LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Paolo – est. rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, che ha indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;
– ricorrente –
contro
D.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Sabina Ambrogetti, che ha indicato recapito PEC, ed ha eletto domicilio presso lo studio dell’Avv.to Teresa Santulli, alla via Filippo Corridoni n. 4 in Roma;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 127, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale di Genova il 13.04.2011, e pubblicata il 17.10.2011;
ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere Dott. Paolo Di Marzio;
lette le conclusioni scritte fatte pervenire dal Pubblico Ministero, che ha domandato l’accoglimento del ricorso.
la Corte osserva:
FATTI DI CAUSA
l’Agenzia delle Entrate notificava all’odierna ricorrente, D.A., avviso di accertamento relativo a redditi diversi, ritenuti percepiti e non dichiarati, per l’importo di Euro 150.000,00, in relazione all’anno 2004. La somma era stata percepita dalla odierna controricorrente mediante versamento di dieci assegni circolari della Srl DELIS che, dopo aver ceduto l’azienda, uno stabilimento balneare, alla Srl GARDENIA, aveva effettuato pagamenti in favore della affermata propria creditrice Srl OXALIS. L’Agenzia delle Entrate sosteneva che la somma in questione, però, non era stata versata alla Srl OXALIS, ed era stata invece percepita dall’odierna controricorrente “al di fuori del contesto di un rapporto giuridico effettivo con il soggetto erogante, con modalità anomale”, nell’ambito di rapporti giuridici che coinvolgevano più familiari, ed era stata pertanto sottratta a qualsiasi tassazione, diretta o indiretta. La Ctp della Spezia annullava l’accertamento rilevando la violazione, da parte dell’Ente impositore, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e pertanto il vizio di insufficiente motivazione, perchè l’Ente impositore non aveva specificato in quale categoria di reddito diverso, tra quelle tassativamente previste dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, (TUIR), l’Ufficio avesse inteso iscrivere le somme contestate alla contribuente.
Avverso la decisione di primo grado ricorreva l’Agenzia delle Entrate, affermando l’insussistenza del vizio di motivazione dell’accertamento, perchè dallo stesso risultava agevolmente desumibile che il “reddito diverso” non assoggettato a tassazione, e contestato alla D., era quello derivante da una frode fiscale, ed invocava a supporto del proprio argomento il disposto di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, pur riconoscendo di non averlo citato nell’avviso di accertamento impugnato.
La CTR di Genova confermava la decisione adottata dalla CTP.
Avverso la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale di Genova ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi ad un solo, articolato, motivo d’impugnazione. Resiste con controricorso D.A..
La causa è stata trattata, a seguito della notifica dell’avviso di rito, presso la sesta sezione tributaria della Suprema Corte il 21 maggio 2014, ed il Collegio si è pronunciato con ordinanza interlocutoria, rimettendo la decisione alla quinta sezione tributaria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente appare opportuno chiarire che nell’ordinanza interlocutoria pronunciata dalla sesta sezione tributaria, mediante la quale si è disposta la trattazione del giudizio innanzi alla scrivente sezione della Suprema Corte, si legge che la causa era stata rinviata a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza. Questo dipende dal fatto che, all’epoca, non era prevista la possibilità della trattazione camerale innanzi alla quinta sezione della Suprema Corte. Nel riassegnare la causa per la decisione, però, il Presidente ha ritenuto sussistere i presupposti di legge perchè la trattazione del giudizio dovesse avvenire in udienza camerale. In proposito, il Collegio ritiene condivisibile, ed intende quindi assicurarvi continuità, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui occorre tener conto del disposto testuale di cui all’art. 375 c.p.c., u.c., che si limita a parlare della “opportunità” di trattare in pubblica udienza i ricorsi che abbiano ad Aggetto questioni rilevanti o prive di precedenti (cfr. Cass. sez. 1, ord. 4.4.2017, n. 8869), e pertanto non prevede l’obbligo di rimettere all’udienza pubblica neppure cause che presentino le evidenziate caratteristiche. Nel caso di specie, poi, le questioni oggetto di esame in questo giudizio non presentano il carattere della novità, o della particolare rilevanza in considerazione della materia trattata. Il ricorso può essere pertanto trattato in adunanza camerale, risultando comunque garantito il pieno contraddittorio delle parti su tutte le problematiche poste dall’oggetto della decisione impugnata, così come dal contenuto del ricorso.
1.1. – Con il proprio motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contestandosi la violazione o falsa applicazione degli artt. 1,6 e 67 TUIR, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, l’Agenzia delle Entrate afferma che la CTR ha “erroneamente ed ingiustamente ritenuto censurabile la mancata specificazione della tipologia di reddito diverso cui era stato imputato l’imponibile accertato” (ric., p. 11). Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 1, (TUIR), indica alla lettera f) la categoria dei redditi diversi che, secondo la ricorrente, si risolve in una categoria “residuale per eliminazione”, con la conseguenza che pure l’incontestata percezione, da parte dell’odierna controricorrente, della somma oggetto di causa, doveva essere ricondotta al conseguimento di “redditi diversi”.
2.1. – La ricorrente Agenzia delle Entrate contesta, in relazione al profilo della violazione di legge, la decisione della Commissione Regionale impugnata per aver ritenuto di annullare l’avviso di accertamento contestato da D.A., ritenendo insufficiente la motivazione adottata, che non aveva indicato a quale, tra le categorie di redditi diversi di cui all’art. 67 del TUIR, potessero ascriversi le somme che era stato contestato alla contribuente di aver sottratte al tributo.
In conformità con le conclusioni fatte pervenire dal Pubblico Ministero, merita in proposito di essere ricordato come risulti incontestato che la somma di Euro 150.000,00 sia effettivamente”pervenuta alla odierna ricorrente e l’importo le sia stato riversato dalla società DELIS Srl, senza provvedere all’adempimento di oneri fiscali. Tanto premesso, la indicazione di categorie specifiche di “redditi diversi”, elencate all’art. 67 TUIR, risponde all’esigenza di classificazione in forma tassativa di operazioni economiche tipiche, le quali “presuppongono… una operazione economica che, se non formale, deve apparire contabilmente come ricostruibile e logicamente giustificata” (conclusioni P.M., p. 2). Diversamente, nella ipotesi in cui si verta in ipotesi di proventi derivanti da fatti illeciti, e pertanto anche nell’ipotesi di frode fiscale, le categorie di cui all’art. 67 TUIR non trovano applicazione, dovendo comunque ritenersi le somme incamerate “redditi diversi”, come espressamente previsto dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 34 bis, come conv. dalla L. n. 248 del 2006. Occorre poi aggiungere che alla categoria dei redditi diversi risulta riconducibile pure l’ipotesi in cui si riscontri un mero passaggio di disponibilità economica di somme tra due soggetti, nella mancata osservanza di ogni previsione di onere fiscale, potendo trovare applicazione, mutatis mutandis, il canone già individuato da questa Suprema Corte, secondo cui “in materia tributaria, esiste un generale principio antielusivo – la cui fonte, in tema di tributi non armonizzati (quali le imposte dirette), va rinvenuta negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano – secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. Tale principio non contrasta con il canone di riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali; e comporta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazioni specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell’operazione”, Cass. sent. 19.2.2014, n. 3938.
Il ricorso appare quindi fondato, e deve essere pertanto accolto, con rinvio alla Commissione Tributaria di Genova perchè, in diversa composizione, proceda a nuovo giudizio, nel rispetto dei principi innanzi illustrati, e provveda pure a regolare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso proposto dall’ Agenzie delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, cassa la decisione impugnata e rinvia innanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Genova perchè proceda a nuovo giudizio, provvedendo anche a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 27 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018