione delle spese in favore dell’Agenzia delle Entrate che liquida in Euro cinquemila, oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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